Cambio del clima: per crederci c’è voluta una tempesta

C’è un grado di consapevolezza maggiore

Il vortice polare che si è abbattuto sul nord America nelle ultime settimane portando scenari da “The Day After Tomorrow” ha fatto parlare molto, e nuovamente, di cambiamento climatico. Ne approfitto per tornare sull’argomento e vedere cosa è cambiato da quando, quattro anni fa, ne parlammo per l’ultima volta su questo blog. Oggi, pongo la questione facendo riflessioni non solo sul piano scientifico – a cui peraltro si era dato più risalto in passato – ma anche sul piano dell’impatto sociale.

Due tipi di impatto

Quella del cambiamento climatico è una questione scientifica, certo, ma con enormi risvolti sociali, soprattutto di cosiddetto impatto scientifico (en passant: una questione, quella dell’impact, molto calda per gli scienziati di ogni disciplina[1]). L’impatto della scienza climatica è duplice: c’è un impatto che riguarda la divulgazione – cioè riuscire a comunicare con successo i successi scientifici recenti – e un impatto politico, o di policy making come si dice mondanamente. Entrambi gli aspetti sono tutt’altro che semplici. Vediamo in più dettaglio.

Cosa c’è di nuovo tra il pubblico. Impatto I: divulgazione scientifica

Personalmente, questo è l’aspetto che più mi coinvolge. Mi sono sempre occupato di divulgazione scientifica, fin da quando all’università facevo volontariato col CICAP, andando a fare conferenze in giro per le scuole medie e superiori a parlare di organismi geneticamente modificati e biotecnologie. L’idea che mi sono fatto in tutti questi anni è che l’impresa più ardua nel comunicare la scienza non sia tanto quella di riuscire a semplificare i concetti chiave abbastanza da essere compresi dal pubblico. Quello è niente. Gli ostacoli più grandi, in realtà, sono: 1) riuscire a stabilire un rapporto di fiducia con il pubblico e 2) riuscire a trasmettere accuratemente il livello di certezza, errore o rischio che normalmente accompagnano qualsiasi scoperta scientifica – e che sono concettualmente diversi dai concetti di certezza, errore e rischio come sono comunemente intesi. Questa riflessione non si applica soltanto alla scienza del cambiamento climatico ma, di fatto, a qualsiasi altra disciplina: il caso di Stamina e il caso della sperimentazione animale sono solo gli ultimi esempi in Italia, mentre vaccinazioni, evoluzionismo e cambiamento climatico sono esempi che interessano più il mondo anglosassone. Ad ognuno il suo.

In genere, è vero che il pubblico non sa a chi può o deve prestare fiducia non solo perché non è in grado di valutare in maniera autonoma i contenuti, ma perché non è nemmeno in grado di valutare quanto sia affidabile l’interlocutore[2]. Se parliamo di cellule staminali, ad esempio, dal punto di vista del pubblico non pare esserci una grossa differenza di autorità tra ciò che dichiara il signore incravattato delle Iene o Piero Angela né, in ultimo, tra Davide Vannoni e Shinya Yamanaka. Quando si vive in un mondo in cui ogni opinione ha lo stesso valore, un mondo in cui “ognuno vale uno”, non deve stupire che le opinioni diventino poi banali e inutili. Uno studio recente ha mostrato, ad esempio, che non è il livello di cultura generale a determinare la divisione nel pubblico tra chi sposa e chi nega il cambiamento climatico antropogenico, bensì il bagaglio culturale e politico della persona[3]. Per uno scienziato, tutto ciò è tanto triste quanto disarmante.

Quale è il trucco quindi? Il trucco è familiarizzare col metodo scientifico tanto e abbastanza da comprendere l’affidabilità che un consenso scientifico può avere e, di conseguenza, trattare il consenso con la autorità che si merita. Diceva Feynmann che “la scienza è lo scetticismo organizzato nelle mani degli esperti[4]. Dal 2004[5] al 2009[6] e poi dal 2010[7] al 2013[8] il consenso scientifico verso il riscaldamento globale non è cambiato molto e rimane pressoché universale. Va notato che i numeri parlano di un consenso del 97% tra gli scienziati nel complesso ma il consenso tra chi si occupa attivamente di cambiamento climatico è ancora più alto. In ogni caso, un 3% di dissenso non ha molto significato se si considera che, ad esempio, i numeri per evoluzione verso creazione sono praticamente identici[9].

Se il consenso tra gli scienziati rimane universale, la buona notizia è che è cambiata però la percezione nel pubblico. Secondo Gallup, la percentuale di chi pensa che quello del riscaldamento globale sia falso allarmismo è scesa dal 48% al 41% e la maggioranza degli Americani ora ritiene che il riscaldamento globale sia un problema serio – addiritura sottovalutato dai media (Figura 1 e [10]).

