La Lega, che ti frega. Potrebbe essere questo un efficace slogan elettorale per gli avversari del Carroccio che, in Veneto e soprattutto in Piemonte, a tre anni e mezzo dall’inizio del suo mandato amministrativo, è entrato in una fase crepuscolare. Scandali finanziari, inerzia, riforme annunciate e mai realizzate hanno tradito ogni promessa di cambiamento. E trasformato in una barzelletta il progetto della macro-regione del Nord, che ambiva all’autonomia politica e finanziaria per creare un sodalizio europeo con le altre aree produttive dell’arco alpino.
Con lo scandalo sulle spese pazze dei consiglieri regionali della maggioranza Lega-Pdl, in Piemonte è già cominciata la campagna elettorale, in vista del crollo della giunta leghista, guidata da Roberto Cota. Dopo l’annuncio delle dimissioni dagli incarichi istituzionali del gruppo del Pd, caldeggiate dal vicepresidente del consiglio regionale Roberto Placido, – che già l’anno scorso era sceso in trincea al grido di «Mandiamo a casa Cota», entrando in aula con un elmetto della Grande Guerra per fare una rappresentazione teatrale della sua opposizione frontale alla giunta leghista -, ora il centrosinistra sta tentando di fare uno scatto finale per bruciare persino i grillini (Beppe Grillo sabato 7 dicembre tornerà in piazza a Torino per cercare di scaldare i cuori sabaudi rispolverando il motto «Tutti a casa»). Il M5s si è limitato, per ora, solo ad annunciare una raccolta di firme per mandare a casa Cota e un hashtag su twitter #Cotamente, ma il suo consigliere regionale è rimasto al suo posto, adeguandosi al mood poltronista.
Il casus belli è stato lo scandalo per le spese pazze dei gruppi consiliari della maggioranza Lega-Pdl, ai quali la procura ha contestato circa un milione e mezzo di euro. E molti dubitano che il governatore Cota, già logorato da faide interne alla Lega piemontese, abbia la forza di resistere ad oltranza per tenere in piedi una giunta dai piedi d’argilla. Infatti, dietro i gadget, le cene, i gioielli, i profumi, i regali, i tosaerba comprati con i soldi dei contribuenti, c’è qualcosa di più grave: una malattia ormai cronica. Ossia l’incapacità di far rientrare il governo della Regione dai suoi conti in profondo rosso. E tutti gli addetti ai lavori dentro Palazzo Lascaris sanno di camminare su una corda tesa a 500 metri di altezza, come funamboli senza una rete di salvataggio su cui atterrare, in caso di caduta.
Rinunciando alle proprie cariche istituzionali, i consiglieri regionali del centrosinistra hanno deciso di rimanere però sui loro scranni, fino al 28 febbraio del 2014 per riuscire ad approvare la previsione del bilancio di 11 miliardi, perché non si sa come far quadrare i conti di una Regione, la più indebitata d’Italia insieme alla Sicilia, su cui pesa un debito complessivo di 9 miliardi e mezzo di euro, e il rischio del default sempre in agguato. La campagna «Mandiamo a casa Cota, se non ora quando» è stata pensata dai dirigenti del Pd anche per ragioni di tattica politica e riunificare le correnti di un partito balcanizzato che, davanti al dilettantismo della giunta leghista, può cercare di recuperare credibilità di fronte agli elettori piemontesi, fra i più impoveriti dalla recessione nel Nord d’Italia, e infuriati contro la casta dei notabili locali. Quando Linkiesta l’anno scorso aveva affrontato il tema del debito piemontese (e il rischio del crac), la stima della Corte dei Conti calcolava un debito complessivo di 6,44 miliardi di euro.
Oggi secondo un documento, che circola in Regione, scritto dall’ex direttore del dipartimento regionale del Bilancio, Marco Moratto, in pensione da pochi mesi, la situazione si è aggravata. «Le previsioni assestate nel 2013 affermano che ci vogliono 16,5 miliardi di euro per affrontare le necessità di cassa, osserva Moratto. «Ovviamente considerate le reali disponibilità della Regione, le previsioni fatte sono irrealistiche. Nel 2013 non sono state attuate politiche di rientro ragionate, che si ripercuoteranno sul bilancio del 2014 a causa di politiche sbagliate iniziate molti anni fa».
Forse, ora, è inutile arrovellarsi sulle origini di un debito creato durante la giunta di Enzo Ghigo, accentuato dal governo di Mercedes Bresso (anche lei ora indagata per finanziamenti illeciti per via di 8mila euro spesi in campagna elettorale per la propaganda della sua lista, Uniti per Bresso, che sono finiti nel rendiconto delle spese del suo gruppo consiliare) e stressato ogni oltre limite dal governo regionale di Cota. Come conferma il capogruppo del Pd in Regione, Aldo Reschigna, membro della commissione Bilancio. «Nessuno lo dice, ma di fatto la gestione sanitaria è commissariata. Con il piano di rientro 2013-2015, il disavanzo è diminuito, ma il governo regionale deve chiedere l’approvazione al ministero dell’Economia, per ogni provvedimento di spesa. E sono stati cancellati 100 milioni per i servizi di extra-Lea (prestazioni per garantire i livelli essenziali assistenziali ad anziani e disabili) per il 2014, che penalizzeranno ulteriormente l’assistenza sanitaria territoriale.
