Aristocratici in Jaguar e contadini. Padroni e operai disoccupati. Autotrasportatori piegati dalle cartelle di Equitalia e nuovi ideologi del fascismo o ragazzi dei centri sociali di sinistra. Leghisti e grillini. Ex grillini e ex leghisti. Ex piddini e critici di Matteo Renzi. Sindacalisti di base o ex sindacalisti Cgil. Oppositori del fisco e indipendentisti veneti. Immigrati e ultras di squadre di calcio. Il movimento dei “Forconi” che sta piegando l’Italia da Nord a Sud è un magma vulcanico. Un pentolone in ebollizione pieno di sigle e controsigle, politiche, sindacali e di disparate associazioni di protesta. Non ha collocazione politica ben definita, né un coordinamento centrale, né un leader carismatico che al momento possa traghettarlo. Non c’è una ratio insomma, ma solo “spontaneismo” sostiene la maggior parte di loro. I presunti capi sono ormai noti. Come Danilo Calvani ex piccolo imprenditore dell’ortofrutta o Lucio Chiavegato falegname veronese e responsabile del Life Veneto. Ma ogni giorno ne spuntano di nuovi, come funghi. E si muovono senza un ragione razionale, senza un’ideologia, tra chi minaccia di bruciare i libri a Savona come Hitler nel maggio del ’33 fino a chi in piazzale Loreto a Milano organizza persino un’impiccagione sulla falsariga di quella del Duce Benito Mussolini.
Manifesto dei Fasci Italiani di Combattimento pubblicato su “Il Popolo d’Italia” del 6 giugno 1919
«È il vero spirito del fascismo di San Sepolcro del 1919, trasversale, che univa la sinistra interventista, sindacalismo, ex combattenti e antiparlamentaristi» rievoca Roberto Jonghi Lavarini, esponente della Destra per Milano, detto anche il Barone Nero, che in questi giorni gira per tutto il Settentrione sostenendo la protesta dei forconi. Si tiene in contatto con Najat Tantaoui, già portavoce della donne marocchine in Italia, vicina al Pd, tra le promotrici della rivolta dei forconi nel milanese, in particolare nel blocco del traffico in piazzale Loreto, terra di confine del capoluogo lombardo. «La chiamo “camerata” scherza Jonghi. «Ieri i militanti di Forza Nuova erano in piazza con i “leonkavallini” in una manifestazione pacifica: una scena bellissima». La trasversalità, la non appartenenza politica sono il motto di questa strana forma di protesta che sembra aver scavalcato persino il leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Non c’è una regia comune. Le frange di destra hanno l’ordine di cantare solo l’inno nazionale, ma allo stesso tempo si ritrovano a fianco giovani tifosi delle curve che cantano contro la polizia. Dovevano essere a Roma durante il giorno della fiducia, ma proprio per questi problemi organizzativi hanno preferito posticipare la “marcia” nei prossimi giorni.
Dal Piemonte al Veneto fino alla Puglia arriva uno tsunami che non ha né capo né coda, secondo i più audaci studiosi di storia “simile per certi versi alle guerre di Vandea» in Francia al tempo della rivoluzione francese: all’interno non a caso c’è un corposo gruppo vandeano di nobili contadini, tradizionalisti monarchici e cattolici. Ci sono gli imprenditori che hanno dovuto chiudere per la crisi economica, come nel vercellese dove diverse aziende agricole sono scese in piazza, con i padroni e i lavoratori. Ci sono i padroncini che si ritrovano sulla scrivanie pile di cartelle di Equitalia che hanno portato al suicidio tanti loro colleghi. E ci sono i figli della recessione: secondo l’OCSE in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 41,2% a ottobre, in decisa crescita rispetto al 40,05% di settembre. «La gente è determinata, abbiamo continue adesioni alle manifestazioni. Sono presenti tutti gli strati sociali, dottori, disoccupati, cassintegrati. Gente che si alza le mattine alle 4 e torna a casa la sera alle 10, e alla fine del mese non riesce comunque a far quadrare i conti, perché i soldi in tasca non ce li hanno» sostiene Luca Taddei del Coordinamento 9 dicembre (che appoggia la protesta dei forconi), intervenendo a Prima di tutto, su RAI Radio 1.
Il problema è fermare le frange più estremiste, gli infiltrati. Come nel caso di Torino, che come ricordano alcuni parlamentari in queste ore a Montecitorio è sempre stata nella storia la città dove sono cresciuti i movimenti di protesta, estremizzati negli anni ’70 dalle Brigate Rosse. Askatasuna, punto di riferimento dell’area anarchico rossa del torinese, ha deciso di prendere le distanze. Ma tutto continua a ribollire. A volersi infiltrare tra i forconi sono soprattutto i partiti politici. Matteo Salvini, neo segretario della Lega Nord, è stato portato in trionfo fin sotto il Pirellone dai Cobas del latte. Così come Beppe Grillo ha chiesto alla polizia «di togliersi il casco e unirsi al popolo» in piazza. Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, avrebbe dovuto incontrare a Roma una delegazione di autotrasportatori, ma a deciso di rinviare dopo le polemiche delle ultime ore.
Del resto Daniela Santanchè, tra i falchi berlusconiani, ha ammesso che sono mesi e mesi che li ascolto e li ho ricevuti più volte. “È un settore piegato in ginocchio per tutti i rincari e i problemi di Equitalia”. Da Berlusconi sarebbe dovuto andare Augusto Zaccardelli, autotrasportatore ed ex ultras della Lazio, capo del Movimento autonomo degli autotrasportatori. Eppure Chiavegato di partiti politici non ne vuole sentire parlare. «Non crediamo ai Renzi e ai Tosi, i partiti li abbiamo cacciati con i fischi”. Intanto il ministro dell’Interno Angelino Alfano lancia l’allarme: “Abbiamo segnali chiari da parte dell’intelligence: non sto qui ad aggettivare le ali estreme di questo movimento, ma certamente abbiamo gli occhi su di loro e sapremo cosa fare se esagerano».