Futuri politici tech«Il mondo è mio!»

Googlecrazia

Esterno giorno. Visione apocalittica di paesaggio urbano. Robot alti quanto i grattacieli distruggono tutto quello che incontrano con armi non convenzionali. Il cattivo di turno, che ha progettato il software di amministrazione e ha finanziato l’implementazione dell’hardware, si abbandona a risate senza evidenti ragioni di comicità; infine dichiara «il mondo è mmmio!». La tripla m è indispensabile per stimare il grado di perfidia iniettata nel personaggio.

L’ingenuità della fantasia dei manga e degli anime consiste nel limitare le possibilità della dominazione globale al solo istinto malvagio. Data la premessa, la negoziazione che conduce al totalitarismo universale deve passare attraverso guerra, distruzione e morte. Quello che sta accadendo invece è denunciato da un sintomo molto diverso, passato attraverso i canali di comunicazione della comunità degli esperti SEO – i nerd patiti di motori di ricerca.

Su Search Engine Roundtable Barry Schwartz riferisce a metà dicembre che un neonato ha preferito il termine «Google» ai consueti «mamma» e «papà» come prima parola da pronunciare nella sua vita. Il nome del motore non è tra i lemmi più semplici da pronunciare: richiede due colpi di epiglottide e una chiusura vocale molto meno intuitiva della liberazione prevista per le a di mamma e papà. Il giornalista spiega questa preferenza per la complessità da parte dell’infante con un argomento elementare: il bambino ha ripetuto la parola che ha ascoltato più spesso nel corso della sua breve vita.

La ragione della onnipervasività di Google nella famiglia del piccolo è dettata dal rispetto di un imperativo di base della tradizione nerd da parte del padre: se esce una novità tecnologica per il tuo cellulare, provala al di là della sua utilità, in ogni caso. Lo smartphone funziona con Android, e include la versione del sistema operativo che si attiva con il riconoscimento vocale. Così il genitore passa la giornata a formulare interrogazioni su Google pronunciando ad alta voce le domande da sottoporre al motore di ricerca. Tanto lavoro, tante curiosità, tante repliche del nome fatidico.

Google è ovunque perché crea nuove forme di esperienza, nuovi dizionari, nuove prospettive pedagogiche e nuovi traumi infantili. Non credo sia facile sostenere che ora il lavoro, o la vita quotidiana, o la coltivazione degli hobby, siano più veloci di un tempo. O anche solo più facili da gestire, o con maggiori opportunità. Direi che di fatto ora il mondo si abita e si frequenta in questo modo, senza la possibilità di aggirare i servizi offerti da motori e da social media e di intrattenere con loro una contrattazione sullo scambio di dati che sono coinvolti in ingresso e in uscita nel funzionamento del meccanismo.

La dominazione del mondo avviene non attraverso la sua distruzione, ma attraverso la sua imposizione. Non è la negazione della realtà che mostra la forza dell’imperatore, ma la sua munificenza di nuove possibilità, di altri servizi, la sua capacità dispositiva. Secondo John Battelle occorre leggere in questo quadro di dominazione complessiva del reale, l’operazione finanziaria attraverso la quale Google ha rilevato la più avanzata società di progettazione e realizzazione di robot, la Boston Dynamics, venerdì 13 dicembre. 

Questa è l’ottava azienda del settore robotico acquistata da Mountain View negli ultimi sei mesi. Il principale cliente della Boston Dynamics è l’esercito americano, per il quale sono state progettate delle macchine che si spostano nell’ambiente reale con un movimento che imita la deambulazione dei cani. Intervistato dal MIT Technology Review, il rappresentante del team che si occupa di robotica in Google, James Kuffner, dichiara che le ragioni dell’acquisto non possono ancora essere rivelate. Ma nel quadro tracciato da Battelle, l’operazione deve essere compresa nel contesto della registrazione dei dati offline avviata da Google già a partire dai primi passi del progetto Maps.

