BERLINO – Doveva essere un discorso storico e invece è stato quello di sempre. Angela Merkel, un giorno dopo essere stata eletta alla cancelleria per la terza volta, torna in Parlamento a parlare di crisi ed Eurozona. In Germania, Merkel ha cambiato tutto nel governo per poter ottenere che le sue politiche europee non fossero toccate. Dalla composizione del Consiglio dei Ministri, il contenuto del programma e quello del suo primo discorso di fronte al parlamento, il messaggio appare chiaro: è convinta che la sua ricetta sia quella giusta e vuole passare alla storia come la cancelliera che ha guidato l’Europa fuori dalla crisi, nel rispetto degli interessi della Germania. È una scommessa rischiosa e fino ad ora le è mancata la visione.
Non c’era bisogno di sottolinearlo ma lo ha fatto comunque, dal podio, giacca verde petrolio: «Che questo discorso sia centrato sull’Europa non è solo una questione di appuntamenti ma un segnale chiaro che la situazione è cambiata». Parlare oggi di politiche tedesche non è pensabile se non nel contesto Europeo, e allo stesso tempo, «parlare nel Bundestag di Europa significa pensare al ruolo della Germania nell’UE». Accompagnare il processo di integrazione «rimane uno degli obiettivi fondamentali di questo Governo».
È stato un intervento più chiaro del solito, con frasi più scandite e messaggi meno tecnici. Si è aperto con una lunga rassegna sui risultati ottenuti e le priorità da affrontare nel campo dell’educazione e della ricerca. «La ricchezza dell’Europa giace nella conoscenza», ha detto Merkel. Allo stesso tempo il lavoro e gli stimoli alla crescita devono rimanere centrali, salvo non addentrarsi in dettagli. In generale, nel contesto della crisi, Merkel vede i primi segnali di ripresa. «L’Europa ha fatto un passo avanti verso la stabilizzazione. Lo European Stability Mechanism (ESM) funziona. (…) Siamo riusciti a mantenere la moneta unica attrattiva: a gennaio entrerà la Lettonia».
Eppure, e qui il bastone dopo la carota, «la ripresa è tutto meno che garantita». Secondo la cancelliera, «il principio secondo cui solidarietà e responsabilità sono due facce della stessa medaglia è giusto e va mantenuto». A partire da questo punto fermo, una serie di iniziative a tutti i livelli sono necessarie per correggere gli errori strutturali della moneta unica e perseguire «un’Europa più forte, della stabilità, della crescita e della sicurezza sociale». L’unione bancaria, che è oggi all’ordine del giorno all’Ecofin a Bruxelles va in questa direzione. E infine ha espresso la necessità di «sviluppare ulteriormente» i trattati europei: «Chi vuole più Europa deve essere anche pronto a cedere più competenze».
Doveva essere un discorso storico: ieri con 462 voti su 621 – e 32 franchi tiratori dalla Grosse Koalition – Merkel è stata eletta per la terza volta alla cancelleria. Era successo solo in due occasioni prima, con Konrad Adenauer ed Helmut Kohl, entrambi, come Merkel, cristiano democratici della Cdu. Il primo si considera il suo padre politico. Il secondo è stato, letteralmente, il suo mentore, quello che lei stessa ha affossato con un famoso articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 22 dicembre del 1999, una volta raggiunte le competenze necessarie per emanciparsi.
Entrambi i suoi predecessori hanno giocato un ruolo fondamentale in Europa. «Konrad Adenauer ha stabilizzato la Germania occidentale dopo la guerra. Helmut Kohl ha stabilizzato la Germania unificata», la logica vuole, secondo quanto scrive Torsten Krauel su Die Welt, che «Merkel stabilizzi l’Europa come unione di stati».
«Adenauer e Kohl avevano una visione chiara, e Merkel?», si chiede Michael Stümer, dalle pagine della stessa testata conservatrice. Dopo il dramma della seconda guerra mondiale, attraverso la cessione di sovranità e le politiche di contenimento, «paradossalmente riuscì a trasformare la Germania occidentale da oggetto in mano ai vincitori a soggetto politico». Helmut Kohl, dal canto suo, «forse senza prevederlo e nemmeno pianificarlo», seppe interpretare le circostanze per accompagnare la caduta del muro e guidare la riunificazione. Entrambi hanno dimostrato un coraggio politico, una visione e la capacità di sfidare il senso comune e l’opinione pubblica tedesca per gettare il cuore oltre l’ostacolo e spingere sull’integrazione. Merkel continua invece ad assecondare gli elettori.
Le scelte della cancelliera tradiscono la volontà di lasciare il segno in Europa. Non curante delle critiche che provengono dal proprio partito ha fatto sì che i rivali storici e ora soci di governo dell’Spd uscissero dalle trattative come (apparenti) vincitori. I socialdemocratici controllano il maggior numero di ministeri: Economia ed Energia, Esteri, Lavoro, Ambiente, Giustizia e Famiglia. Inoltre sono riusciti a scrivere nel programma alcune promesse fondamentali della loro campagna come l’introduzione del salario minimo universale a 8,50 euro l’ora. «Merkel tace e sorride», scrive sulla Süddeutsche Zeitung il celebre opinionista Heribert Prantl, «non ha niente contro al fatto che l’avversario Sigmar Gabriel le rubi la scena e si presenti come il gran vincitore». Rimane in silenzio perché sa di aver ottenuto ciò che voleva: mantenere il suo braccio destro europeo Wolfgang Schäuble come ministro di Finanza per assicurare la continuità e trascrivere letteralmente i principi dell’austerity nel programma di governo.
Doveva essere un discorso storico ma non lo è stato. È mancato lo slancio propositivo e anche solo una nuova idea forte. È mancata la capacità di osservazione e di analisi di ciò che sta veramente accadendo in Europa per le strade. Lo ha ricordato la pasionaria Sarah Wagenknecht, portavoce di Die Linke, non appena presa la parola. Ha ricordato l’aumento dei suicidi in Europa e si è lamentata del fatto che «non ci sono statistiche riguardo a quante persone stanno morendo per la mancanza di medicinali e assistenza medica». Allo stesso tempo aumentano i patrimoni dei multimiliardari. «È questo il vero aspetto che ha l’Europa ora, Frau Merkel».
Al discorso della cancelliera è mancata in fine la presa di coscienza dell’aumento della dimensione e aggressività dei movimenti anti euro e anti Europa nel continente. Ha preferito mandare messaggi facili alla pancia della Cdu: «Non possono certo dirci che siamo noi a minacciare la competitività in Europa, quando rimane anche un solo paese in cui l’energia è più economica che da noi», ha detto in riferimento al dibattito sul surplus di esportazioni tedesco.
Merkel vuole passare alla storia come la cancelliera che ha condotto l’Europa fuori dalla crisi, ma se non cambia prospettiva rischia di farlo come colei che l’ha lasciata sgretolare.