Figura 1:

Uno studio meta-analisi del Woods Institute for the Environment a Stanford conferma (Figura 2 e [11]) e anzi rincara.

Figura 2:

C’è da sottolineare che la divisione nel pubblico sul fenomeno del riscaldamento globale interessa quasi esclusivamente gli Stati Uniti, dove la politica ha preso posizione e fatto propaganda. In Europa il problema della mancata percezione non è mai esistito e nel 2011 l’89% della popolazione europea riteneva che il cambiamento climatico fosse un problema molto serio[12]. Idem in Australia(>80%)[13] e Canada(~98%)[14]. Tutti paesi in cui il dibattito politico è stato più sobrio e corretto.

Cosa c’è di nuovo nella scienza?

Il 2013 ha visto la pubblicazione parziale del quinto report dell’IPCC [15], il gruppo di circa 800 scienziati a cui negli anni Ottanta l’ONU ha commissionato un rapporto periodico per essere informato sul problema. Sebbene l’IPCC sia composto da scienziati, non produce di per sé scienza nuova. Ha semplicemente il compito di riassumere tutto ciò che è stato prodotto dalla comunità nell’arco dei 5-6 anni precendenti, di compendiarlo e di rendere il riassunto fruibile per il pubblico, per il politico e per l’appassionato che non lavora nel campo (come me). È un documento professionale e peer reviewed a vari livelli. Per chi segue i progressi della comunità di anno in anno, quindi, ogni rapporto IPCC non arriva certo come una sorpresa. Cosa c’è di nuovo nell’ultimo rapporto? Intanto viene confermato, con confidenza statistica ancora maggiore, il riscaldamento globale. La Figura 3 mostra gli andamenti della temperatura atmosferica.

Figura 3:

I dati riguardano atmosfera e superficie (capitolo 2), oceani (capitolo 3), criosfera (capitolo 4), carbone, nuvole etc ect. Impressionante il dato sperimentale che collega l’aumento di emissioni di CO2 in atmosfera con l’acidificazione delle acque (Figura 4: la CO2 atmosferica (blue) reagisce con H2O per dare acido carbonico, aumentando quindi l’acidità delle acque (verde) [16]).

Figura 4:

L’acidificazione degli oceani è una dei fenomeni potenzialmente più devastanti dell’immissione di CO2 in atmosfera. Un altro dato sperimentale molto drammatico riguarda lo scioglimento dei ghiacciai artici (Figura 5).

Figura 5:

La variazione della linea rossa mostra lo scioglimento misurato, le altre le previsioni dei modelli passati che, come si vede, si sono dimostrate troppo ottimiste (a proposito di scioglimento dei ghiacci, se apprezzate la fotografia consiglio un documentario del 2012 estremamente scenografico: “Chasing Ice”). Ovviamente lo zoccolo duro negazionista ha cercato di trovare complotti e inesattezze nel rapporto, concentrandosi per lo più sul fatto presunto che negli ultimi 15 anni la terra si sia di nuovo raffreddata e che i modelli dei climatologi non siano stati in grado di prevedere questo raffreddamento. Da come si vede in figura 6, le cose non stanno proprio così.

Il grafico mostra i dati sperimentali del periodo contro i modelli predittivi limitati al periodo incriminato e oltre (2000-2035) in tutti i report IPCC. I pallini rappresentano i dati sperimentali (i termometri), le aree colorate rappresentano le previsioni dei modelli del First Assessment Report (FAR, 1990, giallo), Second Assessment Report (SAR, 1996, verde), Third Assesment Report (TAR, 2001, azzurro) e i modelli del Assesment Report 4 (AR4, 2007, ultime tre barre). Come si vede, i dati rientrano nei margini considerati statisticamente predittivi dei modelli ed è quindi scorretto parlare di un fallimento. Certo, negli ultimi anni l’incremento medio di temperatura è stato inferiore a quello misurato in passato ma questo è, ahinoi, assolutamente non rincuorante perché in serie naturali e complesse gli andamenti di breve periodo sono assolutamente non indicativi del trend a lungo periodo. Il rapporto IPCC lo dice chiaro e tondo “Due to natural variability, trends based on short records are very sensitive to the beginning and end dates and do not in general reflect long-term climate trends p.3”[17]. Un’altra ragione per non lanciarsi in celebrazioni riguarda il fatto che il clima risente pesantemente di attività ciclica, in cui in un sistema di equilibrio caldi più intensi sono seguiti da periodi più freddi. E viceversa. Secondo la società meteorologica giapponese che è stata la prima a pubblicare i dati per quest’anno, il 2013 è già passato alla storia come il secondo anno più caldo mai registrato dal 1891 (qui). E Australia Bureau of Meteorology già conferma.

