«L’Italia deve puntare sulle eccellenze». Quante volte lo abbiamo sentito. A guardare l’andamento del Ftse Italia Star, però, il classico mantra buono per il comizio o la convegnistica confindustriale ha un fondo di verità supportato da numeri solidi. Un po’ della liquidità che gli investitori internazionali cercano di impiegare con buoni rendimenti da fine 2012 è infatti finita nel segmento di Borsa Italiana dedicato alle medie imprese con capitalizzazione compresa tra 40 milioni e un miliardo di euro. Da due anni a questa parte lo Star è salito del 79,6%, da inizio anno del 58,2% ed è sulla buona strada per chiudere il 2013 a 17mila punti, record storico dalla sua fondazione, nel 2001.
Lo conferma Barbara Lunghi, responsabile Pmi di Borsa Italiana: «il segmento Star è un canale formidabile e selettivo per convogliare risorse su aziende che hanno deciso di comportarsi in modo trasparente». La disintermediazione dal canale bancario, che costituisce la maggioranza dei debiti finanziari delle Pmi italiane, ha però un prezzo che equivale alla garanzia per gli investitori: «abbiamo chiesto di adottare dei requisiti di liquidità, di trasparenza informativa e di governance molto stringenti. Elementi che gli investitori istituzionali guardano con attenzione», nota Lunghi. Per chi accetta lo scambio sembra funzioni, a leggere i comunicati dell’ultima Star Conference, il doppio roadshow annuale che Borsa Italiana organizza per sponsorizzare le multinazionali tascabili. «Il 90% degli investitori istituzionali sono internazionali, il 33% americani e il 22% inglesi», dice Lunghi. Tant’è che il principale investitore dello Star è il fondo pensione norvegese. Una notizia che fa ben sperare – i fondi sovrani generalmente guardano al lungo periodo – nonostante lo Star rappresenti una frazione infinitesimale dei suoi attivi. L’obiettivo di Borsa Italiana è promuovere un’industria del risparmio gestito specializzata nelle small cap con incentivi fiscali come avviene in Francia e Inghilterra, per evitare che in momenti di tensione di liquidità i flussi si dirottino verso le grandi società di Piazza Affari. Situazione puntualmente verificatasi negli ultimi due anni.
L’universo di 68 società che compone lo Star, ha calcolato Intesa Sanpaolo, al 30 giugno scorso ha generato complessivamente 8,2 miliardi di fatturato, cifra stabile se rapportata al medesimo periodo del 2012, ma utili in crescita a 290 milioni (+22%). Non grandi numeri, dunque – 8 miliardi è più o meno l’utile netto annuale di Eni – ma sempre positivi. A parte i titoli del comparto lusso come Poltrona Frau, e Yoox – a cui le voci di fusione hanno letteralmente messo il turbo – sono gli industriali ad aver convinto gli investitori. Qualche esempio? Interpump, Elica, Sogefi. Le “multinazionali tascabili” del quarto capitalismo, per usare la celeberrima definizione dell’Ufficio Studi di Mediobanca.
A sentire i broker, i compratori sono francesi (il tessuto industriale è simile a quello italiano) e svizzeri. Dallo scorso maggio si sono affacciati investitori inglesi, americani e tedeschi, ora meno intimoriti dal rischio Italia. Due sono i principali fattori chiave per loro: una strategia convincente sull’Italia, è il caso di Marr, oppure un mix geografico a trazione estera, che ha beneficiato della ripresa in Usa, Messico e Canada come avvenuto per Interpump.
Nota ulteriormente positiva: al netto di un aggiornamento se i timidi segnali positivi di crescita per il 2014 si riveleranno più tenui del previsto, la scommessa delle aziende quotate sullo Star è sui piani industriali al 2015. Detta in altri termini, gli investitori dovrebbero rimanere affamati ancora per un po’. «Nel segmento Star la maggior parte delle società hanno la capacità non solo di andarsi a conquistare nuove quote di mercato, seppure nelle nicchie in cui operano, ma anche di rifocalizzare velocemente i propri prodotti di conseguenza», spiega Alberto Francese, analista del Servizio equity & credit research di Intesa Sanpaolo. Meno volatile del Ftse Mib, il listino delle 40 società a più elevata capitalizzazione di Piazza Affari, lo Star ha messo a segno una crescita graduale ma continuativa, recuperando terreno rispetto alla fuga degli investitori registrata tra il 2011 e il 2012. Un disinteresse pagato caro dalle medie imprese – il flottante di accesso è al 35%, quello medio è il 39% – difficilmente liquidabili dai grossi fondi. Osserva ancora Francese: «Grazie alla loro flessibilità le imprese del segmento Star sono state in molti casi abili ad agganciare la ripresa del fatturato con un importante effetto leva, dopo aver agito incisivamente sui costi e aver rivisto al ribasso, gli anni scorsi, il break even strutturale». «L’anno prossimo», prevede Francese, «ci sarà magari più selezione, ma ci sono tutti i presupposti per un prosieguo della crescita organica vista quest’anno».