Le medie imprese italiane: una selezione darwinistica

L’analisi di Unioncamere sui bilanci

Mille medie aziende italiane sono state polverizzate dalla crisi iniziata nel 2008. Erano 4.534 nel 2007, oggi si sono ridotte a 3.594, un 20 per cento secco in meno. Chi è sopravvissuto, però, ha capito come si sopravvive nel mercato di oggi: esportando il più possibile e, che piaccia o meno, delocalizzando. Questo, in sostanza, dice l’indagine annuale sulle medie imprese industriali italiane, realizzata da Mediobanca e Unioncamere, e presentata la mattina di mercoledì 7 novembre a Roma

L’indagine dà conto di una fiducia in risalita: per il 2013 il 37,3% di queste aziende prevede un aumento del fatturato, contro il 26,6% a consuntivo nel 2012. Il 34% vede possibile un incremento della produzione, mentre è stato solo il 22,1% a registrarlo per lo scorso anno.

Le mosse di chi cresce 

Tutte queste aziende esportano, tranne una su dieci, ancora legata per modello di business al mercato interno. Il risultato è che oggi, per la prima volta, più della metà del fatturato complessivo viene dall’estero: il 51%, per l’esattezza. Per l’anno in corso gli ordinativi esteri saranno in crescita per il 49,9% delle imprese, mentre l’andamento del mercato interno sarà più debole: solo il 13,6% si attende un rialzo rispetto al 2012 e il 31% ne prevede una flessione. 

Il fatturato medio nel 2011 si è assestato a 44,3 milioni di euro, in crescita del 29,2% sul 2002 (+10% in termini reali); il totale attivo medio è stato pari a 47,9 milioni, in aumento del 43,8% sull’inizio del decennio (+22,7% deflazionato). 

L’indagine dice anche dell’altro. Intanto, che oltre a proiettaesi verso l’estero, le aziende superstiti hanno speso molto in tecnologia: nel 2012, gli investimenti delle medie imprese si sono concentrati sulle apparecchiature informatiche (72,3%), sui macchinari (69,3%) e sui software e servizi informatici (68,6%); su tali assets le imprese continueranno a puntare prioritariamente anche durante il 2013, spiega il rapporto. La meccanica, il chimico-farmaceutico e l’alimentare sono i settori che hanno maggiormente incrementato la propria rilevanza sul 2002; in grave flessione i beni per la persona e la casa; ripiega marginalmente il made in Italy.

Occupazione col segno meno

Sul fronte occupazionale, circa una società su cinque segnala un ampliamento della forza lavoro tra il 2012 e il 2013. La metà di chi ha stabilimenti all’estero, però, farà crescere i dipendenti negli stabilimenti fuori dai confini nazionali. Si riduce il ricorso ad ammortizzatori sociali (nel 2013 verranno usati dal 34% delle imprese, contro il 44% nel 2012). Il 18% circa delle aziende adotterà comunque strumenti alternativi per salvaguardare l’occupazione: contratti di solidarietà, modifiche all’orario di lavoro e riqualificazione del personale. A conti fatti, nel decennio tra il 2002 e il 2011, l’occupazione media per impresa non è cresciuta, segnando anzi una lieve flessione sia in termini medi (da 148 a 146 unità, -1,4%) che mediani (da 116 a 112, -3,4%).

La scomparsa di chi non ha cambiato

Non tutte le medie imprese scomparse dalla classificazione di Unioncamere sono fallite. Se si considera il periodo 2002-2011, il numero delle medie imprese è diminuito di 433 unità: si tratta di un saldo tra 3.634 ingressi e 4.067 uscite. Circa la metà di queste uscite è dovuta a liquidazioni e cessazioni dovute a procedure concorsuali, con un fenomeno relativamente più significativo rispetto alle nuove costituzioni. L’altra metà si divide tra le società diventate grandi aziende e quelle, ben più numerose, che si sono ridotte a piccole imprese. 

Tra i motivi della scomparsa c’è una tassazione delle medie imprese che continua a essere punitiva. Molto più penalizzate delle grandi. Nella media del periodo 2002-2011 il carico fiscale che ha gravato sulle medie imprese con risultato ante imposte positivo si è assestato al 44,5% ovvero circa 11 punti percentuali sopra la media delle grandi imprese (33,6%). Nel 2011, 796 delle 3.594 medie imprese hanno chiuso con un risultato di competenza del gruppo negativo.

C’è poi il tema sempre spinoso dei finanziamenti bancari. Potranno non avere i problemi delle Pmi con le banche, ma la percezione di difficoltà nell’accesso al credito è sensibile: la segnala il 43% di quanti intendevano farvi ricorso nell’arco dei mesi iniziali del 2013, contro il 37% delle imprese che nell’ultimo semestre del 2012 si erano rivolte alle banche.

La redditività riprende a crescere

Il rendimento del capitale investito (roi) nelle medie imprese nel biennio 2010-2011 si salda al 7,5%, guadagnando l’1,4% rispetto al 2009, anno che ha registrato un importante crollo dei margini a seguito della crisi finanziaria. La redditività netta espressa dai valori di roe ha seguito una traiettoria analoga assestandosi al 4,4% nel 2011 (+2,2% rispetto al 2009). Il raffronto con i gruppi maggiori mette in evidenza un quadro di minore reattività di questi ultimi, che hanno segnato livelli mediamente inferiori di roi e un forte rallentamento di quelli di roe (-4,4 punti sul 2009). La redditività netta delle multinazionali italiane appare invece allineata, e talora superiore, alle medie imprese, ma resta un ritardo importante in termini di rendimento di capitale proprio rispetto al periodo pre-crisi (-5 punti).

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