Il fenomeno delle scatole cinesi ha caratterizzato per diversi decenni il capitalismo familiare italiano grazie alla possibilità di controllare grandi società con pochi capitali. Per risolvere la questione, negli Stati Uniti, nel 1935, venne introdotta una doppia tassazione sui dividendi infragruppo (oscillante tra il 20 e 30 per cento) che decretò la quasi totale scomparsa del fenomeno. Qualcosa di simile è accaduto anche in Italia, sebbene la comparativamente lieve intensità della mancata esenzione, appena il 5 per cento, ha comportato un effetto di contrazione dei gruppi sì consistente, ma alquanto più attenuato.
Al tempo stesso, le condizioni che ne hanno decretato il successo, sembrano ora riproporsi per lo Stato italiano. Il nostro paese, infatti, tramite il ministero dell’Economia e delle Finanze, vorrebbe continuare a controllare grandi imprese strategiche pur non avendo i capitali sufficienti per farlo. Contemporaneamente, la parziale doppia tassazione dei dividendi, che scoraggia le imprese private a utilizzare questo strumento, lascia del tutto indifferente lo Stato, visto che è lui stesso a incassare le maggiori imposte. Negli ultimi tempi sono stati infatti annunciati piani che sembrano aprire una nuova stagione per le scatole cinesi.
Negli anni passati, il Mef ha infatti conferito in Cassa depositi e prestiti diverse quote di società strategiche allo scopo di fare cassa e abbattere il debito pubblico senza necessariamente doverne perdere il controllo. Cdp, controllata dal Mef con una quota dell’80,1 per cento (la restante parte è in mano a fondazioni bancarie), ha creato poi una holding, Cdp Reti, in cui è stato conferito il 30 per cento di Snam Rete Gas e si appresta ora a controllare anche il 29,9 per cento di Terna. Alla fine del 2013 (il 29 novembre) è stata annunciata l’intenzione di collocare il 49 per cento del capitale di Cdp Reti presso investitori privati, dando così vita al gruppo piramidale qui sotto riportato (catena di sinistra).
La quota effettivamente detenuta dal ministero dell’Economia in ciascuna delle due società sarà pertanto pari a circa al 12 per cento (80 per cento x 51 per cento x 30 per cento), ma il controllo non sarà in pericolo, potendo esercitare circa il 30 per cento dei diritti di voto. Stando a un altro recente annuncio (del 12 dicembre 2013), sembra che nel 2014 la strategia di vendere le quote di minoranza per fare cassa varrà anche per Poste italiane. Nel recente passato, invece, tale strategia è stata perseguita dall’Enel, altra società controllata dal Mef, la quale ha prima conferito le attività relative alle energie rinnovabili in Enel Green Power per poi cedere le quote di minoranza. Ora il ministero controlla il 31,2 per cento di Enel, che controlla a sua volta il 69,71 per cento di Enel Green Power (vedi catena nel grafico di destra). La strategia appare dunque chiara: con i fabbisogni finanziari attuali e l’indifferenza alla parziale doppia tassazione dei dividendi infragruppo, lo Stato italiano ricorrerà probabilmente alla creazione di gruppi piramidali come strumento per fare cassa senza perdere il controllo, esattamente alla stregua di quanto storicamente fatto dalle principali famiglie italiane.
I RISCHI DEL SISTEMA
Quali sono i pericoli? Innanzitutto l’inefficienza fiscale delle piramidi può sì lasciare indifferente lo Stato (che incassa le imposte), ma non gli investitori privati che dovessero entrare nel capitale delle società holding (come gli investitori qualificati recentemente invitati a entrare in Cdp Reti). Tra l’altro, se la strategia dovesse continuare, potremmo aspettarci che le quote nei diversi livelli del gruppo piramidale vengano nel tempo a contrarsi, ovviamente nei limiti concessi dal vincolo di mantenere il controllo delle imprese stesse.
In altre parole, quello che potrebbe accadere nell’immediato per la quota della Cassa depositi e prestiti in Cdp Reti (prevista scendere dal 100 per cento al 51 per cento), potrebbe ripetersi anche ad altri livelli delle catene di controllo. In terzo luogo, se la strategia venisse ulteriormente rafforzata, potremmo attenderci un allungamento dei gruppi piramidali, per cui Enel Green Power potrebbe conferire le attività relative al fotovoltaico in una futura ipotetica Enel Solar e decidere di controllarne solo una quota di maggioranza, cedendo la restante quota (di minoranza) sul mercato. I gruppi piramidali incentivano l’espropriazione delle società a valle a favore di quelle collocate ai vertici del gruppo.
Accade soprattutto quando ai vertici è collocato un soggetto privato che mira a massimizzare la propria ricchezza. E non è certo il comportamento generalmente seguito dallo Stato italiano. Gli azionisti di minoranza di Terna e Snam Rete Gas possono dunque dormire sonni tranquilli? No, perché esigenze finanziarie delle società collocate ai livelli più alti del gruppo piramidale possono spingere o costringere il soggetto controllante (lo Stato) a porre in essere operazioni espropriative delle società a valle; mentre esigenze di bilancio dello Stato possono portare all’introduzione di nuove tasse, sempre a scapito delle società collocate a valle del gruppo piramidale. Un esempio delle prime? La famosa operazione Iri-Stet in cui, nel lontano 1992, si costrinse Stet (controllata dall’Iri) a comprare la Finsiel a prezzi superiori al suo valore per far fronte alle esigenze finanziarie dell’Iri. Cdp e Iri non si assomigliano solo per avere un acronimo di tre lettere in comune.
La Cdp, di fatto, è già una nuova Iri (grazie anche all’attività del Fondo strategico italiano) e questo ci dà un motivo in più per ricordare l’operazione Iri-Stet. L’argine a storie simili risiede nella normativa sulle operazioni con parti correlate e quindi nell’effettiva indipendenza e competenza degli amministratori che siederanno nei consigli di amministrazione delle società quotate poste in fondo ai gruppi piramidali. Se invece si cerca un esempio della possibile introduzione di nuove tasse a scapito dei tasselli finali della piramide, basta ricordare la Robin Hood-Tax, estesa nel 2011 a società come Snam Rete Gas e Terna, con la quale lo Stato si è appropriato del 100 per cento del valore attuale dell’extra gettito fiscale futuro, sottraendolo a tutti gli azionisti e quindi anche a se stesso, ma solo per il suo modesto pacchetto di controllo, pari a circa il 30 per cento.
Se però quel pacchetto venisse detenuto tramite un gruppo piramidale, si abbasserebbe la percentuale effettivamente posseduta dell’impresa e di conseguenza l’eventuale danno patrimoniale: scenderebbe ad esempio a circa il 12 per cento per Terna e Snam Rete Gas, stante i progetti attuali. Si creerebbe così un incentivo a una maggiore tassazione sulle società poste in fondo ai gruppi piramidali. E allora cosa potrebbe accadere? Potrebbe arrivare una Super-Robin-Hood-Tax a scapito di tutti gli azionisti di minoranza. E chi potrebbe a quel punto difendere i risparmiatori da tale rischio? Lo Sceriffo di Nottingham?