Roma Film FestivalQuanto è giallorosso il festival del film di Roma 2013

Madrina Sabrina Ferilli

Se l’idea era ritornare alla festa veltronian-popolare, secondo quanto esplicitamente chiesto dal neosindaco Pd Ignazio Marino, il Festival dei film di Roma è nella sua apertura una parata di orgoglio della Lupa. Sabrina Ferilli è la madrina della cerimonia, una commedia centopercento giallorossa come L’ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi è il film d’inaugurazioneE annàmo!

C’era una volta Hollywood sul Tevere. Oggi, non potendo tornare a quei fasti, si prova a portare per qualche ora un pezzetto dello star system originale sul biondo fiume: Scarlett Johansson, Joaquin Phoenix, Jennifer Lawrence e John Hurt i nomi già confermati, si attendono Christian Bale e Casey Affleck, per non dire di registi come Jonathan Demme, Wes Anderson e Spike Jonze che terranno un incontro col pubblico. E soprattutto si cerca di dare una fisionomia a questa kermesse, infilata nella girandola dei grandi appuntamenti internazionali dove la concorrenza è col coltello fra i denti e ha condotto a cannibalizzare il festival di Torino (che comincia il 22 novembre, cinque giorni dopo la chiusura a Roma).

Molte le attese, legati a pellicole provenienti soprattutto da oltre Atlantico: Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée, Her di Jonze e Out of the furnace di Scott Cooper. Intanto abbiamo visto la prima, che effettivamente mantiene le promesse con cui era stata annunciata. Poggiandosi con sicurezza sulle interpretazioni potenti di Matthew McConaughey e Jared Leto, è un meraviglioso ritratto di Losers, tratto da una storia vera: nei reaganiani anni Ottanta il controcanto appartiene agli emarginati, qui nelle sembianze di due malati di Aids, uno omofobo e l’altro travestito, che si fanno contestatori della medicina ufficiale nelle cure della malattia, allora praticamente inaffrontabile, buttandosi nel mercato dei farmaci provenienti dall’estero: il business, che corre lungo il confine incerto della legge e dalle istituzioni è continuamente osteggiato, si intreccia con la loro sofferenza, come una dose di vitalismo e adrenalina nel corpo di giovani esistenze morenti. Di grande livello le qualità tecniche del film, che si impone però soprattutto per l’onestà e la forza dei suoi personaggi.

Riuscito è anche il film sudcoreano come Snowpiercer di Joon-ho Bong, kolossal con qualche riuscita ambizione metaforica, sostanzialmente marxista nello svolgimento essendo la storia di una sollevazione degli ultimi, poveri e derelitti, contro lo sfruttamento dei ricchi: solo che tutto si svolge si svolge nel 2031 dentro a un lunghissimo treno che compie il giro del mondo, reso invivibile da una glaciazione, e nel quale le classi sociali sono gerarchizzate in orizzontale, gli ultimi in coda e i primi in testa. Spettacolari sequenze di scontri, indovinati e ben dosati tocchi di umorismo, la simbologia per quanto evidente è giocata bene senza appesantimenti né troppo manicheismi. Gran cast: Chris Evans, John Hurt, Tilda Swinton e Ed Harris.

Quanto all’italiano L’ultima ruota del carro, si propone di ritornare ai fasti della commedia all’italiana, il nostro grande romanzo popolare che su pellicola registrava la realtà italiana in rapida, disordinata e sostanzialmente felice evoluzione (il che contribuiva a rendere quei film così intensi e vitali). Il film di Veronesi intreccia spesso eventi storici, come la morte di Moro, la vittoria della Nazionale nell’‘82, i socialisti al potere negli anni Ottanta, Tangentopoli, la “discesa in campo” del ‘94, tanto da suggerire improbabili paragoni con Forrest Gump. Sorvolando e semplificando, per come la trama è presentata e contestualizzata (in pratica è la vita di Ernesto, figlio della piccola borghesia artigiana romana, dalla nascita alla vecchiaia, senza infamie e senza lodi), se stiamo messi oggi così male la colpa più ancora di Berlusconi è del socialismo craxiano. Mentre al primo sono riservate prevedibili battute sulle giovani donne di cui si circonda (e il ragionamento sul berlusconismo nel film comincia e finisce nel ‘94, come se niente fosse accaduto dopo), al socialismo craxiano sono imputati la voglia di arricchimento facile, la politica come imbroglio, i magheggi: e tutto è ancor più grave perché fatto in un partito di sinistra. La Dc è nominata solo di striscio in occasione del delitto Moro, il Pci nemmeno una volta, gli altri partiti manco a parlarne, dell’ultimo ventennio il film quasi non ha una dimensione pubblica perché la storia è assorbita dalle vicende personali di Ernesto legate alla malattia: quel che resta sono gli anni Ottanta, il blocco grosso del film, su cui si esercita la critica più feroce.

Il progetto era senza dubbio ambizioso, e questo è un merito. Ma intanto occorreva un personaggio più forte, più intensamente inghiottito nel vortice degli eventi, non un uomo qualunque che non offre passaggi di biografia emblematici al punto da rimandare alla Storia. In questo senso dava certamente più spunti il personaggio dell’amico di Ernesto, Giacinto, interpretato da Ricky Memphis. E soprattutto serviva maggiore approfondimento storico, un’analisi più profonda dell’Italia, una sensibilità politica anche solo un poco più articolata: sinceramente il risultato che ne viene fuori è piuttosto imbarazzante. Riuscite invece molte interpretazioni, su tutti quella del protagonista Elio Germano, e alcuni dialoghi schiettamente divertenti, dove l’ambizione autoriale non insabbia il mestiere comico.

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