Il contratto unico a tempo indeterminato a garanzie graduali è fondamentale per ridurre il precariato derivante dall’abuso di alcune forme di contratti atipici. La proposta non è mai stata presa in considerazione nelle recenti riforme, concentrate soprattutto nel rilancio dell’apprendistato. Eppure i due contratti possono tranquillamente coesistere nel regolamento italiano, ma l’applicazione del contratto unico presenta alcuni nodi critici in altri ambiti che è bene affrontare.
Il contratto unico è complementare e non competitivo all’apprendistato
L’apprendistato nasce dall’illusione che il nostro mercato del lavoro sia caratterizzato da una costante richiesta di manodopera specializzata e che di conseguenza sia necessaria una formazione interna all’azienda. Il contratto, oggetto di riforma nel 2011 con il Testo Unico dell’Apprendistato (D. Lgs. 14 settembre, n. 167), è stato successivamente rivisto a distanza di pochi mesi nella legge 92/2012 (la nota Riforma Fornero).
I percorsi previsti dall’apprendistato sono tre (qualifica professionale; professionalizzante; alta formazione e ricerca) e riguardano prevalentemente gli under 30, anche se sono talvolta presenti delle deroghe per gli iscritti nelle liste di mobilità. Le varie riforme hanno avuto il compito di agevolare la parte formativa (obbligatoria) di questo rapporto di lavoro e di semplificarne le regole ma, nonostante questa serie di modifiche, il contratto – molto burocratico e fortemente regionalizzato – rimane inadeguato per il target di riferimento. Non a caso, fatica a decollare: l’incidenza dell’apprendistato sul totale degli avviamenti nella fascia d’età 15-29 anni non supera il 10% tra il 2012 e il primo trimestre 2013.
Figura 1 – Incidenza degli avviamenti di apprendistato sul totale della classe di età corrispondente
(Serie mensili, gennaio 2012 – marzo 2013 )
Fonte: elaborazioni Isfol su Sistema informativo CO, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
L’obiettivo di rendere l’apprendistato il contratto prevalente per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro appare infatti impossibile. Il contratto non potrà mai essere il principale strumento di ingresso nel mercato del lavoro dei giovani per il semplice fatto che rappresenta sotto tutti i profili un contratto “di nicchia” e così rimarrà anche in una eventuale ripresa economica.
In aggiunta, i risultati del Programme for the International Assessment of Adult Competencies (Piaac), l’analisi sulle competenze delle forze lavoro adulte realizzata dall’Ocse, evidenziano come i disoccupati e inattivi italiani, a differenza di quelli di altri paesi, non sono meno competenti di coloro che lavorano. La scarsa formazione non appare quindi essere il nodo cruciale dei giovani italiani.
Il vero problema, semmai, sono i lavoratori adulti con più di 55anni; che avrebbero bisogno di importanti programmi di aggiornamento professionale (oltre a quella continua), dal momento che l’età minima per andare in pensione è aumentata dopo la riforma. Su tale argomento, potrebbe non essere una cattiva idea traghettare parte delle risorse dall’Apprendistato alla Job rotation (il lavoratore adusto si forma e il giovane lavora)[1].
Osservando le criticità dell’apprendistato, affinché il contratto unico funzioni, è fondamentale cancellare stage e tirocini (soprattutto il tirocinio di inserimento, strumento contorto e pericolosissimo data l’assenza di contributi versati), che producono un vero effetto di spiazzamento nei confronti di tutti gli altri contratti. A ciò si aggiunge che con il nuovo contratto viene meno la necessità di utilizzare “scorciatoie normative” per il periodo di prova. In altre parole, il contratto unico non sostituirebbe l’apprendistato, semplicemente perché questo è attualmente “ininfluente” nelle attuali dinamiche del mercato del lavoro.
Cosa deve (e non deve) sostituire il contratto unico
Non ci sono alternative, il contratto a progetto va eliminato.
