Speciale sindaco di NYLa teatralità dei sindaci di New York

Mayoral NYC

C’è questa cosa piuttosto odiosa e qualunquista dei treni in orario, che salta sempre fuori quando si parla di politica locale – o di revisionismo storico da bar, ma è un’altra storia. È un discorso che sa di filosofia spicciola, di opinione facile da non addetti ai lavori, di «non so esattamente di cosa sto parlando, ma proverò comunque a dire la mia». Ciò di cui bisogna prendere atto, però, è che è maledettamente importante che i treni arrivino in orario, che le strade siano pulite e che la criminalità venga tenuta a bada dall’amministrazione cittadina, specialmente se sul piatto c’è il futuro di una città come New York. Lo sa chi sta aspettando la 2-south per Dumbo, a caccia di hipster su Atlantic avenue, chi prende la 6-north diretto nel Bronx per respirare un po’ di aria romantica ai mattoni a vista, e anche chi trova chiusa la stazione della rossa a Cairoli alle nove di sera. 

Quello che è successo all’approccio sociale dei sindaci di New York, nel corso dell’alternarsi delle amministrazioni è di essersi spostato sempre più verso il pragmatismo dei treni in orario e di aver piano piano lasciato da parte un aspetto comunque importante per chi ricopre una carica tanto in vista: il fiuto per lo show-biz. 

Il Sindaco uscente Michael Bloomberg è noto per il suo attaccamento alla concretezza. In quasi dodici anni di mandato ha portato a compimento molto di quello che aveva programmato, e si trattava per la maggior parte di opere pubbliche. Le metropolitane vanno dritte come fusi e le strade – per lo meno quelle di Lower Manhattan, dicono le malelingue – sono tirate a lucido. Non si può dire che sia un uomo che sa stare sotto i riflettori, però. Adam Gopnik, in un’analisi comparsa sul New Yorker, lo definisce anti-carismatico per eccellenza. Anzi, pare proprio che Bloomberg abbia fondato la sua intera amministrazione sul tenere a distanza la spettacolarità, se non la totale apparenza, da sacrificare ai risultati pratici. Non per niente nasce con lui il mito della “Città Efficiente” e muore quello del “Primo Cittadino Divertente”. Un sindaco del fare, si potrebbe dire per utilizzare un’espressione fastidiosamente nazionalpopolare. 

C’è da dire che la strada verso la concretezza l’aveva battuta prima di lui Rudy Giuliani che scellerata incombenza di gestire la tragedia a parte, e comunque a fine mandato – è ricordato per la sua proverbiale inespressività facciale e il suo tono monocorde. Una specie di Clint Eastwood in bandierina sul risvolto, e mi riferisco anche alla “Tolleranza Zero”. Prima di lui Dinkins sembrava destinato a un mandato brillante, in realtà era semplicemente una questione di pigmentazione e si è rivelato solo un buon ponte democratico, dopo l’agrodolce Ed Koch ormai naufragato negli scandali, verso il declino della spettacolarità dei sindaci della Grande Mela. E dire che in passato il fatto di saper tenere il palco non era secondo ad alcuna opera pubblica, per grande che fosse, almeno in termini di opinione dell’elettorato. New York è storicamente una specie di società auto-organizzata, che si regola sugli spostamenti dei suoi abitanti e sulla loro arcinota diffidenza, quello che il sindaco dovrebbe fare in primis è essere di buona compagnia, bella presenza e cercare di riestare ai posteri. Lo sapeva Jimmy Walker, passato alla storia come sinonimo di “corruzione”, e questo gli è comunque valso un personaggio a Broadway e l’interpretazione di uno straordinario Bob Hope in Beau James.

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Il prototipo del sindaco da palcoscenico è stato senza dubbio Fiorello LaGuardia. L’italiano che parlava Yiddish e raccontava barzellette, non tanto alto ma sempre sorridente, così sicuro di sé da infondere sicurezza. LaGuardia è stato uno dei Primi Cittadini più amati in assoluto, in grado di mantenere le promesse e essere una persona affabile, di ragionare nel concreto e toccare la cittadinanza con il trasporto dei propri discorsi pubblici. Non è una prova delle sue buone intenzioni, ma certamente depone a favore della sua teatralità il fatto che gli è stato dedicato un musical, Fiorello!, e che la quasi totalità dei sindaci buoni nelle centinaia di film ambientati a New York dagli anni trenta a oggi sono a lui ispirati – fatto interessante: i sindaci cattivi sembrano tutti ispirati a Giuliani, anche quelli girati prima del 1994. Indubbiamente, dovendo pensare a una carica pubblica tanto “socialmente” importante, viene naturale dare grande peso alla popolarità e alla tendenza allo show-biz nell’ottica di una città serena, funzionante e benvoluta. 

È presto per capire cosa ne sarà del lato carismatico dei sindaci di New York, che con il regno della competenza di Bloomberg sembra essersi perso completamente, ma il futuro primo cittadino democratico Bill de Blasio – al 65% nei sondaggi mentre scrivo, a meno di due giorni dall’elezione – pare sia incline a ricalcare il modello “Little Flower”, più che seguire il sentiero della mera praticità segnato dai suoi immediati predecessori. Teoria confermata dal pubblico endorsement della nipote di LaGuardia sul sito del candidato. È un bene, almeno dal punto di vista di chi dovrà pensare a caratterizzare il suo personaggio nelle prossime sceneggiature. C’è forse soltanto una precisazione da fare, a questo punto: se ai tempi di Fiorello LaGuardia il modello di teatralità del sindaco si misurava sugli spettacoli di Broadway, ai giorni nostri è il caso di calibrarlo su quello delle grandi serie TV – penso a drama politici come House of Cards o The West Wing, ma anche alle sitcom in stile Veep. Il mestiere del Primo Cittadino, allora, si fa più difficile, dovendo pensare al mandato non più come uno show d’un paio d’ore giocato soprattutto sull’orecchiabilità dei temi, ma come un arco narrativo convincente, con una serie di cliffhanger e un climax ben confezionato per tenere gli spettatori incollati allo schermo fino all’ultima puntata. Salvo rinnovo per una seconda stagione, ovviamente.  

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