Il web linciaggio dei fanatici animalisti

Il caso Simonsen

Che storia indecente e oscena, ma anche in qualche modo esemplificativa – una terrificante storia di Natale – quella di Caterina Simonsen, la ragazza di 25 anni, affetta da molteplici e gravi malattie genetiche, ingiuriata sul web per aver difeso la ricerca sugli animali, e aver raccontato, che grazie a questo lavoro scientifico, la sua aspettativa di vita si è allungata: “Senza la ricerca sarei morta a nove anni, mi avete regalato un futuro”.

Stupisce non tanto la violenza delle offese che ha ricevuto (“Se crepavi a nove anni non fregava nulla a nessuno”, “Non so non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per un egoista come te”), non solo la violenza che ogni volta affiora dal Web, con un pretesto o con un altro, protetta, come sempre, dalla vigliaccheria dell’anonimato. Quello che stupisce davvero, invece, è l’integralismo e la violenza di chi senza nemmeno preoccuparsi delle condizioni di vita di chi insulta, antepone a tutto il suo assoluto. C’è una sottocultura della vita, apparentemente buonista, apparentemente carica di umanità, che esalta gli animali al punto da arrivare a disprezzare gli uomini. Mi viene sempre in mente la storia di Rudolf Hoss, ultimo comandante di Auschwitz, quello che sul suo diario, poi pubblicato da Einaudi, si commuoveva per la riuscita degli esperimenti di gasazione con lo Ziklon B, e subito dopo si lanciava in ampi proclami di amore per la natura, per i cuccioli, per tutti i viventi non umani. 

A questa folla inferocita, cieca e scomposta che si è manifestata contro Caterina, in fondo, andrebbe rivolta una semplice domanda: ma se fosse capitato a voi, di vivere una vita attaccata ad un respiratore, che cosa avreste fatto? Dubito che questa compagnia di violenti, di presuntuosi e di arroganti, abbia rinunciato a mangiare carne, uova o pesce. E sarei quindi molto curioso di sapere, per quale motivo, le sperimentazioni sugli animali che producono farmaci salvavita, siano considerati più gravi dell’allevamento intensivo o dell’uccisione per fini alimentari. C’è insomma, dentro il purismo apparentemente generoso di chi disprezza una ragazza ammalata in un letto, esaltando l’integralismo animalista, non l’amore per la vita, ma un cuore di autentico razzismo: esaltano l’estetica del cucciolo indifeso e disprezzano l’umanità malata, coltivano il proprio egoismo fingendo di non sapere che ogni volta che prendono un farmaco, utilizzano, in maniera indiretta anche loro il frutto della ricerca e della sperimentazione. Non ho nulla contro gli animali, ovviamente: ma ho molto da dire contro gli uomini e le donne che si comportano come animali, perché disprezzano inconsapevolmente la debolezza, e sono presi da una furia ferina che cancella qualsiasi sentimento di solidarietà umana. A tutti loro, ogni volta che si sentono male, andrebbe prospettata l’idea di fare loro stessi da cavie umane. Cosa che agli animalisti nazisti, e al vegetariano Hitler, meno confusi, e più lucidi di loro, veniva facile e consequenziale.

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