I camerieri di Villa Gorica, complesso residenziale di lusso a Podgorica, in Montenegro, avranno sempre nel cuore lo sceicco Mohammed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, sovrano degli Emirati Arabi. In una sola notte ha distribuito mance per 50mila euro. Già, euro. Il piccolo Stato balcanico al confine con la Croazia, set naturale per film d’azione – l’ultimo è 007 Casino Royale – fa parte del ristretto club di Paesi che adottano il conio unico senza far parte dell’Eurozona. A differenza della Città del Vaticano, del Principato di Monaco e di San Marino, il governo montenegrino non ha firmato nessun accordo bilaterale con Bruxelles.
Di europeo il Montenegro ha ben poco. Basta farsi un giro alle Bocche di Cattaro, poche centinaia di km da Dubrovnik, per avere la rappresentazione plastica dell’influenza russa, dai mega yacht ormeggiati ai Suv parcheggiati a riva. La religione – come in Serbia – è cristiana ortodossa. Non è solo una questione culturale: come ha evidenziato nel 2011 un reportage del quotidiano russo Novaya Gazeta, oligarchi, burocrati, alti mandarini di Stato e membri della Duma negli anni scorsi hanno comprato a mani basse. In nero: i prezzi vanno dai 500 ai 1.500 euro per metro quadro, sul mercato secondario. Non solo: una delle più grandi agenzie immobiliari nella cittadina di Castelnuovo, la Mve Adriatika, appartiene a Yevgeny Shlychkov, membro influente del partito Russia Unita di Vladimir Putin. Insomma, per i russi lo staterello è la casa delle vacanze estive.
Ciò nonostante, tra i due Paesi non corre buon sangue. Nel 2006, anno in cui i montenegrini votarono l’indipendenza dalla Serbia, Putin dichiarò che ciò avrebbe costituito un «precedente negativo» per altre regioni come Kosovo, Abkhazia e Sud Ossezia. Lo scorso ottobre si è sfiorata una crisi diplomatica dopo le indiscrezioni del quotidiano Dan, smentite ufficialmente, che dava conto del “niet” di Putin a incontare il premier del Montenegro, Milo Đukanović. Motivo del contendere la fretta del Paese di entrare nella Nato – l’integrazione Euro-Atlantica – e la collaborazione in Afghanistan nell’ambito della missione Isaf.
Per affrancarsi da Mosca, Podgorica ha fatto arrabbiare Bruxelles. Sebbene i negoziati d’accesso all’Ue si siano aperti ufficialmente il 29 giugno 2012, il Montenegro adotta il conio comunitario dal 1999. Dallo staff di Aleksandar Andrija Pejović, negoziatore ufficiale del Paese presso l’Unione europea, spiegano a Linkiesta che per combattere l’iperinflazione seguita alla guerra in Kosovo il Paese introdusse il marco tedesco prima che Bruxelles approvasse il divieto di adozione unilaterale dell’euro. Il passaggio dal marco all’euro è stato curato dalla banca centrale montenegrina in collaborazione con Commerzbank, l’istituto tedesco che si è occupato di sostituire la valuta tedesca con gli euro. Successivamente l’istituto centrale ha siglato alcuni accordi con le principali banche commerciali europee per la fornitura di moneta, in quanto non può stampare moneta. In ogni caso, tengono a precisare, la Bce non ha mai espresso un orientamento contrario vincolante sul tema.
Il ragionamento dell’esecutivo funziona al contrario: toglieteci l’euro e non raggiungeremo mai le condizioni macroeconomiche, di stabilità del bilancio pubblico, di deficit e di investimenti diretti esteri per farne parte. Ormai è tardi, e la strategia macroeconomica del Paese è parametrata sull’euro. «Le dimensioni dell’economia montenegrina, sul totale dell’area euro, rappresentano poco più che un errore statistico», osservano ancora dall’ufficio di Pejović, e dunque non fa male a nessuno. Le ragioni non mancano, a guardare i fondamentali: a fronte di una popolazione di 621mila abitanti, il debito nel 2012 ha toccato il 45,3% del Pil a quota 1,48 miliardi, mentre il deficit si è assestato al 12,3% del Pil. L’ultima manovra finanziaria, per il 2014, è di soli 1,5 miliardi. Tanto per dare un termine di paragone, il Pil della Regione Veneto nel 2012 si è assestato a 141 miliardi di euro.
Nonostante sia poco più che un “errore statistico”, di recente l’integrazione del Montenegro in Europa, soprattutto sul fronte dell’impegno a creare un clima business friendly per gli investimenti esteri, è stato criticato dal rappresentante legale della Central european aluminium company (Ceac). La società basata a Cipro e amministrata da Viacheslav Krylov, membro del consiglio della Regione russa dell’Arcangelo, ha denunciato le interferenze del governo nella controllata Kombinat Aluminijuma Podgorica (Kap), di cui Ceac è azionista al 65% dal 2005. Kap rappresenta da sola il 15% del Pil del Paese e il 50% dell’export. Dalla rappresentazione non corretta della salute finanziaria della società, ora in bancarotta, alla vendita di alcuni suoi asset per ripagare i creditori – tra cui la filiale austriaca dell’istituto Vtb – fino alla rimozione forzata del management, naturalmente espressione di Ceac. La guerra contro i russi non si gioca solo sulle valute.