Gianrico Carofiglio. In Italia uno degli scrittori più famosi e amati. Le presentazioni del suo ultimo romanzo, Il bordo vertiginoso delle cose (Rizzoli, 320 pagine, 18,50 €), registrano il tutto esaurito. Alla storica libreria Galla di Vicenza, a due passi dalla palladiana Piazza dei Signori, non c’è un posto nemmeno a pagarlo: elegantissime signore di mezza età contemplano Carofiglio con l’intensità che le fan di Lady Gaga riservano all’eccentrica diva. Al bookstore dell’aeroporto di Fiumicino pure i piloti di aereo mettono da parte il proverbiale aplomb e fanno la coda per farsi firmare una copia di quello che è già un bestseller (e una sicura strenna natalizia). Insomma, la Carofigliomania dilaga in tutta Italia. Eppure lo scrittore barese, 52 anni, ex magistrato ed ex senatore del PD, non ha il piglio della star. Ironico (e autoironico), affronta le folle adoranti con il sorriso sulle labbra, e un garbo solare da gentiluomo del sud che non ci si aspetterebbe di trovare in un uomo come lui. Che ha esplorato, con i suoi thriller e soprattutto con i suoi anni in magistratura, alcune delle zone più oscure dell’animo umano.
Con Linkiesta Carofiglio è un fiume in piena. Parla de Il bordo vertiginoso delle cose, e della sua passione per il karate. Degli scrittori che lo hanno influenzato, e del conflitto tra politica e magistratura. Del suo personaggio più riuscito, l’eroe debole Guido Guerrieri, e del ruolo del caso nelle nostre vite. Ha le sue convinzioni, Carofiglio, giuste o sbagliate che siano, ed è franco nell’esporle. E questo, ai suoi lettori, piace.
Nel suo ultimo libro ci sono alcuni temi forti sul tappeto. Uno di questi è l’iniziazione alla violenza. Se non sbaglio in passato hai praticato le arti marziali…
Ho praticato, e continuo a praticare, diverse arti marziali. Soprattutto il karate, ma ho fatto anche il judo. Sono arrivato fino al terzo dan con lo shotokan [stile di karate]. Poi il quarto e il quinto con lo shito-ryu [altro stile di karate]. Devo dire che le arti marziali hanno avuto una parte abbastanza importante nella mia vita. Nel romanzo c’è una storia di formazione al combattimento intesa come pratica fisica, ma non solo: perché dal combattimento, dalle discipline del combattimento, si possono trarre delle metafore interessanti. E questo è un punto centrale del romanzo. Un altro è la formazione alle idee, all’amore per le parole.
Il romanzo è ambientato negli Anni di piombo. Cosa vuole raccontare di quel periodo così drammatico per la storia italiana?
Il fatto che una parte del romanzo, una metà del romanzo, sia ambientata in quegli anni non significa che io voglia raccontare quel periodo in modo documentario; men che meno che io voglia affrontare una riflessione di tipo storico. Il romanzo è ambientato allora solo perché dovevo raccontare quella storia. La storia individuale, privata, di un ragazzo che sfiora la Storia con la S maiuscola, con i suoi drammi e le sue tragedie, e non ne viene risucchiato solo per un caso. Questo romanzo è soprattutto un romanzo su come le storie e i destini individuali siano determinati non soltanto dalle scelte che facciamo, ma anche da incontri casuali, e da circostanze veramente imponderabili. È anche un romanzo sull’importanza del caso nel decidere le nostre sorti.
E in effetti molti pensano che la nostra vita sia basata perlopiù sul caso.
In buona parte. Non bisogna trascurare il ruolo importante del caso. Per fare una citazione cinematografica, direi che Il bordo vertiginoso delle cose è un romanzo sulle sliding doors.
Passando dalle porte della metropolitana ai cancelli del tribunale. Sei stato a lungo un magistrato, qual è la sua opinione sugli attacchi fatti oggigiorno alla magistratura?
