Il ritorno di Splatter: un’intervista a Paolo Di Orazio

Intervista cult

C’è stato un periodo, prima che arrivassero internet e i videogiochi, in cui i fumetti erano i primi a finire sotto accusa quando in Italia succedevano casi di cronaca nera. C’è stato il periodo in cui il colpevole era Dylan Dog, c’è stato quello in cui era colpa di Ken il guerriero. E poi c’è stato Splatter, una rivista a fumetti uscita solo per due anni, a cavallo tra Ottanta e Novanta, che raccoglieva fumetti horror pieni di sangue, violenza e tanta ironia. Si polemizzò, ci si scioccò e ci si scandalizzò. Nel 1990 Splatter finì persino in parlamento con un’interrogazione al governo firmata da 43 onorevoli in cui la deputata della Democrazia Cristiana Silvia Costa parlava della rivista come «un’istigazione a delinquere».

Quando Splatter chiuse nel 1991 era già culto. I fumettisti che si sono fatti le ossa nella rivista, da Bunro Brindisi a Nicola Mari, sono entrati a far parte dell’industria del fumetto italiano. E oggi, più di vent’anni dopo, Splatter torna in libreria con Il Meglio di Splatter (Rizzoli Lizard, 320 pag., 25 €, con prefazione di Dario Argento), un volume che raccoglie il meglio del magazine. Ed è in lavorazione anche un rilancio vero e proprio della rivista, in edicola e in digitale.

Adriano Ercolani ha incontrato per noi Paolo Di Orazio, curatore storico di Splatter, e quello che segue è il risultato.

Intervista con il curatore di Splatter

Puoi riepilogare per noi la vicenda storica ed attuale di Splatter?

Splatter nasce come rivista nel 1989, come un albo quasi pulp, da edicola. All’epoca erano già presenti due filoni: il fumetto mainstream e quello degli esordienti. Si è subito caratterizzata come rivista-laboratorio, un contenitore di storie brevi ed inedite. Nel numero uno avevamo il grande Micheluzzi e un esponente della scuola salernitana, Bruno Brindisi, che poi sarebbe divenuta una delle stelle della rivista (mentre Micheluzzi già lo era). Questo senso di laboratorio, che possiamo ricordare in altre riviste degli anni ’70 (come ad esempio Linus oppure Horror della Sansoni), questa compresenza di autori affermati ed esordienti, ci ha portato fortuna. Il pubblico ha sentito che era una rivista viva, d’incontro, ha riconosciuto l’impronta della coralità e ci ha promosso sul campo, con un grande successo editoriale. Un successo legato a un grande affetto, i lettori ci inviavano regali, cartoline, lettere, grazie forse anche al mio approccio, ispirato alla lezione di Maria Grazia Perini: un dialogo continuo, puntuale, amichevole ed ironico col pubblico. Questo affetto collettivo si è solidificato negli anni, fino a raggiungermi sui social network anche dopo la chiusura della prima fase della rivista. Questo dialogo è continuato per tanti anni fino ad arrivare al punto che è divenuto necessario premiare questo affetto, che in tanti anni non si era mai consumato. Rinasce dunque la formula di affiancare autori affermati ad esordienti, con l’aspetto interessante che i professionisti affermati di oggi erano lettori della rivista 20 anni fa.

Voi siete nati come esperimento alternativo, ed ora dopo 20 anni un’antologia della vostra rivista viene pubblicata da un’editore importante come la Rizzoli Lizard. Come vivi questo cambiamento?

Lo vivo in maniera un pò confusa. Tutto è stato trainato dall’affetto dei lettori. Da tempo volevamo ripartite con le ristampe, della prima serie. Essendo piccoli editori volevamo cominciare con qualcosa di conosciuto. Splatter in qualche modo ha segnato il costume dell’epoca, e l’affetto che ci è stato restituito ci ha regalato una certa sicurezza. La mia idea era quella di realizzare un mix tra storie inedite e storie pubblicate. Ho raccontato le nostre intenzioni, e l’affetto pronto e febbrile dei lettori che si era manifestato su Facebook, ad Edoardo Rosati (l’attuale curatore dell’antologia), da sempre un amante della vecchia collezione, un sostenitore maniacale di Splatter, e lui è stato la miccia del progetto con Rizzoli. Per cui mi sono ritrovato con un’operazione di recupero del passato grazie ad un editore importantissimo, e col rilancio del progetto di inediti sulla nuova rivista. 

Tu sei anche autore di queste nuove storie?

Si, sono più presente stavolta come autore, guidando comunque una selezione di autori che amano veramente l’horror, come Barone, Aicardi, Crippa, Bilotta ed altri, che porteranno varie sfaccettature del genere. Rispetto alla collezione storica, ad esempio, stavolta voglio scommettere sull’orrore sovrannaturale. Abbiamo dunque un nutrito stuolo di autori, che ci porteranno in tutti gli stili possibili e in tutte le sfumature dell’horror, dal realistico al grottesco fino al comico puro.

Parlando del genere, cosa rispondi a Battiato ed ai suoi famosi versi: “In quest’epoca di pazzi/ ci mancavano gli idioti dell’orrore”?

Lui lo ha detto in un’epoca antecedente a Splatter, anche se ignoro a chi fossero diretti in particolare quei versi. Recentemente ho scoperto che probabilmente si riferiva al cinema dell’epoca. Per quello che riguarda Battiato definirlo cantautore forse è limitante, condivido anche alcune sue posizioni socio-politiche, ma non so cosa intendesse esattamente in quel momento. L’ horror, per come lo intendo io, piace a chi da bambino ha conosciuto le fiabe e ha sperimentato il proprio coraggio di bambino ascoltandole.

