Altro che Berlusconiano: con buona pace del vulcanico Renato Brunetta, se proprio deve avere una identità politica, non c’è dubbio alcuni che “Sole a catinelle” sia squisitamente “vendoliano”.
Mi spiego. Faccio parte di quella corposa parte di pubblico che è andata a vedere il film–evento di Checco Zalone solo dopo le preoccupanti (per me) parole di Renato Brunetta: «Qualcuno l’ha notato? – aveva scritto il capogruppo di Forza Italia – Siamo prudenti nel dirlo, perché non vorremmo iniziasse un boicottaggio come quello contro i pompelmi degli israeliani. Il film “Sole a catinelle” di Checco Zalone esprime in pieno la filosofia positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena di Berlusconi e di Forza Italia. Zalone–Berluscone».
Una scena del primo tempo di Sole a catinelle
Sì, confesso: erano giorni che volevo andare, ero molto curioso di vedere il film, soprattutto per capire le radici del suo incredibile successo. Ma il senso di necessità e urgenza (altro che boicottaggio) me l’ha offerto questo stravagante tentativo di arruolamento brunettiano: avevo troppa simpatia per Checco per resistere impotente e passivo ad un tale ratto. Anche perché non contento della prima sparata, l’ex ministro azzurro aveva rincarato la dose il giorno dopo: «la sinistra – si fregava le mani Brunetta – è schiattata di invidia. Su tutti i giornali le nostre tre righe e mezzo sono diventate articoli irritati dove il minimo che ci veniva attribuito era il furto con scasso. O il tentativo di subornazione di incapace (rivelatore un titolo di quotidiano secondo cui arruoleremmo Zalone “a sua insaputa”). Il fatto – sosteneva Brunetta visibilmente eccitato – è che la sinistra non si rassegna all’idea che la casamatta della cultura popolare, la quale secondo Gramsci andava occupata subito, sia sfuggita loro di mano. E allora – concludeva in orgasmo – rosicano».
Beh, confesso. Ero tra quelli che avrebbero rosicato, se non avessi constatato di persona che il capogruppo di Forza Italia ha avuto un colpo di sole, o è uscito alla fine del primo tempo (una curiosità: in sala domenica, all’Adriano di Roma, c’era anche Mario Draghi: ma non ho avuto modo di chiedergli se fosse lì anche lui per colpa di Brunetta o per monitorare il discorso anti–europeo di Checco). Lo schema della trama, infatti, tipicamente “redentivo”, è costruito così: nel primo tempo il personaggio di Checco si abbandona ai consumi più sfrenati, non paga le tasse (con la memorabile battuta: per gli esattori alla porta «Siete di Equitalia? No, grazie, noi siamo cattolici»), resta al verde, perde la moglie, che viene licenziata, la fa litigare con i suo compagni di lotta per il lavoro tuonando contro chi parla della crisi, si finge ricco, frequenta miliardari con conti in nero alle Cayman e si affilia alla massoneria.
Nel secondo tempo – invece – con una conversione sorprendente, recupera la moglie, trova un lavoro, fa impugnare la bandiera rossa al figlio, cambia look scegliendo una seriosa montatura da intellettuale organico, avvia una produzione di tessuti equo solidali, diventa un manager filo–sindacalista (intonando un discorso che a una riformista seria come Susanna Camusso sembrerebbe di certo troppo operaista). È così drastica, questa palingenesi, che quasi si rimpiange l’effetto comico dello Zalone lucignolesco e politicamente scorretto, quello che nel primo tempo dice che preferirebbe avere un figlio omosessuale che comunista e dice al bambino: «Siccome non dicevi mai stronzo, stavo pensando di portarti dal logopedista!».
Morale: siamo nella dimensione del paradosso, del gioco, della commedia dei contrari, ma con una morale che allude, pur sempre, al più schietto manifesto vendoliano. Per cui si rassicurano gli zaloniani di sinistra, e si consiglia a Brunetta:
A) prima di cercare il prossimo proclama di tornare a vedere il secondo tempo.
B) eventualmente di trovare qualcuno che gli spieghi il film.
C) di chiedersi se sia conveniente, anche per la nuova Forza Italia, esternare i i suoi entusiasmi per il Checco che si affilia alla massoneria, non paga le tasse, e si mette la magliettona del Che «perché così ci vestiamo come i ricchi».