La tragedia di Lampedusa del 3 ottobre, con i suoi 366 morti accertati, è la più grave che i nostri mari hanno conosciuto in questo XXI secolo. Il tempo trascorso, poco più di un mese, rappresenta una sorta di distanza di sicurezza. Il dolore immediato per la perdita di vite umane ha fatto ormai posto a una più pratica rassegnazione. Eppure, sulla risacca dell’onda emotiva, non è stata colta fino in fondo l’opportunità di aprire un dibattito serio sulle politiche italiane ed europee riguardo al mar Mediterraneo e ai flussi di migranti che lo attraversano. O tentano di farlo.
L’opinione pubblica italiana pare avere attenzione solo per la propria neofeudale classe dirigente. Questa amnesia da indignazione perenne ha ostacolato una reale presa di coscienza pubblica di quello che sta avvenendo nel e attorno al Mediterraneo. Ci siamo, quindi, accontentati di una risposta più semplice. Il 18 ottobre è scattata Mare Nostrum, un’operazione militare e umanitaria che prevede il rafforzamento della capacità italiana di sorveglianza e soccorso in mare aperto.
Mare Nostrum è stata venduta agli italiani attraverso un’abile operazione di marketing. Il governo, ma anche la stampa, hanno, infatti, insistito sul carattere tecnologicamente avanzato dei mezzi impiegati, come se l’utilizzo di strumenti innovativi bastasse da solo a giustificare l’operazione. Sono stati chiamati in causa in particolare gli UAV (Unmanned Aerial Vehicle), conosciuti più comunemente come droni. Quello utilizzato nelle operazioni è il Predator B (questo video ne illustra le funzionalità), famoso come il drone più temuto dai terroristi islamici. Il 29 ottobre ha portato a termine la sua prima missione nel contesto dell’operazione Mare Nostrum, individuando al largo della Libia una precaria imbarcazione con a bordo dei migranti. Le immagini e i video ripresi dai sensori di bordo del velivolo sono stati condivisi in tempo reale con la sala operativa di Poggio Renatico, in provincia di Ferrara.
Secondo il sito dell’Aereonautica “il velivolo MQ-9A Predator B è un Aeromobile a Pilotaggio Remoto (APR) impiegato per svolgere missioni di ricognizione, sorveglianza e acquisizione di obiettivi. Il Predator ha un’apertura alare di oltre 20 metri, una velocità superiore ai 400 Km/h e una grande autonomia di volo che permette di ottenere elevate prestazioni sia nella condotta di missioni ISTAR (Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance) sia, in ambito marittimo e terreste, nelle operazioni di Pattugliamento, Ricerca e Soccorso.”
Bisogna comunque ammettere che Mare Nostrum ha già prodotto dei risultati concreti. Sono state già recuperate dalle carrette del mare alcune centinaia di persone. Anche se non è chiaro il destino che il governo ha in serbo per loro.
Quella di Mare Nostrum è a tutti gli effetti una prova di forza in chiave tecnocratica delle nostre forze militari. Il dispiegamento sul campo di mezzi tecnologici all’avanguardia è, infatti, del tutto asimmetrico. Invece che adottare politiche efficaci sul lungo periodo, l’Italia, su mandato dell’Unione Europea, sta sfoggiando la sua superiorità tecnologica su qualche centinaio di disperati, molti dei quali fuggono da zone di guerra e probabilmente avrebbero i requisiti per ottenere il diritto di asilo. Ma non solo: questo modo di affrontare la questione dei migranti irregolari è solo un’altra applicazione concreta delle possibilità di sorveglianza e controllo offerte dalle attuali tecnologie di comunicazione.
Spostandoci dall’altro lato dell’Atlantico, è noto che anche il confine tra Stati Uniti e Messico viene frequentemente attraversato al di fuori della legge da migranti messicani. Costoro invece di un mare attraversano il deserto. Traendo spunto da questa situazione, Ricardo Dominguez, artista e professore all’Università della California, nel 2009 ha sviluppato una “applicazione clandestina” chiamata The Transborder Immigrant Tool, che serve da supporto proprio ai migranti irregolari. Il telefono utilizzato per l’esperimento è un Motorola i455 che è stato scelto perché è economico e permette di accedere alle funzionalità del GPS senza la necessità di sottoscrivere un piano telefonico. Il telefono viene hackerato e una volta che l’applicazione è installata le funzioni sono quella di una bussola intelligente in grado di segnalare, oltre all’agognata linea del confine tra gli stati, la presenza di acqua, strade e ripari. Il Transborder Immigrant Tool è in grado inoltre di imparare mano a mano che viene utilizzato, suggerendo percorsi sempre più sicuri ai suoi utenti. Dominguez e il suo team sono riusciti a trovare i fondi per comprare e modificare 500 telefoni che hanno distribuito a coloro che erano interessati a provare la rischiosa traversata.
La vicenda non ha però un lieto fine. Anche se Dominguez ha sempre presentato la sua opera come un dispositivo umanitario progettato con lo scopo di salvare vite, l’FBI l’ha indagato per reati informatici, è stato minacciato da estremisti di destra e ha quasi perso la cattedra. L’esempio del Transborder Tool aiuta a capire come l’uso di soluzioni tecnologiche è di per sé una atto politico. Il paragone, inoltre, rende evidente il profondo disequilibrio di forze in campo ogni qual volta si parla di migrazioni irregolari.
Quando il 14 ottobre è stata annunciata l’operazione Mare Nostrum da Letta e Alfano, immediatamente si è accesa la polemica riguardo la sua denominazione. Anche se il dibattito è servito, almeno in parte, a smascherare la retorica intrinseca della risposta del governo, l’obiettivo non è stato completamente centrato e, soprattutto ci si è allontanati dal merito della questione, concentrandosi più sulla terminologia piuttosto che capire realmente la situazione.
In questo, Mare Nostrum rappresenta alla perfezione lo spirito delle larghe intese: almeno a parole si cerca di accontentare tutti. La dicitura “militare-umanitaria” unisce l’esigenza della repressione con quello dell’intervento a supporto di popolazioni disagiate. In ogni caso si tratta di una dimostrazione di forza che viene paternalisticamente venduta come un’operazione per salvare vite umane. La retorica sottostante, infatti, è simile a quella utilizzata dagli U.S.A. con espressioni come “guerra umanitaria” o “esportare la democrazia”.
Se il Mediterraneo, piuttosto che come un confine da presidiare, fosse visto come una grande via di comunicazione, tutti i paesi che su di esso si affacciano ne trarrebbero grande vantaggio. Non sto suggerendo di aprire le frontiere, ma bisogna rendersi conto, in primo luogo, di uno stato di fatto: il Mediterraneo è facile da attraversare. In secondo luogo, la tecnologia per monitorare questo mare non può essere soltanto monopolio della forza militare. Il Mediterraneo non dovrebbe rappresentare per l’Unione Europea soltanto un gigantesco posto di blocco. La questione non si risolverà adottando né la prospettiva militare né quella umanitaria. Si tratta invece di una duplice sfida: da un lato c’è la questione politica (ed economica) della gestione dei flussi di persone e merci, dall’altro quella della democratizzazione della tecnologia. Per fare anche un singolo passo in avanti è necessario tenere in conto entrambi gli aspetti.