L’odissea dei risarcimenti alle vittime dell’amianto

Tra cavilli e presunte truffe

Iniziamo da una storia. Quella di Nazareno Tarquini, pensionato di Ravenna, costretto a restituire 62mila euro all’Inps. Motivo? La magistratura gli ha prima accordato e poi revocato i benefici economici legati all’esposizione all’amianto. Una vicenda esemplare, la punta di un iceberg. Nella stessa città ci sarebbero almeno una decina di casi molto simili. In Italia un centinaio.

Numeri che crescono, se si guarda più in generale a chi potrebbe aver diritto a “risarcimenti”, ma se li vede negare per diverse ragioni giuridiche. Negli anni sarebbero state presentate almeno 500mila richieste di indennizzo. Neanche metà avrebbe ricevuto risposta positiva. Le cause vanno da una sorta di prescrizione in materia alla necessità di prove scientifiche previste per legge, ma difficili da produrre. C’è anche chi si è visto revocare i benefici per via di un’inchiesta giudiziaria. Sullo sfondo migliaia di persone che ogni anno continuano ad ammalarsi.

Tutto per una perizia

Roberto Riverso è il giudice che aveva dato ragione a Tarquini. «Gli avevo riconosciuto il diritto a benefici pensionistici – racconta – per l’esposizione all’amianto al petrolchimico di Ravenna». La sentenza è stata ribaltata in appello. Un perito ha stabilito che non si può dire con certezza se la situazione in cui lavorava l’uomo fosse nociva quanto lo era per il magistrato di primo grado. Il pensionato dovrà restituire i soldi “in più” incassati finora: 62mila euro, appunto. «In città – dice Riverso – i casi simili sono almeno una decina. In Italia forse un centinaio».

Secondo il giudice, nel corso degli anni sono state presentate 500mila domande per ottenere i benefici dovuti alle vittime. Neanche metà sarebbe stata accettata. Fulvio Aurora guida il Coordinamento nazionale amianto e parla di 600mila richieste, di cui quasi metà con esito positivo. «Chi subisce un rifiuto può vederlo giustificare in vari modi – spiega. – Faccio un esempio: a un certo punto il ministero del Lavoro ha ridotto l’elenco delle aziende i cui dipendenti impiegati in certe mansioni avevano diritto ai benefici automaticamente. Da diverse decine di imprese si è passati a una quindicina. Chi è stato esposto all’amianto nelle altre è rimasto escluso. Parliamo di centinaia di persone. Abbiamo fatto ricorso al Tar e ci ha dato ragione. Ministero e Inail hanno fatto appello al Consiglio di Stato: il 17 dicembre ci sarà un’udienza».

Una corsa a ostacoli

Il governo, dice Aurora, ha abbassato il numero di aziende coinvolte per mancanza di fondi. «Bisognava dividere quelli disponibili tra tutti i lavoratori colpiti – riprende il giudice Riverso. – Invece si è discriminato, tutelando alcuni e abbandonando altri». Il magistrato elenca diversi paletti normativi introdotti per limitare la platea di persone con diritto ai benefici. «Una legge del 2001 ha fissato una soglia oltre cui scatta la tutela: 100 fibre/litro di amianto. Ma una direttiva europea dice che non esiste limite sotto cui l’esposizione non è nociva. Altre assurdità riguardano i tempi di presentazione delle richieste per i benefici. Bisogna aver fatto domanda prima del 15 giugno 2005 ed entro tre anni da quando si è iniziato a ricevere la pensione».

Riverso vorrebbe un intervento del parlamento per eliminare questi ostacoli. «In Italia l’amianto ha ucciso decine di migliaia di persone. Il picco massimo del suo utilizzo risale a fine anni Settanta, e gli effetti si manifestano dopo 4 o 5 decenni. Il maggior numero di morti si avrà intorno al 2025. Al momento le vittime sono almeno 2mila all’anno».

Il caso genovese

Dal quadro generale torniamo a una situazione circoscritta: non a Ravenna, ma in Liguria. La Cgil dice che dal 1994 sono stati registrati nella regione circa 2.500 mesoteliomi, tumori dovuti all’amianto. «Ogni anno abbiamo almeno 170 nuovi casi – spiega Antonio Perziano, segretario organizzativo della Camera del Lavoro del capoluogo. – La nostra popolazione lavorativa è il 3% di quella italiana, ma in questa regione si concentra il 15% delle malattie legate all’amianto». Chiudiamo a Genova il cerchio aperto in Romagna, perché in mezzo c’è un filo rosso: la revoca dei benefici pensionistici.

«Una decina di anni fa la Procura ha iniziato a indagare su un ampio fronte di presunte truffe – racconta il sindacalista – . Si parla di curriculum che sarebbero stati falsificati per ottenere ‘risarcimenti’. Ci sono circa 1.500 indagati, ma ancora non siamo arrivati a rinvii a giudizio. Dall’avvio dell’inchiesta l’Inail ha revocato migliaia di certificazioni che aveva rilasciato. L’Inps ha fatto marcia indietro sulle pensioni connesse, chiedendo ai singoli di restituire i soldi. Per fortuna una serie di interventi normativi ha sanato la situazione, tutelando molte delle persone coinvolte».

La Cgil non contesta il diritto dei magistrati di verificare se ci sono state irregolarità e punire gli eventuali colpevoli. «Il punto è che non si possono revocare i benefici e poi controllare se era giusto farlo. Bisogna procedere al contrario. Prima va provato se e chi ha truffato. Solo dopo si può sanzionarlo». A Genova come altrove, il rischio è di produrre nuove ingiustizie, costruite su quella colossale dei lavoratori avvelenati dall’amianto.

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