Copyright all’italiana, quando il pirata è lo Stato

AGCOM

In questa storia le contraddizioni e le incongruenze spuntano come funghi dopo la pioggia a fine estate. Il polverone scatenatosi in quella che è stata definita la “settimana dell’attacco a Internet” sta diventando sempre più fitto con il passare dei gorni. Da quando il 12 dicembre è stata approvata una versione (in teoria) definitiva del Regolamento sulla Tutela del Diritto d’Autore sulle Reti di Comunicazione Elettronica, le polemiche sulle novità normative riguardanti la rete non si sono ancora placate né promettono di farlo presto.

I contenuti del regolamento non introducono delle novità assolute, ma rendono operativa la funzione di controllore dell’Agcom nei modi che erano già stati ampiamenti discussi e criticati a partire dallo schema provvisorio presentato a giugno. Il regolamento è stato rattificato, tuttavia, in concomitanza con Destinazione Italia e i fuochi d’artificio della Web Tax. Le cose inoltre non sono poi così chiare perché un’altra norma aggiunta all’ultimo nella Legge di Stabilità si legherebbe nei contenuti al documento dell’Autorità per le Comunicazioni, anche se non è ben chiaro chi siano i proponenti e il legame formale e normativo con il testo dell’Agcom.

Il regolamento sulle comunicazioni aveva già fatto ampiamente discutere mentre venivano elaborate le prime bozze. Sta di fatto che i tempi previsti a giugno avrebbero visto il testo entrare in vigore entro il 1 febbraio 2014. Alla fine, entrerà in vigore il 31 marzo 2014: uno slittamento di soli due mesi, in un’Italia paralizzata da temi molto più urgenti, sembrerebbe un caso di inusuale efficienza a scapito del tema controverso. Eppure la versione approvata la scorsa settimana, non è stata neppure modificata rispetto alla bozza di giugno. A esser sospettosi, sembra che qualcuno abbia avuto interesse ad accelerare l’iter amministrativo nonostante il regolamento sia, nelle sue possibilità di applicazione, poco più che una bozza.

Nel suddetto documento, si riscontrano delle evidenti e allarmanti contraddizioni, che sono state peraltro segnalate dall’Unione Europea e completamente ignorate. Nonostante, infatti, si presenti come un provvedimento regolativo con fini educativi, le novità che introduce sono essenzialmente repressive e istituiscono precisi strumenti per eliminare contenuti incriminati o, addirittura, oscurare interi siti. Tutto questo fa sorgere più di qualche dubbio sulla reale volontà delle nostre istituzioni di promuovere un uso consapevole di Internet. Ma forse perché i primi a mancare di questa consapevolezza sono proprio i nostri politici. A pensar ancora un po’ più male si direbbe che c’è in gioco qualche gruppo di pressione: il regolamento dell’Agcom istituisce un apposito Comitato per lo Sviluppo e la Tutela dell’Offerta Legale di Opere Digitale, che, nonostante il nome altisonante, sembra una lobby istituzionalizzata.

Ma sono la vaghezza e la confusione semantica con cui vengono definiti alcuni termini chiavi del regolmento a essere motivo di preoccupazione. Innanzitutto “opera digitale”:

p) “opera digitale”: un’opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica;

La definizione è troppo generica e così com’è potrebbe essere applicata, oltre che a casi semplici come un film coperto da diritti che si trova illegalmente in streaming, sia a un singolo link, come in aa), come a un intero sito Internet, come per esempio TUTTO Facebook. Nel testo vengono date altre 31 definizioni, ne propongo altre tre:

v) “link”: collegamento ipertestuale all’opera digitale di cui alla lettera p);

z) “torrent”: codice alfanumerico di collegamento attraverso il quale gli utenti sono posti nella condizione di interagire ai fini della fruizione delle opere digitali di cui alla lettera p);

aa) “uploader”: ogni persona fisica o giuridica che carica opere digitali su reti di comunicazione elettronica rendendole disponibili al pubblico anche attraverso appositi link o torrent ovvero altre forme di collegamento.

Secondo il regolamento, sarebbe uploader anche chi pubblica nel web un singolo link che punta a un contenuto che non rispetta il diritto d’autore. Eppure poco dopo si precisa che “il presente documento non si riferisce agli utenti finali che fruiscono di opere digitali in modalità downloading o streaming, nonché alle applicazioni e ai programmi per elaborare attraverso i quali si realizza la condivisione diretta tra utenti finali di opere digitali attraverso reti di comunicazione elettronica”. Eppure, se si legge la definizione che il testo dà dei file conosciuti come Torrent, sorgono alcuni dubbi sulla stessa comprensione della materia da parte del legislatore.

Chi utilizza la rete viene visto come un soggetto debole, da educare, ma soprattutto da proteggere (che è diverso dal tutelare). Alcuni passaggi inaugurano il nuovo genere grottesco del dispotismo ingenuo:

3. Il Comitato, anche in collaborazione con altri soggetti pubblici o privati, cura: a) la promozione di misure di educazione alla legalità nella fruizione di opere digitali, anche attraverso l’adozione di procedure di reindirizzamento automatico ad apposite pagine internet a ciò dedicate.

