Se il liberalismo è un peccato, come scriveva l’apologeta catalano don Félix Sardà y Salvan, José «Pepe» Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010, ha buone possibilità di finire all’inferno. Per fortuna però l’ex guerrigliero – mezzo basco, mezzo piemontese – piace a papa Francesco, che subito dopo l’udienza privata dello scorso giugno si era detto «molto contento di aver incontrato un uomo saggio».
La reazione in Senato dopo il voto favorevole alla liberalizzazione della Marijuana (Afp)
Il fatto è che l’Uruguay, sotto il governo di questo ateo combattente, è diventato uno dei Paesi più liberali del continente. Prima ha legalizzato le unioni gay e depenalizzato l’aborto Poi ha liberalizzato la marijuana per evitare che i giovani tossicodipendenti la comprino al mercato nero. Ed è diventato il primo Paese al mondo con un monopolio di Stato su questa droga. Il senato di Montevideo ha approvato la legge, già passata alla Camera lo scorso luglio, che disciplina produzione e commercializzazione. Manca solo la firma dello stesso capo dello Stato. E già dal prossimo aprile le farmacie dell’Uruguay potrebbero avviare la vendita di cannabis, ad un prezzo equivalente di circa un dollaro al grammo, attraverso la creazione di un Instituto de Regulación y control del cannabis (Ircca) all’interno del ministero della Salute.
Gli acquirenti, maggiorenni, verranno registrati in un database e potranno comprare fino a 40 grammi al mese per consumo personale, oppure coltivare fino a sei piante di canapa in casa, per un totale di 480 grammi all’anno. Via libera anche ai club, con un massimo di 45 soci, per la coltivazione di non oltre 99 piantine.
«Il mio è un Paese piccolo. Se fosse stato più grande, si sarebbe detto che la socialdemocrazia è nata in Uruguay», ha detto in un’intervista Mujica, che sa di rappresentare uno Stato di modeste dimensioni. Nulla a che vedere con i giganti come Brasile e Argentina. O con quegli Stati cui ci si interessa per i presidenti eccentrici o per i problemi di narcotraffico.
Pepe Mujica, Presidente dell’Uruguay, ha dichiarato di vivere con 800 euro al mese: «Questi soldi, anche se sono pochi, mi devono bastare perché la maggior parte degli uruguaiani vive con molto meno». Qui nella sua fattoria
Insomma di Uruguay, uno degli Stati più piccoli del continente, con una popolazione di appena 3,4 milioni di persone, si sente parlar poco. E gli altri presidenti latinoamericani, dal defunto Hugo Chavéz all’argentina Cristina Fernandez Kirchner solo per citare due nomi altisonanti, finiscono per lasciare Mujica in ombra.
Forse anche perché Pepe – è così che vuole farsi chiamare – sembra essere tra i pochi, dall’alto dei vertici istituzionali della regione, a vedere con chiarezza la pericolosa deriva del caudillismo in Sud America. Come lui stesso ha dichiarato al quotidiano spagnolo El Paìs, «persino le democrazie più durature hanno visto forzare i loro meccanismi costituzionali per permettere nuovi mandati a governanti che vedono se stessi come imprescindibili per il futuro delle loro nazioni, mettendosi al di sopra dei partiti, delle istituzioni e della società civile». Che poi è quello che, per esempio, potrebbe ben presto accadere in Argentina.
Mujica, 78 anni, quindici dei quali passati in prigione per aver fatto politica col Movimento di liberazione nazionale dei Tupamaros, conosce bene la storia di un Paese che per molti sembra più vicino agli stati europei che a quelli sudamericani.
Montevideo è stato il primo Paese dell’America latina – a volte perfino degli Usa – ad ammettere il divorzio per sola volontà della moglie (nel 1913), ad allargare il suffragio alle donne (nel 1927) e a fondare un vero e proprio stato laico, con un sistema avanzato di welfare. Tant’è che l’Uruguay si era perfino guadagnato l’appellativo di «Svizzera dell’America latina».
A interrompere questa tradizione c’era stata la dittatura militare tra il ’73 e l’85. Poi sono tornate stabilità, classe media e agenda sociale d’ispirazione lulista. D’altronde Lula da Silva, l’ex presidente del Brasile, per il presidente uruguaiano è la figura politica che più a segnato l’America Latina in tempi recenti.
Mujica si è battuto per l’alfabetizzazione, la riforma sanitaria e quella sul fisco, per abbattere la povertà estrema e favorire il pieno impiego. Insieme al predecessore del Frente Amplio Tabaré Vázquez Rosas, ha approvato oltre 40 leggi che hanno esteso i diritti dei lavoratori. E ha piegato senza batte ciglio le grandi lobby del tabacco, che hanno dovuto levare i cartelloni pubblicitari dalle strade della capitale. Ma qui non c’è una sfida alle elite fine a sé stessa. Il presidente uruguaiano è riuscito a far perseguire alla coalizione di sinistra una politica lontana dal conflitto fra classi, tipica dell’ex presidente venezuelano Chavéz e della leader argentina Kirchner.
I settori più conservatori di Montevideo, tuttavia, hanno dubbi sulla direzione verso cui sta avanzando il Paese. E c’è chi adesso teme che la legge sulla marijuana faccia aumentare i consumatori.
«Non ci preoccupa tanto la droga», aveva detto il Presidente. «Quello che ci preoccupa è il narcotraffico». La proposta, diventata legge, era già stata salutata dagli improbabili elogi di intellettuali come il peruviano Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la Letteratura. «Chi l’avrebbe detto, sotto un governo del Frente Amplio che sembrava così radicale, e un presidente di 77 anni che fu un guerrigliero, (Uruguay) è un’altra volta un modello di legalità, libertà, progresso e creatività, un esempio che gli altri paesi latinoamericani dovrebbero seguire», scriveva Vargas Llosa sulle pagine di El País.
Secondo alcuni esperti però l’attenzione di Mujica per i diritti civili lo avrebbe distratto su altri fronti. Così anche se il sistema sanitario ed educativo sono tra i migliori del Sud America, molti uruguaiani ricchi preferiscono metter su scuole e ospedali privati per far fronte al peggioramento dei servizi pubblici. Lo Stato poi rimane monopolista per quanto riguarda elettricità e combustibili, ma secondo gli ultimi dati è comunque la seconda economia dell’area latinoamericana. In seguito al default del 2003, il Paese ha avviato una crescita del Pil sempre più sostenuta, a dispetto della crisi globale: +8,5 per cento nel 2010, +6 nel 2011, + 5 nel 2012, classificandosi come una delle economie in salute dell’intera regione.
Di certo, con le sue ultime rivoluzionarie leggi, l’Uruguay sembra distinguersi tra gli stati più laici al mondo, con una separazione storica tra Stato e religione Per intenderci qui i presidenti non giurano sulla Bibbia dall’inizio del XX secolo. Le scuole e gli ospedali non hanno crocifissi appesi alle pareti e non ci sono cappellani nelle Forze armate, con buona pace dei cattolici praticanti. Piaccia o non piaccia a papa Francesco.