Non ho mai visto un’aula in cui gli studenti somari potessero essere davvero mandati dietro la lavagna: questa forma di esposizione al ludibrio generale mi manca. Eppure, se in qualche modo potesse esistere ancora, il sistema scolastico italiano meriterebbe di essere trattato così. Lo stabilisce la valutazione del Programme for international student assessment (PISA) pubblicato lo scorso 3 dicembre dall’OCSE. Il giudizio deriva dai risultati del test che è stato somministrato a oltre 500 mila studenti dei 34 paesi OCSE, più altre 31 nazioni alleate. Il quadro rappresenta circa l’80% dell’economia mondiale, e coinvolge un campione di ragazzi intorno ai 15 anni (per essere precisi tra i 15 anni e 3 mesi – e i 16 anni e 2 mesi – come ricorda l’estensore rabelaisiano del documento), che è stato sottoposto a prove di conoscenza matematica e scientifica, nonché ad un sondaggio di comprensione della lettura.
Gli esiti del test revocano molti pregiudizi che si coltivano in Italia sulla presunta superiorità della preparazione liceale nostrana rispetto a quella dei colleghi europei e agli americani. I nostri studenti raggiungono una valutazione complessiva sotto la media OCSE in tutti e tre gli ambiti di indagine; dal punto di vista della preparazione scientifica e del grado di comprensione nella lettura vanno peggio dei coetanei negli USA, mentre se la cavano un po’ meglio in matematica. Il confronto con i maggiori partner dell’Unione Europea è così imbarazzante che non vale la pena parlarne.
Il documento PISA trova comunque parole di conforto per gli italiani, sottolineando che la competenza registrata presso i nostri ragazzi sta crescendo a vista d’occhio rispetto ai test somministrati nelle edizioni precedenti. Il dramma prosegue, ma la catastrofe sembra scongiurata, anche perché il livello medio di preparazione migliora a dispetto di un contesto economico in declino. Il disappunto degli ispettori OCSE è palpabile, dal momento che la situazione italiana si ostina a contraddire i cardini della loro interpretazione dei dati. Dal punto di vista generale sembra delinearsi una congruenza tra solidità finanziaria e libertà di investimento degli istituti scolastici da un lato, e dall’altro lato preparazione in ambito matematico. Dalle nostre parti invece il grado di competenza matematica e scientifica si potenzia fino a conquistare la palma del progresso più significativo dell’intero panel – ma con un processo che si muove per virtù propria, sullo sfondo della paralisi amministrativa delle scuole e della recessione economica nazionale.
L’Italia è il paese dei miracoli, dei santi e dei poeti – ma i futuri Dante e Petrarca, se esistono, sembrano poco inclini alla lettura, e ancor meno intenti a comprendere il significato di quel poco che hanno avuto l’avventura di sfogliare. Ma l’aspetto che desta lo sconcerto maggiore per gli osservatori internazionali è il divario che si apre tra i risultati raggiunti dagli studenti che abitano in regioni diverse, e addirittura per la frattura che separa gli esiti dei ragazzi che frequentano istituti diversi nella stessa città. Trentino, Friuli, Veneto e Lombardia raggiungono una preparazione media in matematico paragonabile a quella ottenuta in Svizzera, Germania, Olanda, Canada, Finlandia, e superiore alla Francia; Sicilia, Campania e Calabria competono con Cipro, la Bulgaria, la Turchia, la Serbia e Israele. Nessuno comunque regge il confronto con i coetanei del lontano oriente: Singapore, Hong Kong, Taipei e la Corea svettano al di sopra di ogni concorrenza possibile.
McKinsey stima che gli individui che hanno goduto di una formazione nei college possano vantare una probabilità di guadagno nel corso della loro carriera lavorativa tre volte superiore rispetto ai loro coetanei. Secondo i calcoli di questo report, il mondo ospita ben due miliardi di persone che aspirerebbero a ottenere una formazione abbastanza prestigiosa da innalzare le loro attese di ricavo economico, ma almeno il 70% non può permettersi l’investimento necessario per portarla a compimento, sia in termini economici, sia in termini di tempo disponibile.
Nonostante il disastro prestazionale del sistema scolastico (o al contrario, proprio a causa di questa inefficienza) il mercato della formazione privata in ambito digitale sta subendo un vero decollo finanziario. Per paesi come l’Italia l’alternativa dei corsi via cavo sembra un suggerimento da prendere in considerazione; in America invece si stanno già attrezzando in grande stile. Una delle piattaforme di corsi online più famose, Coursera ha appena attinto alla terza fase di finanziamento per un valore di 20 milioni di dollari, raggiungendo un investimento complessivo di 63 milioni di dollari.
Il settore del Massive Open Online Courses (MOOC) ha attratto anche Google, che ha stretto una partnership operativa con la piattaforma di corsi EdX. Anche LinkedIn ha deciso di impegnarsi senza risparmio in questa avventura imprenditoriale, stringendo un accordo con tutti i maggiori soggetti del mercato, Coursera, EdX, Lynda, Skillsoft, Udacity, Udemy. L’obiettivo è quello di certificare i corsi effettivamente sostenuti dagli utenti che postano i loro curricula sulla piattaforma, garantendo l’autenticità delle loro competenze formative.
L’elearning non può certamente essere venduto come una novità recente. Dal punto di vista politico, aveva già rappresentato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Clinton per il suo secondo mandato. Ma nel frattempo è cambiata sia l’infrastruttura tecnologica, sia il mondo che la ospita.
La struttura della Rete non può né proporsi come un generatore automatico di nuovi Socrate, né come un sostituto dell’esperienza dell’aula nella formazione della personalità. Non accetterei mai lo scambio dei miei anni universitari con un apprendimento monocratico via schermo. Ma allo stesso tempo, i corsi online non sono più soltanto una galleria di slide iniettate a forza nello squallore di una stanza da nerd. Le piattaforme accolgono insegnanti in carne ed ossa che parlano attraverso i video, implementano dispositivi di collaborazione, sono potenziate con l’intelligenza artificiale delle learning machine, agevolano il percorso di studi con meccanismi di simulazione. La camera è ancora quella del nerd, ma almeno qualcuno è passato a fare le pulizie e a progettare un arredamento più confortevole.
Il mondo forse è cambiato ancora di più. Il capitalismo americano ha insegnato a tutti che il set di competenze e di esperienza individuale rappresenta il capitale da cui i guadagni professionali futuri derivano come una rendita. La formazione è il pilastro essenziale di questo capitale. Pierre Lévy ha sottolineato più volte come una simile infrastruttura di pensiero imponga la rimozione della differenza tra lavoro e tempo libero, tra conoscenze professionali e cultura derivata dagli hobby. Ogni conoscenza diventa un valore in più nella concorrenza globale di tutti contro tutti. Nella Fahrenheit di Bradbury, ogni libro letto è una verità strappata alla distruzione; nella nostra epoca ogni riga letta in più è un brandello di possibilità per sfuggire alla disoccupazione o al lavoro squalificato e sottopagato. Sempre che si provi almeno a capire cosa significa.