Pochi lo sanno, ma ogni mese in Piemonte arriva un funzionario dell’agenzia nazionale per i servizi sanitari per verificare i conti della sanità. Perché la giunta Cota non ha accorpato le sette agenzie territoriali per l’edilizia, che sono dei doppioni?, chiede Reschigna. «Perché non ha dimesso le rilevanti quote nelle sette società controllate dalla Regione per lo sviluppo delle aree industriali?» Morale: nessuno osa dire che la Regione Piemonte è già collassata. E siccome è impossibile che un ente pubblico possa fallire, almeno ufficialmente, lo scenario che si potrebbe creare è quello di una paralisi.
Senza più alcun margine di spesa per poter governare il territorio, dare ossigeno alle imprese, mantenere la coesione sociale con politiche di assistenza e servizi sociali per i cittadini. E tutto questo accade(va), mentre i deputati regionali raccattavano qua è la scontrini, persino dai cestini della spazzatura, pare, per poter giustificare i loro miserrimi sprechi. Probabilmente quando i 43 esponenti del Consiglio Regionale verranno rinviati a giudizio, la giunta Cota, sarà già caduta se, come pare, anche gli esponenti del Nuovo Centrodestra, gli alfettiani insomma, si dimetteranno con gli esponenti del centrosinistra. Ma una cosa è certa: a Torino si stanno già incrociando le spade per una nuova sfida elettorale. E c’è già il nome del candidato del centrosinistra: Sergio Chiamparino.
Luca Zaia e, dietro di lui, Roberto Cota (Afp)
Il movimento padano è sotto pressione anche in Veneto, dove però i conti sono più o meno in ordine. Dopo tre anni e mezzo di guida leghista, l’opposizione rimprovera al governatore Luca Zaia di essere soprattutto un politico avvezzo agli annunci. E di non aver fatto alcuna riforma di quelle promesse nel suo programma «Prima Il Veneto». Sebbene un recente sondaggio di Swg abbia confermato la popolarità del governatore veneto, considerato dal 52% degli italiani il più capace.
Eppure in Veneto si sta affrontando un tema spinoso, che sta diventando un tormentone. Ossia il destino di 187 società partecipate, controllate, enti e organismi sovvenzionati dalla Regione Veneto. Quasi tutte in passivo. O in molti casi, superflue. Un bosco e un sottobosco di burocrazia elefantiaca tale da costringere la giunta leghista ad approvare una delibera per la dismissione di 60 partecipazioni. E lui, il popolare governatore veneto, in privato confida di aver perso la sua battaglia contro la burocrazia, pare. Pochi giorni fa un giornalista de Il Mattino di Padova, Daniele Ferrazza, ha provato a metterle in fila. E, facendo di conto, è arrivato alla conclusione che le partecipate venete, di Comuni, Provincia e Regione, hanno creato passivo complessivo di 100 milioni di euro. Secondo Diego Bottacin, consigliere di Verso Nord ed esponente di ciò che rimane di Scelta Civica, non sono solo i bilanci a destare scandalo, ma la loro inutilità.
Relazione partecipate Regione Veneto 2011
«Si tratta di carrozzoni elefantiaci nati nell’era Galan per alimentare postifici o fondate per creare feudi leghisti. Perciò noi abbiamo presentato un progetto di legge per abrogarle. Si azzera tutto e si ricomincia da capo. Zaia deve avere il coraggio di smetterla di fare una politica di annunci ad effetto». Le più contestate sono quelle che non producono servizi. Come Veneto Nanotech o Veneto Innovazione (600mila euro di disavanzo la prima, 350mila la seconda). E’ davvero prioritario per il Veneto, prima il Veneto ovvio, che ci sia una società regionale, Intermizoo, per lo studio delle razze taurine? La partecipata regionale, che attira di più le ire dei detrattori della giunta Zaia è Veneto Agricoltura, carissima ai padani che hanno l’ambientalismo agroalimentare a chilometro zero nel loro dna. Ha 17 sedi, 400 dipendenti, 40 società controllate. Commissariata, nel 2011 perdeva 5 milioni di euro, secondo gli oppositori di Luca Zaia è servita a far transitare manager leghisti per diversi Cda di società collegate e continuare così a distribuire consulenze a manager leghisti.
La passione padana per le partecipate è tale, che nel 2011 ne è stata creata una nuova di zecca: Veneto Promozione. Gestita da Unioncamere e dalla Regione, è un feudo dell’assessore Turismo, Marino Finozzi. Si occupa di promozione turistica e di internazionalizzazione delle aziende. E dalle attività svolte, sembra più simile a un’associazione di categoria imprenditoriale, che promuove una serie sterminata di inutili missioni internazionali in tutto il globo terrestre. Insomma la lista è lunga, ma la sintesi è breve. La Lega sempreverde c’è e (se può) ti frega.