In diverse città fanno discutere quelli attivi o che potrebbero nascere. A Venezia un inceneritore ce l’hanno, ma hanno scelto di chiuderlo. Possibile – dice il Comune – grazie all’aumento della differenziata. Legambiente parla di «intervento senza eguali», di una promessa politica mantenuta ma con effetti da verificare. Se la cosa funziona, può essere la prova che questa strada è percorribile anche altrove.
Cambio di rotta
«L’impianto di Fusina (località del Comune di Venezia, ndr) è entrato in funzione nel 1998 – racconta l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin – . Negli anni è stato potenziato e reso più efficiente». Dal 2010 il sindaco è Giorgio Orsoni, Pd. «Abbiamo deciso subito di chiudere l’inceneritore – continua Bettin – . Siamo stati la prima amministrazione della città a muoversi in questa direzione». Per raggiungere l’obiettivo, dice, è stato necessario ridurre al minimo i rifiuti portati in discarica. «Era l’unico modo per non doverli far bruciare altrove».
Bettin spiega che la raccolta porta a porta è stata raddoppiata, passando da tre a sei passaggi settimanali. Poi sono stati introdotti cassonetti con una chiave personalizzata per ogni cittadino e un’apertura molto stretta, che costringe a separare la spazzatura più accuratamente. Risultati? «Nella prima municipalità in cui li abbiamo piazzati la differenziata ha superato il 78% nel giro di un anno. Nella seconda siamo sopra il 70 per cento. Nella terza oltre il 60. L’ultima in ordine di tempo è la più grande, Mestre centro, per cui finora abbiamo solo dati parziali». La terraferma veneziana, che ha più di 200mila abitanti, sarebbe stabilmente tra il 60 e il 70 per cento. «Un anno fa era poco sopra il 50. Il successo ci ha permesso addirittura di anticipare la chiusura di Fusina».
La previsione è che l’impianto si spenga del tutto entro fine gennaio. Le decine di persone che ci lavorano dovrebbero restare dipendenti dell’azienda pubblica che lo gestiva. Secondo il Comune le emissioni di anidride carbonica scenderanno di circa 60mila tonnellate all’anno. «Questa scelta – riprende l’assessore – ha comportato un investimento, ma contiamo di recuperare, perché in prospettiva la differenziata fa risparmiare. E poi su questo tema il calcolo economico non può essere decisivo». Bettin pensa che una decisione simile potrebbe esser presa ovunque, ma riconosce le difficoltà: «Negli ultimi 20 anni le politiche nazionali sono state fortemente orientate alla costruzione dei ‘termovalorizzatori’, come vengono pudicamente chiamati».
Dubbi e speranze
Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, ammette che l’amministrazione ha mantenuto una promessa, ma è cauto sui prossimi mesi. «Secondo noi il Comune ha fatto un passo un po’ lungo, anche se rispettabile. La differenziata è aumentata in modo vertiginoso, però siamo ancora in fase sperimentale. Mestre è diversa dai piccoli centri, e per ora non abbiamo dati certi». Di cosa avete paura? «Se resta una quota di rifiuti da bruciare, può finire in altri inceneritori. Serve un livello di differenziata che tenda almeno al 70%: ancora non abbiamo percentuali consolidate di questo tipo».
Lazzaro si augura che l’esempio veneziano sia replicabile. «Se vogliamo che lo sia in tutta Italia dobbiamo pensare a un ciclo virtuoso dei rifiuti, a riciclarli ma anche a ridurli. Bisogna produrne meno e differenziarli meglio. Su questo la politica latita a tutti i livelli: nazionale, regionale, locale». Perché altri Comuni non dicono no agli inceneritori? «Usare la spazzatura per produrre energia rende. Finché Roma manterrà gli incentivi per chi lo fa, sarà difficile che le amministrazioni scelgano strade diverse». E continueremo a raccontare solo casi isolati.