Se l’innovazione è anche un telaio a mano

Le strade del tessile

La soluzione ideale, quella che fa svoltare il fatturato di un’azienda o di un intero comparto, non contiene in sé alcuna ricetta descrivibile. Altrimenti saremmo tutti imprenditori e tutti di successo. Il segreto è uno solo. Una volta divulgata, l’idea alla base della svolta deve produrre su concorrenti e clienti la stessa impressione, la medesima analisi: «semplice, perché non ci ho pensato prima io!». Qui sta il segreto insondabile della fucina del business plan di successo. Il problema è che individuata l’idea esistono numerose (a volte infinite) strade per realizzarla. Esattamente quello che sta accadendo a Treviso. Dove si cercano sentieri per tornare a tecniche produttive del passato senza abbandonare tecnologie d’attualità. Recuperare la manualità artigiana e unirla a materiali e prodotti avveniristici.

A Badoere c’è un caso da manuale. Il Paese è la frazione di Morgano, provincia di Treviso. Ha una particolarità. Si sviluppa tutto attorno a una piazza semicircolare. Viene costruita a metà del 1600 dal nobile della zona. L’intento da subito è mettere a disposizione uno spazio che raccolga imprese artigiane (sotto ogni arcata della barchessa c’è una bottega) e un luogo per accogliere i clienti. Alle spalle della barchessa nord nasce una filanda. All’inizio degli anni ’20 del secolo scorso un tumulto contadino distrugge la villa del nobile e lascia intatta solo la piazza e la filanda.

L’edificio ospita oggi “Tessitura La Colombina”, un’azienda specializzata in filati pregiati che lancia due sfide. La prima sta nel tornare addirittura ai telai a mano. Abbandonati da anni, lasciati impolverare ma per fortuna conservati intatti in un angolo. «Dopo aver incontrato alcuni clienti intenzionati a sviluppare prodotti estremamente costosi e di qualità», commenta il titolare Mario Colombo «abbiamo capito che l’unica strada era nel recuperare quelle capacità e quelle manualità che nessun altro al mondo sarebbe in grado di fornire. Non sarà semplice. I restauri dei telai sono costosi e anche il mantenimento. Inoltre pochissime persone li sanno usare e serviranno tante ore di formazione».

Per fortuna l’azienda ha mantenuto anche collaboratori storici (per esempio è stata riassunta part time una dipendete di 73 anni) in grado di tramandare ai giovani quell’esperienza che non si apprende in nessuna scuola. «In questo modo potremo lavorare con tecniche antiche, materiali e prodotti estremamente nuovi». Denim lavorato come fosse un pantalone di lino. O tessuti con fili di rame e altre sperimentazioni. Il che significa portare in alto i prezzi e i margini. Ma l’azienda ha capito che è necessario fare un altro salto.

La seconda sfida è infatti tornare alle origini di Badoere. Una nuova forma di internazionalizzazione che fa perno attorno alla piazza. Clienti vengono invitati da diverse parti del mondo per vedere il Paese, toccare con mano l’azienda, vedere i dipendenti e se necessario conoscere tutto il network. «La nostra azienda», spiega Mario Colombo, «che opera con il marchio “Nicki Colombo”, conta 8 tra dipendenti e collaboratori diretti, ma se applichiamo il concetto di rete, il nostro numero diventa piramidale. Se vogliamo fare un calcolo veloce, lavoriamo con minimo 15 aziende, ciascuna da almeno 10 dipendenti». Il mercato estero dovrà conoscere non solo il singolo artigiano, ma anche il territorio. Chi viene in visita, grazie ai progetti di rete sviluppati assieme alla Confartigianato Treviso, potrà conoscere anche altri show room, assaggiare il cibo del posto, il vino e tutto ciò che fa di Treviso un luogo diverso da tutti gli altri. Non più il timore che la concorrenza rubi il lavoro. Ma al contrario impegno di gruppo per ampliare il fatturato.

Quando la famiglia Colombo acquista la Filanda di Badoere negli anni ’30 assume più di 120 persone e diventa la prima realtà industriale della zona. Parallelamente il gruppo capisce che la seta è a un bivio, lascia la Lombardia e si concentra su Treviso per fare tessitura. La tragedia della guerra ha lasciato in eredità un nuovo mercato della seta. Tutto però sbilanciato a favore del Far East. I contadini e i bachi da seta in poco tempo diventano anacronismo puro. Così il titolare e la moglie Erina Gianola ricominciano a lavorare tutto a mano  Dalle coperte per neonato in lana e fibre nobili, a guanti, a berretti. Poi si passa alla Vigogna e altri tessuti destinati alle sartorie emergenti d’Italia. Il prodotto confezionato ancora di là da venire. Nei primi anni ‘70, quando prende il timone la terza generazione dei Colombo, l’azienda si porta in casa nuovi telai per spingere il piede sulla produzione artigianale. Esattamente l’opposto di ciò che fa la maggioranza dei produttori tessili. La nicchia va coltivata e i Colombo si specializzano negli accessori. Poi nei filati pre tinti e accoppiati. Prima di passare la mano alla quarta generazione, l’azienda riprende i contatti con Como e con il mondo della seta. Punta al tempo stesso al cachemire e investe liquidità su un proprio marchio (Nicki Colombo) e su una rete di distribuzione. Oggi tiene intatta la filosofia ma lancia come detto sopra le due nuove sfide. Perché pur avendo un buon mercato interno, oltre cinquecento clienti stabili italiani, all’estero (Germania, Austria, Svizzera – sporadico USA/Francia, Giappone) c’è tanto da fare per crescere.

Ovviamente il cambio di strategia non sarebbe avvenuto senza la batosta del tessile che ha visto un 2012 in cui la mortalità aziendale ha messo a repentaglio migliaia di posti di lavoro. In un studio di Intesa Sanpaolo sui distretti industriali relativo al 2012, si prende il tessile-abbigliamento di Treviso (114 aziende, 2,3 miliardi di fatturato) come metro di paragone. Si scopre infatti che ci sono zone che, anziché giovarsi dell’internazionalizzazione, hanno sofferto le decisioni di alcune grandi aziende di trasferire buona parte delle produzioni all’estero.

Le aziende del territorio hanno scoperto a loro spese l’internazionalizzazione senza export. Col risultato che il saldo commerciale del distretto si è sfilacciato fino a diventare negativo. Sono numeri attuali, ma incompleti perché non colgono il cambiamento in atto. Che si è sviluppato dopo l’addio al territorio da parte di un grande committente come Benetton. Lo choc è stato necessario alla filiera per fare il necessario esame di coscienza. La prima selezione è stata infatti la capacità di lavorare sui propri errori, poi è arrivata la volontà di condividere con altre aziende subfornitori, sinergie e obiettivi. Infine, su tutto il comparto è cominciato a passare un immaginario setaccio. Cresce solo chi trova il proprio spazio nel proprio mercato. L’idea della svolta è appunto quella di recuperare strumenti e metodi del passato per vendere un nuovo made in Italy. Alcuni tentativi andranno a buon fine. Altre sfide si scontreranno con la realtà. Ma questo è il mercato. 

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