No-Tav, not in my name

L’assalto alle sezioni del Pd di Roma

La verità che bisognerebbe raccontare, e che purtroppo non sempre si riesce a dire – soprattutto a sinistra –  è che i presunti No-Tav, ormai di No-Tav non hanno più nulla. Questo dittico così a lungo evocato infatti, No-Tav, è diventato negli anni prima un simbolo, poi un luogo metafisico, e alla fine una sigla senza nessun rapporto con il contenuto che indica

La gazzarra messa in campo ieri (martedì 20 novembre, ndr)per le vie di Roma, il tentativo di giocare alla guerriglia, l’assalto vigliacco alla storica sezione del Pd di via dei Giubbonari, il lancio di chiodi e di bottiglie, i volti coperti e travisati, i caschi e le mazze, sono soltanto gli ultimi elementi di una storia sfilacciata, ormai priva di qualsiasi contenuto politico. 

Alle persone che abitano in Val di Susa, e che sono di fatto diventate gli scudi umani di una banda di teppisti in assetto di guerriglia permanente, sicuramente farebbe raccapriccio sapere che in loro nome non solo qualcuno tira sassi e minaccia poliziotti, ma adesso devasta anche le sedi di un partito picchiando dei militanti ultrasessantenni, uomini e donne indifesi, come Fabrizio, che ieri è finito in ospedale con un occhio ferito. La verità che bisogna raccontare è che con il pretesto della copertura morale offerto dalla Val di Susa, dall’immagine autoprodotta e falsa di un’eroica lotta tra Asterix e gli invasori di Roma, in Val di Susa una “brigata internazionale” di violenti si è addestrata al gioco della guerriglia metropolitana: non hanno vere rivendicazioni, non hanno obiettivi politici, non hanno parole d’ordine degne di questo nome, non gliene frega più nulla della linea di alta velocità. Gli interessa soltanto di avere un pretesto per tentare l’assalto ai palazzi del potere e, quando questi obiettivi non sono disponibili, di potersi esercitare su bersagli minori, possibilmente indifesi. Non ha ovviamente alcun senso che i No–Tav provino ad attaccare la sede del Pd di Sant’Andrea delle Fratte, ma ha ancora meno senso l’idea di scaricare la rabbia contro una piccola sezione di partito e giocare al gatto il topo con la polizia nei pressi di piazza Campo de’ Fiori. 

Rispetto ai ribelli degli anni 70, quelli che facevano il segno della P38 e tiravano sampietrini nelle giornate infuocate del maggio ’77, questi nuovi guerriglieri non hanno in realtà alcun retroterra: nessuna preparazione ideologica, nessun libro metabolizzato bene o male, persino nessun leader e nessun maestro buono o cattivo. Sono semplicemente dei violenti, degli arrabbiati, dei ragazzi che giocano alla guerra, e che quando la Tav sarà un progetto realizzato (o abortito) cercheranno un altro pretesto per andare in giro a tirare sassi, a sfasciare vetrine, a mandare all’ospedale dei militanti. 

Ecco perché ho un piccolo sogno, mi piacerebbe che dalle valli in cui la prima protesta è nata arrivasse una scomunica, una sconfessione netta: sarebbe molto bello che tra qualcuno dei sindaci di quei paesi dove è nata una protesta comunque legittima, si alzasse una voce che dicesse semplicemente: siete liberi di giocare alla guerra, ma non in nostro nome. Not in my name, non in my Tav

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