Anche se la Riforma Fornero è intervenuta in maniera più rigida nel definirlo; il contratto a progetto continua ad essere utilizzato impropriamente per due motivi: un temporaneo reciproco interesse tra committente e fornitore fino alla conclusione del rapporto (per il lavoratore “meglio un contratto a progetto piuttosto che nessun lavoro”) – che spesso termina in un contenzioso se non stabilizzato – e l’assenza quasi totale dei controlli che si traduce nell’impossibilità di applicare sanzioni nel caso di un possibile uso distorto.
Inoltre, il contratto unico deve sostituire senza dubbio il contratto a tempo determinato, altrimenti, rimane il dualismo tra lavoratori di Serie A e di Serie B. Rimane invece inalterato il contratto di somministrazione, al fine di mantenere e forse rafforzare il ruolo delle agenzie private di collocamento, che proprio l’attuale presenza di un contratto a tempo determinato senza causale (modificato “in peggio” con la riforma Giovannini) sta seriamente mettendo in pericolo. Ricordo che la somministrazione rappresenta un mercato di nicchia e presuppone già un costo aggiuntivo per il datore di lavoro; il quale decide comunque di affidarsi alle agenzie ex-interinali soprattutto per non farsi carico dei costi legati all’aspetto burocratico nei rapporti di lavoro.
Infine, sempre perché rappresenta l’eccezione e non la norma, il contratto di prossimità, cosi come lo sviluppo degli accordi sulla base dell’ Art. 8 e in generale della contrattazione tra le parti sociali somo complementari al contratto unico.
Articolo 18 e semplificazione delle norme
Il contratto unico non porrà fine al dibattito sul l’Articolo 18, semplicemente perché questo è stato già affrontato nella Legge 92/2012, in particolare in materia di licenziamento individuale di natura economica. Prima della Riforma Fornero il nodo centrale era la possibilità (o meno) di “reintegro” del lavoratore dopo il licenziamento individuale. Questo nodo è, in parte, stato già risolto: il contratto unico potrebbe tutt’al più prevedere l’annullamento completo della possibilità di ricorso (ad eccezione dei casi di discriminazione) definendo chiaramente le penali da pagare[2].
Di difficile realizzazione è la possibilità di ridurre a poche norme la regolamentazione del mercato del lavoro soprattutto per questioni legate alle normative comunitarie. Piuttosto, se l’idea è quella di scrivere un testo unico facile da capire e tradurre per incentivare le aziende straniere, sarebbe il caso di rivolgersi ai migliori studi e giuslavoristi lato corporate presenti in Italia in grado di riscrivere le norme e innestare la proposta del contratto unico affinché la legge risulti più semplice possibile per gli italiani e stranieri.
Punti cardine del contratto unico per un mercato del lavoro migliore
In conclusione, gli elementi fondamentali per ridurre il precariato e per semplificare le leggi sul lavoro è un contratto, con garanzie graduali nel tempo (tre anni) in termini di contributi e di penali in caso di licenziamento, che sia complementare al contratto di apprendistato e che si possa modificare in caso di accordi sindacali volti al mantenimento dei posti di lavoro o di assunzione di nuovo personale.
Sono principi che spero faranno parte del nuovo programma sul lavoro di Matteo Renzi. Tuttavia, è chiaro che in assenza di programmi di rilancio economico, la sola regolamentazione, a neppure il contratto unico, non sarà in grado di contrastare efficacemente la disoccupazione e il precariato.
[1] La job rotation prevede una sostituzione temporanea del lavoratore anziano che frequenta un programma di riqualificazione di un anno con un giovane iscritto ai centri per l’impiego.
[2] Tra le proposte nel ridurre l’esternalizzazioni negative per l’attore pubblico dovute al licenziamento, va sicuramente citato il contratto di ricollocazione di Pietro Ichino che rappresenta una delle proposte più interessanti sull’argomento.