Tutti voi conoscete le interviste doppie; quelle delle “Iene”, per intenderci. Anche le nostre sono interviste doppie, a un certo modo. Ma all’inverso: non facciamo le stesse domande a due persone diverse, ma domande diverse alla stessa persona. Ad essere due sono gli intervistatori, non l’intervistato. E a essere usata è la tecnica del poliziotto buono-poliziotto cattivo. Un interrogatorio in piena regola, insomma. Buona lettura.
LOCATION: Presso Kook-Sharing, Via Paolo Sarpi 60 Milano.
ORA: 18:30 – 19:30
INTERVISTATO: Simone Rugiati, nato ad Empoli il 24 maggio 1981. Professione: chef, conduttore televisivo. Al suo attivo si contano svariati programmi, serate di beneficenza, incontri, lezioni.
SR= Simone Rugiati
PB= Poliziotto Buono
PC= Poliziotto Cattivo
Simone Rugiati è impegnato nella preparazione di una cena di beneficenza. Gli danno una mano due blogger di Singerfood. Non c’è molto tempo: sono le 19:00, la cena è alle 20:30. Rugiati esamina la spesa. C’è tutto, più o meno. Pasta, verdure. Anche vino (fornito da Tannico). Poi si mette a tagliare il pesce.
PB: Adesso sei proprio una star: televisione, beneficenza (come questa cena per la onlus Caf, che aiuta i bambini che hanno subito abusi), la gente ti riconosce per strada quando ti vede. Ormai è finita l’epoca dei calciatori, siete voi cuochi i nuovi idoli delle masse.
SR: Ahah, lo sai che è proprio vero? (intanto taglia il pesce) Me lo hanno detto in tanti. E pensa che una volta è successo davvero. Una sera ero in un ristorante. C’erano anche i calciatori della Juventus (credo). E le ragazze cosa facevano? Venivano da me. Un signore me lo ha anche detto: “Un tempo sarebbero andate da loro”, indicando i giocatori. È proprio vero: è finita l’epoca del calciatore e della velina. E questa è una cosa positiva, no? Non che ci sia niente di male nel fare il calciatore, sia chiaro. Ma almeno si cambia un po’.
PC: Certo, è una cosa positiva per te. Verrebbe il dubbio che faccia il cuoco solo per cuccare.
SR: Ma no. Pensa che ora non sono più nemmeno fidanzato – certo, adesso mi diverto tantissimo (ride). Ma la passione per la cucina è un’altra cosa: ce l’ho da sempre, fin da quando ero bambino. Quando avevo quattro anni e mezzo ho preso il Dolce Forno dei vicini di casa, e ci giocavo tutto il giorno. Poi, crescendo, ho seguito il percorso standard. Alberghiero a Parma, o meglio a Montecatini Terme, tanti viaggi per il mondo, ancora Parma e poi Milano.
PC: Sì, ma tu sei famoso solo perché vai in televisione. Dai.
SR: Sono anche un cuoco, in realtà. Ma non c’è niente di male, a essere conosciuto perché sono in tv, no? Ho condotto Cuochi e Fiamme su La7, che ha avuto un buon successo. Ma prima ancora c’è stata la Prova del Cuoco, con Antonella Clerici su Raiuno. Quello che non tutti sanno, però è che ho fatto anche cose su Mediaset: ad esempio il Piattoforte, con Iva Zanicchi su Canale Cinque.
PB: Quello non me lo ricordo.
SR: Non te lo ricordi perché era un programma triste. Non mi divertivo nemmeno io.
PC: Ma non è che ti piace di più stare in televisione invece che cucinare?
SR: No, la tv è divertente, ma io cucino, ed è una responsabilità tremenda. Significa dare qualcosa a qualcuno che la mette dentro di sé. Noi siamo quello che mangiamo. E allora il mio compito è questo: preparo cose che finiscono dentro le persone e le fanno vivere. Non mi sembra certo una cosa da poco. Allora bisogna farlo bene, e una delle cose basilari è la spesa. La qualità del risultato dipende tantissimo dalla qualità degli ingredienti: se la spesa è buona, allora i piatti non possono venire male. Nei limiti, ovvio.
PB: Certo. E dove vai a fare la spesa?
SR: Di sicuro, non nei supermercati. Ho il mio verduraio di fiducia, che mi fornisce frutta e verdura di stagione. Così come il macellaio. Persone da cui so che trovo cose eccellenti. Trovarli richiede molta attenzione, e comunque non è ancora abbastanza. Per decidere la carne giusta bisogna guardarla, vedere il taglio, conoscere la provenienza, starci attenti.
PC: Ma non è che tutti hanno lo stesso tempo che hai tu per guardare la carne, o le verdure.
SR: Lo so, lo so. Andare al supermercato è necessario, per ragioni di tempo e anche di comodità. Ma l’importante è fare una spesa intelligente: le persone devono sapere che non si può fare il crudo di pesce (e intanto finisce di tagliare il pesce) con il branzino del supermercato. Guarda qui: il branzino buono deve avere i denti, perché così si capisce che non è di allevamento (e finisce di tagliare).