E non vengono dimenticate nemmeno le giovani generazioni, sebbene le finalità educative del regolamento siano soltanto a livello teorico: “L’Autorità promuove l’educazione degli utenti alla legalità nella fruizione delle opere digitali, con particolare riferimento ai più giovani”. Ma se l’Agcom promuove la fruizione legale di opere digitali, perché a distanza di pochi giorni, gli ebook vengono penalizzati a dispetto del cartaceo nel decreto Destinazione Italia che abbassa l’IVA solo a quest’ultima categoria? Inoltre l’Autorità, affermando di promuovere la fruizione legale, si dimentica che allo stesso tempo, di fatto, restringe il significato di cosa è legale e cosa no. Evidentemente le nostre istituzioni sono schizofreniche e mancano di coordinazione nel perseguire obiettivi comuni.

Infine, la chiave di volta è l’Articolo 6, che definisce che cos’è l’Istanza all’Autorità da presentare in caso di violazione:

1. Qualora ritenga che un’opera digitale sia stata resa disponibile su una pagina internet in violazione della Legge sul diritto d’autore, un soggetto legittimato può presentare un’istanza all’Autorità, chiedendone la rimozione.

Questo passaggio è il più controverso, in quanto specifica quali sono i nuovi poteri dell’organismo che doveva essere di garanzia: ordinare la “rimozione selettiva” dei contenuti segnalati che sono stati giudicati dall’Agcom come violazioni e imporre la “disabilitazione dell’accesso” a un intero sito Internet. Non è chiaro se sarà l’Agcom a eseguire direttamene questo compto o se l’incombenza nella pratica verrà gestita dalla polizia postale.

Nella nostra legislazione manca il concetto di fair use e pare che tutte le regolamentazioni in maniera di digitale e internet siano inutili finché non si stabilsce una legislazione con dei principi più chiari. È inutile aggiungere norme quando si utilizza una legge sul diritto d’autore del 1941. Nel testo dell’Agcom non vengono neppure menzionati copyleft, creative commons e alternative software con approccio opensource. Ciò rende evidente come la finalità educativa tanto millantata è davvero solo di facciata. Il complesso delle leggi ha il difetto di presentare editoria tradizionale e digitale come due fazioni contrapposte, come se il prosperare dell’una dovesse implicare necessariamente il soccombere dell’altra.

La cosa meno chiara è la norma infilata all’ultimo minuto nel Decreto Destinazione Italia, così riassunta nel comunicato stampa del Governo riguardo le

disposizioni di tutela del diritto d’autore quale strumento per la soluzione delle controversie derivanti dall’utilizzo dei contenuti giornalistici da parte dei motori di ricerca o di aggregatori di notizie al fine di contemperare l’esigenza della circolare dell’informazione anche sulle piattaforme digitali con la garanzia del rispetto dei principi in materia di tutela del diritto d’autore.

Si tratterebbe di far pagare agli aggregatori di notizie un obolo agli editori per il semplice fatto di linkare una pagina. Il punto è: una pagina web è linkabile esattamente come un giornale è sfogliabile. È fatta così, è la sua natura! Chi non vuole che i suoi contenuti siano liberamente linkabili sul web, semplicemente non deve metterceli! Oppure mettere delle limitazioni, cosicché possano accedere al contenuto solo coloro che sono stati autorizzati.

In un momento molto delicato per l’Italia, affrontare con questa superficialità la discussione sul diritto d’autore in rete, i modelli di distribuzione dei contenuti e, addirittura, l’imposizione di una legge sulla tassazione dei servizi online sembra davvero eccessivo. Il modo in cui la vicenda è stata gestita evidenzia un pressapochismo spaventoso nell’affrontare questioni cruciali per il futuro dell’Italia. Potrebbe venire il dubbio che quelli che prendono le decisioni non conoscano a fondo la questione di cui si stanno occupando. Diversi attori seguono diverse agende, utilizzando strumentalmente per fini privati, quello o quell’altro aspetto della questione. La strada è piena di falsi indizi e strade interrotte. Le nostre istituzioni hanno raggiunto livelli ragguardevoli di schizofrenia e ciò non può che aumentare il sospetto nei confronti della classe politica. Francesco Boccia ci ha messo la faccia e ce l’ha lasciata, agnello sacrificale sull’altare della Leopolda. Ma quali e quanti sono gli interessi nascosti in questo groviglio di norme, decreti e regolamenti sulla rete? E soprattutto, chi è che viene tutelato? Chiunque sia, in un momento di crisi come questo, non possiamo permetterci di inimicarci Google ed esporci alla “rappresaglia” dei big dell’informazione soltanto per i suoi interessi. O la sua stupidità.

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