Preannunciato da tempo, il debito italiano record entra ufficialmente nel mirino della Commissione Europea. Bruxelles questo mercoledì ha deciso di includere l’Italia nei 16 paesi oggetto di procedura per squilibrio macroeconomico (in sigla Mip), parte della nuova governance economica Ue. Una procedura, va sottolineato, diversa e distinta da quella (in genere più onerosa) per deficit eccessivo, da cui l’Italia è uscita a maggio e da cui per ora resta fuori.
La Mip scatta in automatico allorché un paese «sfora» una serie di soglie massima (come succede con il 3% del PIL per il deficit). Per la cronaca, l’Italia non rispetta le soglie quanto a investimento estero in rapporto al PIL, quote di mercato, deprezzamento in termine di tasso di cambio reale, e, soprattutto, per livello di indebitamento pubblico, che, secondo le previsioni economiche d’autunno della Commissione, avrà toccato quest’anno il 133% del PIL e il prossimo il 134 per cento. La soglia, notoriamente, è il 60% del PIL. «Il significativo livello del debito del settore pubblico resta una significativa vulnerabilità per il paese, viste soprattutto le basse prospettive di crescita» (le previsioni d’autunno vedono per il 2014 una misura 0,7% di aumento del PIL), si legge nella parte dedicata all’Italia del Rapporto sul meccanismo di allerta 2014 pubblicato questo mercoledì.
Commissione europea
La cosa ha conseguenze, per l’Italia, molto concrete. Passata una fase transitoria prevista dalla nuova governance, dal 2015 il paese dovrà impegnarsi in un percorso di riduzione del debito pubblico che deve essere, trattati alla mano, pari a un ventesimo (ovvero il 5%) dell’eccedente ogni anno. Traduciamo: se la soglia è il 60% e il nostro debito è al 133%, da ridurre sarà il 73%. In termini puramente matematici sarebbe un bagno di sangue: il debito pubblico nel 2013 era pari a 2.076 miliardi di euro. Un debito al 60% del pil dovrebbe essere intorno ai 950 miliardi di euro, la parte «eccedente» è dunque pari a circa 1.100 miliardi. Ridurla in misura di un ventesimo l’anno vorrebbe dire abbattere il debito pubblico – sempre in termini puramente matematici – di qualcosa come 55 miliardi di euro l’anno. A guardarla così un bagno di sangue insostenibile. Per fortuna, come ha detto più volte il commissario agli Affari economici Olli Rehn, «il patto (di stabilità e crescita, n.d.r.) non è stupido» (alludendo a una storica dichiarazione, di senso esattamente contrario, di Romano Prodi). E infatti l’aggiustamento ci dovrà essere, ma bisogna considerare vari fattori.
- Primo, la regola del ventesimo è una media nell’arco di un triennio – dunque si può fare di meno in anni difficili e di più in anni migliori.
- Secondo, nel calcolo del ventesimo si tengono conto anche di fattori «eccezionali», come la bassa crescita, eventi imprevedibili, congiuntura internazionale e altro.
- Terzo, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti riuscì a far sì che si tenesse conto anche di un altro criterio del debito, quello privato, nel quale l’Italia fa una figura molto migliore. E infatti a guardare le tabelle appena pubblicate, in questo parametro il Belpaese risulta tra i virtuosi: la soglia massima per il settore privato è pari al 133%, l’Italia è al 127% (dato 2012), mentre ad esempio un paese virtuosissimo sul fronte del debito pubblico (con appena il 45%) come la Danimarca, si ritrova invece a ben al di sopra della soglia per quello privato (239%). Idem per un altro «virtuoso», l’Olanda (71% di debito pubblico e 219% di debito privato), o ancora la Svezia (rispettivamente 38% e 212%).
A questo si aggiunge poi un calcolo che ha già fatto a suo tempo la Banca d’Italia e illustrato dal Governatore Ignazio Visco già nel febbraio 2012: «con una dinamica reale modesta, dell’ordine dell’1%, e con uno spread sui Btp decennali stabilmente al livello, comunque elevato, di 300 punti base, avanzi primari (e cioè al netto del servizio del debito, n.d.r.) del 5% del Pil, garantirebbero una riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto maggiore di quella richiesta dalle nuove regole Ue». Le condizioni non ci sono ancora, ma si avvicinano: l’Italia nel 2013 segna già un discreto avanzo primario (2,6% del pil), che dovrebbe andar migliorando fino a un 5% previsto per il 2017, per il prossimo anno il pil è dato dalle ultime previsioni di Bruxelles a +0,7% e a +1,2% nel 2015. Quanto allo spread, nelle ultime settimane è più roseo di quello indicato da Visco, intorno a 245-250 punti.
Insomma, con una mano da parte di Bruxelles sul fronte dell’interpretazione del famoso «ventesimo», e proseguendo con il risanamento dei conti pubblici, l’obiettivo potrebbe non essere poi così arduo. Una cosa però è certa: come ha detto questo mercoledì il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, «l’Italia non può rilassarsi e lasciarsi andare». Questo vuol dire non mettersi a blaterare di fantomatiche autorizzazioni a sforare il tetto del deficit e decidersi finalmente ad attuare con vigore che le riforme che rilancino il PIL (il che aiuterebbe di molto ad abbattere il debito pubblico). Oltre a evitare turbolenze politiche che potrebbero far ripartire il famoso spread e compromettere le riforme, non a caso Barroso ha parlato per l’Italia di un «rischio politico».
Roma farà bene a non ignorare le indicazioni di Bruxelles sul fronte degli squilibri macroeconomici, debito in testa: in base alla nuova governance, se la Commissione deciderà che il piano di correzione del paese non è soddisfacente, potrà chiedere una sanzione dello 0,1% del pil l’anno (1,5 miliardi per l’Italia), se lo Stato membro continuerà a non recepire si aggiungerà l’obbligo di un deposito fruttifero di garanzia sempre dello 0,1% che potrà trasformarsi definitivamente in seconda multa. Per bloccare la sanzione, occorrerà al Consiglio Ue una maggioranza qualificata di Stati membri, operazione non facile. Roma è avvisata.