PB: Poi, spesa a parte, il lavoro continua in cucina. Come funziona la vita lì?
SR: Ormai è più una questione manageriale: coordinare gli acquisti, i prezzi, le tempistiche. Fare ordinativi buoni e organizzare tutta la cucina non è facile. Ai fornelli ci vado poco, ma quando riesco lo faccio. Mi diverto, e poi è un modo per stare con gli altri. Per fare andare avanti una cucina ci vuole un po’ di bastone e un po’ di carota. Una battuta, un po’ di leggerezza aiuta a sopportare un lavoro pesante: si sta sempre in piedi, a ogni ora, al caldo, con fuoco e acqua bollente davanti, e tutto fatto a ritmi velocissimi.
PB: Tornando alla televisione: in questi ultimi anni c’è stato un boom di programmi di cucina e di cuochi (a volte anche di non cuochi). Perché, secondo te?
SR: Innanzitutto, perché sono aumentati i canali, e tutti vogliono il loro programma di cucina. Dal punto di vista del format, è molto semplice perché è già fatto. La cucina è un luogo riconoscibile da subito: tutti, appena la vedono, la riconoscono, è familiare, ti fa compagnia. Chi non ha cucinato qualcosa, non ha studiato sul tavolo della cucina? È un elemento immediato e semplice da ricostruire in studio.
PC: Il format sarà anche semplice, però li compriamo sempre dall’estero.
SR: Questa è una cosa che mi manda in bestia (taglia la verdura con il coltello). Sulla cucina in tv noi italiani siamo stati gli ultimi, e non ce lo meritiamo. Abbiamo una tradizione di cuochi e di cucina enorme. I programmi di cucina, poi, non sono solo diretti a chi la vive come un hobby: sono anche un modo per fare cultura, insegnare alle persone cosa stanno mettendo dentro di sé, come dicevo prima.
PB: E i cuochi in televisione come sono? Professionali o cedono allo spettacolo?
SR: La televisione ha le sue regole, ma i cuochi che vedo io sono bravi, fanno bene il loro mestiere. Certo, il senso della cucina in televisione è di dare ricette semplici, per tutti, con quello che hanno in casa. Non ti metti a cucinare la faraona, per dirne una.
PC: Sì, ma molti cuochi sono più dei personaggi che altro. Penso a Gordon Ramsey, ad esempio.
SR: Gordon prende 38 milioni di dollari all’anno. Quindi ha ragione lui. Non si discute. Come cuoco, poi, non saprei dire, perché non l’ho mai visto cucinare. Ma di sicuro resta un grande. Lo stesso si può dire di Jamie Oliver: il mio preferito. Il suo format è costosissimo, ma il risultato è meraviglioso. Investono su di lui e fanno bene, con un coraggio che in Italia non c’è. Pensa che usano la Red, come telecamera. Per farti capire, è la stessa di Spiderman 3. Qui non usiamo quella tecnologia, che è fenomenale ma costosa. E i piatti, in video, non sembrano la stessa cosa.
PB: E che ne pensi dei food-blogger? Il fenomeno è in crescita.
SR: Lasciamo stare. Davvero, altrimenti mi arrabbio (i foodblogger che lo stanno aiutando cominciano ad agitarsi). Va bene: anche io ho amici food blogger, Chiara Maci è una di loro. Sono bravissime persone, per carità. Ma io non sopporto quelli che criticano. Voglio dire: come ti permetti? Chi sei per dire male di uno chef, stellato, che di sicuro di queste cose ne capisce molto più di te? Va bene la passione, ma occorre anche rispetto. Non sopporto quelli che parlano male di Cracco, ad esempio. E poi ci sono quelli che criticano anche me. Uno, pensa, mi ha insultato perché ho fatto la pubblicità con la Coca-Cola.. diceva che non va bene, che è una multinazionale, etc. Quasi volevo tirar fuori il contratto e farglielo vedere.
PB: Però sei anche uno che fa beneficenza. Ad esempio con CharityStars. È un buon modo per usare la notorietà.
SR: Sì, partecipo spesso a cene, in tutta Italia e all’estero. Mi sembra una buona cosa da fare. Per questo sono stato anche in Ghana, dove ho dato il mio contributo aiutando alcuni bambini.
PB: Bene, per noi l’intervista finisce qui. Ma come sai, LinkPop ha come colore l’arancione. Tutti ci consigliano piatti con la zucca. Tu che dici?
SR: La zucca? Che banalità. Potreste fare cose mescolando giallo e rosso. Ad esempio un bel gazpacho, fatto di pomodori e con un cucchiaino di ketchup. Io ce lo metto sempre. Oppure una bella pasta all’amatriciana, con un bel sugo di pomodoro giallo. Perché il pomodoro in origine era giallo: solo dopo, con una serie di innesti è diventato rosso. E per scegliere la pasta ve ne consiglio una pazzesca che mi hanno fatto provare qualche giorno fa: preparata con lo champagne. Una meraviglia. Vedete che cucinando si impara?