Pensarci fa strano, ma stavolta la politica è più avanti. Non c’è solo l’urto rinnovatore di Matteo Renzi. I dioscuri delle larghe intese ideate da Napolitano sono altri due quarantenni: Enrico Letta e Angelino Afano. Al contario – pubblico o privato cambia poco – nella galassia finanziaria italiana comandano ancora loro, gli arzilli vecchietti. I quarantenni? Non pervenuti. Tanto negli istituti di credito quanto nel braccio finanziario del Tesoro, la Cassa depositi e prestiti. E nelle partecipate, Eni ed Enel. Ancora, in Telecom Italia e Alitalia, per citare le privatizzazioni sbagliate a cui si è riferito Renzi domenica scorsa. Carlo Messina, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo – la principale banca domestica – è del ’62 mentre il suo predecessore, Tommaso Cucchiani, è del ’50. Eppure i power broker che tirano le fila di Ca de’ Sass sono da trent’anni Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, classe rispettivamente 1932 e 1934. A guidare Unicredit, l’altro campione nazionale, è Federico Ghizzoni, 58 anni.
Dalle parti di via Goito la musica non cambia. Il presidente della Cdp è Franco Bassanini, classe 1940, parlamentare dal 1979 al 2006, mentre l’amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, ha cinquant’anni come Flavio Cattaneo, ad di Terna. Fulvio Conti, plenipotenziario dell’Enel, ha 66 anni e Paolo Scaroni, deus ex machina del gigante petrolifero Eni, un anno in meno. Quest’ultimo non ha fatto mistero di gradire la quarta riconferma. Mauro Moretti, capo delle Ferrovie dello Stato, ha spento quest’anno 60 candeline. Gabriele Del Torchio, cooptato per risollevare le sorti dell’ex compagnia di bandiera, 62. Il più giovane di tutti è il 49enne Marco Patuano, da pochi mesi capoazienda di Telecom Italia dopo l’uscita del 65enne Franco Bernabè in seguito alla scalata da parte degli spagnoli di Telefonica. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, 69 anni, nel 2011 spiegava di non aver ancora mollato le redini della Mapei, l’azienda di famiglia, ai figli.
Per Eurostat i dirigenti italiani hanno un’età media di 48 anni. E sono i più anziani dell’Eurozona. Guardando al manipolo di società in grado di spostare gli equilibri in Piazza Affari, i quarantenni non sono pervenuti ad eccezione di John Elkann, nipote dell’Avvocato e presidente Fiat a soli 37 anni. Forse perché il loro momento è arrivato un po’ prima rispetto al ciclo politico. Il dato di fatto è che non sono riusciti a sfruttarlo per rottamare la classe dirigente che li ha preceduti. Alberto Nagel è stato nominato amministratore delegato di Mediobanca nel 2007, a 42 anni. Nel 1998, Alessandro Profumo è alla testa del Credito Italiano a 40 anni. Per non parlare di Matteo Arpe, che scala in tempo record i vertici di Capitalia nel 2003, a soli 39 anni. Se Nagel, cresciuto nella cultura aziendale dei patti di sindacato, è ora impegnato a cambiare il paradigma – e di conseguenza i bilanci – di Mediobanca aprendola al mercato, tanto Profumo quanto Arpe sono stati spazzati via dalla generazione nata nel ventennio. Tant’è che una ricerca Coldiretti evidenzia come proprio le banche detengano il triste primato dell’anzianità, con un’età media degli amministratori delegati e dei presidenti di circa 69 anni. Non era certo facile, ma di fatto i 40enni hanno perso la loro battaglia culturale. O forse non l’hanno proprio giocata. Perché?
Umberto Bussolati Dell’Orto, partner della società di cacciatori di teste Spencer Stuart, è reduce da un incontro proprio con Enrico Letta, dove si è parlato dell’ipotesi di un disegno di legge per le “quote giovani”, alla stregua delle “quote rosa”. «Sul tema abbiamo notato un’eccellente ricettività da parte delle istituzioni», spiega Bussolati a Linkiesta, che osserva: «All’attaccamento alle poltrone delle generazioni autoreferenziali – qual è l’imprenditore che molla ai figli o ai manager esterni le leve di comando della sua impresa? – si aggiunge un problema culturale: i piani di successione aziedali non esistono». L’esempio virtuoso più citato è Marissa Mayer, 37enne cooptata a capo di Yahoo! quando era incinta. Fantascienza in Italia. «Nelle grandi multinazionali come P&G, General Electric, Unilever tra i doveri dei manager c’è quello di costruire una squadra per gestire il futuro. In Italia tutto ciò è visto come una minaccia, e spesso quando si cerca l’ad di una società molto si basa sulle competenze, cioè trovare qualcuno che abbia già svolto questo tipo di incarico, senza scommettere mai sul talento», conclude amaro Bussolati.
Insomma, quell’infornata di 40enni non è stata capace di creare una squadra in grado di spingere una riforma. Mandando in soffitta la legge immutabile secondo cui politica, industria e finanza si salvano il fondoschiena a vicenda sempre sulle spalle del parco buoi. E ignorando le regole del gioco secondo cui, se non crei valore per gli azionisti, vai a casa. Un modus operandi esemplificato da Cesare Geronzi (1935), per due decenni deus ex machina di un potere immenso lungo l’asse Milano-Trieste. Curiosamente, a risultare decisivo nella nomina del 54enne Mario Greco alla guida della terza compagnia assicurativa europea è stato un altro 80enne, Leonardo Del Vecchio, fondatore dell’impero Luxottica e azionista di minoranza del Leone. Il polo finanziario del Cavaliere (1936), che va da Fininvest a Mondadori, da Mediaset a Mediolanum, segue lo stesso schema. Tant’è che nel 1994, all’epoca della sua discesa in campo, Berlusconi aveva già 58 anni.
A 58 anni, nel 2005, Mario Draghi è stato nominato governatore della Banca d’Italia, la riserva della Repubblica ora governata dal 64enne Ignazio Visco che in un recente report evidenziava come la gerontocrazia governasse nel sistema bancario nazionale. Via Nazionale, analizzando i dati sulla composizione dei consigli d’amministrazione e di gestione dei principali istituti di credito nazionali – dati poi tramutati in una circolare spedita di recente agli istituti vigilati – osservava «il ricorrere di situazioni in cui l’età media dei componenti il board è superiore ai 60 anni e in diversi casi anche ai 65 anni». Se la media è 61 anni per gli uomini e 53 per le donne, in Europa sale per quest’ultime a 54,4 anni, ma scende a 59 per gli uomini. Forse perché una carica dura in media poco meno di un settennato da Presidente della Repubblica: 6,2 anni. La foresta pietrificata, come la definì Giuliano Amato, co-firmatario nel 1990 – con l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – della legge che tra ha creato le Fondazioni bancarie, rimane tale. Nonostante tempo e risorse siano finiti. Qui i 40enni non hanno ancora cambiato la storia.