Cosa c’e di nuovo per e dalla politica?

Poco di nuovo. Da parte della scienza, c’è la conferma che il pianeta ha la febbre e che la febbre continua a salire. Di quanto salirà e quali saranno le conseguenze è difficile dirlo ma una qualche medicina va trovata e ingoiata perché il rischio che ci si ritrovi col suppostone è alto. La conferenza di Varsavia, l’ennesimo tentativo di trovare un accordo mondiale a un problema globale, si è nuovamente conclusa con un nulla di fatto. Esiste la consapevolezza che i volumi di CO2 vadano ridotti ma anche la riluttanza a muoversi in quella direzione, sia da paesi in via di sviluppo (che comprensibilmente si sentono le gambe tagliate ancora prima di iniziare la corsa) sia da paesi ben avviati. Il gruppo di lavoro III del IPCC, che si occupa di strategie di mitigazione, pubblicherà il rapporto finale ad aprile 2014. Mi aspetto di vedere un po’ di reazione sui media ma non molto di più.

Nota a pié di pagina sui commenti (ovvero: io metto le mani avanti).

Ho cercato, come mi sembra serio fare per rispetto verso chi legge, di linkare soltanto lavori scientifici e/o fonti accreditate, accademiche, politicamente imparziali. Invito, come esercizio di buona condotta, a fare altrettanto nei commenti. Al primo che mi linka blogs, NIPCC, Cato o Heartland Institute tirata di orecchie e via dietro la lavagna con i giornalisti delle iene.

  1. Quasi tutte le agenzie governative hanno deciso di introdurre misure di impatto tra i criteri utilizzati per stabilire l’importanza di una proposta di ricerca. Si tratta di una mossa preoccupante e poco lungimirante, potenzialmente in grado di colpire la scienza di base. Si veda questo speciale per qualche riassunto.
  2. Gli economisti, l’ho imparato su queste pagine, vivono un problema simile.
  3. Cahan et al “The polarizing impact of science literacy and numeracy on perceived climate change risks”. Nature Climate Change 2, 732–735 (2012) doi:10.1038/nclimate1547 
  4. ’Science is the organized skepticism in the reliability of expert opinion.’ – R. P. Feynman
  5. N. Oreskes, “Beyond the Ivory Tower: The Scientific Consensus on Climate Change,” Science Vol. 306 no. 5702, p. 1686 (3 December 2004); DOI: 10.1126/science.1103618.
  6. P. T. Doran & M. K. Zimmerman, “Examining the Scientific Consensus on Climate Change,” Eos Transactions American Geophysical Union Vol. 90 Issue 3 (2009), 22; DOI: 10.1029/2009EO030002.
  7. W. R. L. Anderegg, “Expert Credibility in Climate Change,” Proceedings of the National Academy of Sciences Vol. 107 No. 27, 12107-12109 (21 June 2010); DOI: 10.1073/pnas.1003187107.
  8. J Cook et al. “Quantifying the consensus on anthropogenic global warming in the scientific literature” 2013 Environ. Res. Lett. 8 024024 doi:10.1088/1748-9326/8/2/024024
  9. Si veda Tabella 1 in http://www.people-press.org/2009/07/09/section-5-evolution-climate-change-and-other-issues/
  10. Da http://www.gallup.com/poll/1615/Environment.aspx
  11. https://woods.stanford.edu/news-events/news/survey-analysis-contradicts-common-climate-perceptions
  12. http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_372_en.pdf
  13. https://crawford.anu.edu.au/degrees/pogo/discussion_papers/PDP09-01.pdf
  14. http://www.cbc.ca/news/canada/calgary/only-2-of-canadians-deny-climate-change-suggests-poll-1.1157215
  15. Chi non volesse sfogliarselo tutto, può anche guardare il riassunto per policy makers che è di sole 33 pagine
  16. Acidificazione degli oceani: http://en.wikipedia.org/wiki/Ocean_acidification
  17. Il potere predittivo dei modelli vieni discusso largamente nel rapporto IPCC (capitolo 9). Per un riassunto e un approfondimento a chi fosse interessato rimando qui.

I was born in 1977 in Turin, Italy. From 1996 to 2001 I studied Medical Biotechnology at University of Turin, in Italy. After graduating, I moved at the IMP in Vienna (Austria) where I worked as graduate student in Barry Dickson‘s laboratory, studying development of the nervous system in the embryo of Drosophila melanogaster (2002-2006). From September 2006 to July 2009, I was a post-doc in the laboratory for research on sleep and consciousness directed by Chiara Cirelli and Giulio Tononi. In October 2010 I started my own group at Imperial College in London, first as Junior Research Fellow and, since October 2012, as Lecturer in Systems Neurobiology

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