In realtà gli attacchi vengono fatti da molti anni, non soltanto oggigiorno, e vengono fatti essenzialmente da un segmento non piccolo del mondo politico che rifiuta il controllo di legalità. Rifiuta, cioè, il dovere di rispettare le regole. È molto semplice. Ciò non significa che non ci siano stati errori da parte dei singoli magistrati, o anche degli abusi. Capita. La questione però è che da un lato vi è un gruppo organico di soggetti politici che a vario titolo rifiutano la stessa idea di regole, la stessa idea di legalità; dall’altro lato ci sono dei magistrati che hanno cercato di far rispettare la legge, a volte sbagliando. La questione è in questi termini, e non certo in quelli (come qualcuno ha cercato di far credere) di conflitto tra due poteri. Cosa molto diversa.
Da magistrato a scrittore. Com’è stato abbandonare il ruolo di “uomo delle istituzioni”?
Ho fatto il magistrato in un ufficio giudiziario fino al 2007. Poi ho lavorato come consulente della Commissione antimafia fino al 2008, quando sono diventato parlamentare. Ho finito di fare il senatore quest’anno, e lasciando il Parlamento ho dovuto decidere se rientrare in magistratura… Ho pensato che non fosse opportuno, perché la mia vita era molto presa dal lavoro di scrittore, e non avrei potuto far bene il mestiere di magistrato. D’altra parte era da anni che non lavoravo in un ufficio giudiziario, quindi non c’è stato un passaggio brusco, non me ne sono andato via di punto in bianco. Ero in qualche modo abituato a fare una vita diversa. Detto ciò, ammetto che è stato molto duro decidere di abbandonare una professione che ho svolto per tanti anni, e che ho amato molto. Però era, secondo me, la cosa giusta da fare.
I suoi romanzi quanto rispecchiano del suo vissuto?
Mah… non direi che rispecchiano il mio vissuto, ma che certamente ne sono influenzati, come accade a tutti gli scrittori. Se non avessi fatto il magistrato per tanti anni, e proprio in quegli anni… non so neanche se avrei fatto lo scrittore. Di sicuro non avrei scritto certe storie che invece ho potuto raccontare. Quindi l’influenza è fortissima.
Il personaggio, “riluttante e malinconico” dell’avvocato Guido Guerrieri, protagonista di tre suoi romanzi… Ti sei ispirato a qualcuno per crearlo?
No, è un personaggio di fantasia. Non è ispirato a nessuno del mondo reale. Anche se, naturalmente, quando uno scrittore costruisce… ma costruisce è una brutta parola. Diciamo che quando uno scrittore inventa, progressivamente, un personaggio, attinge a elementi che vengono dal mondo reale, quindi da persone realmente esistenti. Il problema è che non sa da quali. La risposta, quindi, è no. Guido Guerrieri non si ispira a uno specifico personaggio del mondo reale.
E nel mondo reale cosa fa Gianrico Carofiglio ? Quali sono i suoi hobby, i suoi interessi?
Ho un sacco di hobby, e un sacco di nevrosi anche. Gli hobby sono spesso nevrosi. Ho un sacco di passioni temporanee che poi mi passano in fretta. Però di permanenti ho certamente la letteratura, la musica, il cinema, un certo approccio allo sport. E poi ci sono tante altre piccole passioni, fissazioni, hobby…
Parlando di letteratura: quali sono stati gli autori che hanno ispirato di più Carofiglio?
Ispirato non saprei dire. Ci sono autori che probabilmente… dico probabilmente perché non lo so con certezza… ci sono autori che forse hanno influenzato il mio stile di scrittura. Direi forse Carver, Simenon… anche Kafka, per la sua percezione dell’assurdità del mondo, e il tentativo di superarla. Poi tanti altri, senza dubbio.
Un’ultima domanda, e mi rivolgo al magistrato. Si può sconfiggere la mafia?
Sicuramente sì. Io cito quello che diceva Falcone: la mafia è una cosa umana e come tutte le cose umane ha avuto un principio e avrà una fine. Ci sono molti modi, naturalmente, per sconfiggerla. La legalità diffusa è una buona premessa per sconfiggere la mafia; il contrasto criminale in senso stretto ovviamente è una buona cosa; la lotta ai patrimoni è di sicuro lo strumento più efficace, nel lungo termine, per sconfiggere le mafie, e in generale il crimine organizzato.
Con la collaborazione di Giorgio Catania.