Carmelo Bene una volta disse che uno dei caratteri principali dell’infanzia è il desiderio della paura…

Non a caso lo ha detto Carmelo Bene. La tradizione della lettura delle fiabe nell’infanzia non è altro che un ingrediente di coesione familiare, in cui il conforto della presenza del’adulto che ti legge la fiaba, che ti tranquillizza quando ti spaventi, è una formula che mette a nudo l’emotività del bambino. Una esplorazione delle proprie emozioni, con la sicurezza del calore familiare.

Mi ricordo anni fa Dario Argento, parlando de La sindrome di Stendhal dove metteva in scena delle violenze perpetrate su sua figlia, spiegava che quello per lui era un modo per esorcizzare le sue peggiori paure. Il tuo rapporto con l’horror è analogo?

Sì e no. Ho iniziato a leggere fumetti horror in età prescolare, su Kriminal o in altro modo su Topolino. A volte, si, esploro le mie angosce, le mie paure, perché certamente la migliore storia, lo dico da sempre, se vuole essere credibile, deve avere una parte umana, dobbiamo toglierci una costola  e metterla in un racconto. È l’ingrediente migliore per rendere credibile il personaggio inventato.

Mi viene in mente Mater Morbi, che rimane tutt’oggi una delle storie più lette e apprezzate di Dylan Dog (ispirata dalla malattia reale di Roberto Recchioni, l’autore dell’episodio, disegnato da Massimo Carnevale)…

Certamente. Infatti, quella è una storia che è rimasta fra le tante perché nasce da un’esperienza che nella realtà è drammatica. Ma anche a chi non conosce l’esperienza personale di Roberto, comunque arriva una storia credibile e profonda. E queste per me sono le caratteristiche dell’horror, deve essere profondo e credibile. Oggi per me il genere deve continuare ad esplorare sempre di più, come stanno facendo il cinema spagnolo e francese, il tessuto umano e spirituale, con l’intervento del soprannaturale, questo è l’horror che propone Splatter oggi.

Personalmente, non sono mai stato un fan del genere. Però, ad esempio, il mio primo amore letterario è stato Edgar Allan Poe, se penso a film come Il Signore del Male di Carpenter,  Rosemary’s baby o Zombie di Romero trovo evidente  in quei casi  la metafora dell’orrore per denunciare problemi sociali o testimoniare la presenza del male a livello, oserei dire, filosofico. Mi interessa la distinzione e lo spirito con cui tu ti approcci al genere, che ti consente di comprendere i versi di Battiato. Non trovi che spesso l’horror sia gratuito?

Beh, Poe come primo amore è inevitabile! Venendo al genere, certo, l’horror, come la comicità è un territorio pericoloso. Dipende come lo fai. Puoi scadere nel gratuito, nell’idiota appunto come dicevamo. Se ami e conosci un territorio con i suoi registri narrativi, lo puoi raccontare senza scadere nel ridicolo, così come per la commedia, il dramma o l’erotismo. Sono convinto che per scrivere bene in qualsiasi genere, devi amare il tuo territorio d’azione. Vero è anche, dall’altro, che alcuni autori che non avevano mai sperimentato il genere, sono poi riusciti a raccontare con picchi elevatissimi all’interno dello stesso. Ricordiamo fra tutti, anche se non è un film horror…

Shining!

Esatto. Kubrick non ha fatto nessun altro film del genere dopo. Non era tecnicamente horror, ma era soprannaturale. Mi trovo d’accordo con  Hitchcock che predicava la distinzione tra thriller, horror e orrore. Soprattutto stigmatizzando l’elemento nefasto nella storia, suggerendo la sua presenza e non mostrandola palesemente. 

Con le dovute differenze, anche per David Lynch può essere valido questo raffronto?

Certo, Lynch,  dipana le sue (ultime) storie in mondi paralleli ma contigui, dove la dispersione in sé del fruitore è l’obiettivo principale della sua grammatica. Hitchcock punta al sentimento dell’orrore, mentre Lynch all’orrore dei sentimenti e della psiche Ho amato molto, e amo ancora, Mulholland Drive, è un’ottima formula moderna per raccontare una storia che è dell’orrore, ma non vuole essere di genere horror, per intenderci. Allo stesso modo, Friedkin parlando del suo celebre film L’Esorcista ha spiegato che voleva raccontare il conflitto spirituale della possessione demoniaca.

Questo perché l’horror diventa metafora della vita. Persino Dante, nell’inferno lo utilizza come metafora per raccontare l’Italia dell’epoca. L’horror, anche quello classico abitato da creature mostruose che strisciano nei sotterranei come insegna Lovecraft, è una metafora della nostra vita. Lo puoi convertire in chiave ironica, ma è comunque sempre una sfumatura di quella metafora. Ci sono poi opere epocali come La notte dei morti viventi in cui si può leggere un sottotesto socio-politico, ma anche se sfugge quello rimane comunque metafora della vita. Io lo chiamo “necroromanticismo”, cioè il fascino arcano e arcaico, il magnetismo costante tra uomo vivente e la carna morte. Parlo dei riti funebri, del culto dei morti, della memoria, alla fine torniamo sempre al centro dell’esistenza umana.

Tavole dal volume Il meglio di Splatter

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