Larry Page descriveva la ricerca perfetta come uno degli obiettivi per la sua creatura già nel corso delle interviste rilasciate per il volume di John Battelle uscito nel 2005, The Search. La ricerca perfetta non si limita a individuare l’elenco delle risposte corrette per ogni individuo, profilate sulla base della rilevanza che i suoi interessi assegnerebbero ai contenuti disponibili online (se avesse il tempo di scrutinarli tutti). Lo scopo è quello di estendere il raggio di azione del dispositivo di ricerca al di fuori degli archivi digitali, per raggiungere il mondo reale che circonda gli schermi dei computer. Se cerco il maglione blu, Google deve essere il soggetto più affidabile cui chiedere dove il golf è stato avvistato l’ultima volta.

Quando Luc Vincent ha avviato i lavori per lo sviluppo di ciò che un giorno sarebbero diventati Google Maps e Google Street Viewer, gli embrioni di questi servizi erano il frutto del 20% del tempo di lavoro dedicato ai piani di indagine personale. Era il 2005, e l’interazione con il contenuto delle mappe appariva già allora come la killer app attraverso la quale Mountain View avrebbe potuto superare la concorrenza di Microsoft, di Yahoo! e di Amazon. Adam Fisher sul New York Times rintraccia nella storia delle funzioni di geolocalizzazione realizzate da Google un percorso verso il dominio del mondo reale, che è diventato progressivamente più cosciente. Il punto di partenza coincide con le mappe già disegnate da altri; ma con l’avanzamento del progetto la cartina si estende fino a diventare una proiezione ampia quanto il territorio che viene raffigurato. 

I dispositivi mobili con il sistema operativo Android, i Google Glass, la macchina che si guida da sola, ora l’avventura dei robot, segnano i passaggi di un’esplorazione del mondo fisico che deve aggiungersi ai dati già raccolti nei documenti online. L’infrastruttura di Knowledge Graph è deputata a compiere l’integrazione tra il sapere depositato negli archivi scritti e le informazioni che provengono dall’esplorazione dell’ambiente offline. Il fine ultimo dell’operazione è quello di raggiungere un’intelligenza dei fenomeni che compongono la nostra esperienza cognitiva paragonabile a quella di cui dispongono gli esseri umani – ma estesa a tutti i fatti che vengono alla luce sulla faccia della Terra.

La dominazione del mondo non mostra il volto truce dei robot di distruzione di massa; il loro aspetto è quello mansueto degli animali domestici, anche se vengono fabbricati per passare in dotazione all’esercito. Il compito degli automi è muoversi in ricognizione del mondo fisico anche nei luoghi in cui gli uomini non portano spontaneamente i loro occhiali e le loro automobili che si guidano da sole. La mobilità del robot incentiva inoltre lo sviluppo di un software che sia in grado di interpretare le caratteristiche dell’ambiente circostante secondo le nozioni del senso comune di cui ciascuno di noi è dotato per autoapprendimento, ma che rappresentano la mole di informazioni e di regole di interazione più inaccessibile per i computer tradizionali. In un buco si precipita, un muro è un ostacolo, un ragazzino con la stessa maglia è un compagno cui passare la palla: questo è l’universo delle norme non disponibili anche per il megacomputer capace di battere il campione di scacchi.

Il governo del mondo che Google ha in mente non ha il volto dell’asservimento dittatoriale dell’umanità, ma quello docile del servizio efficiente, quello generoso delle nuove possibilità di esperienza. Ma l’iniezione di queste forme inedite di pensiero, progettate da un software – e le conseguenze economiche e sociali dell’accesso a distese mai viste di informazioni – inaugurano dimensioni di giudizio e di decisione che non esisterebbero altrimenti. Non è proprio questo lo spazio del potere (che sorge prima ancora che io possa valutare il significato delle mie scelte) che andrebbe esaminato con la massima prudenza?

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