Internet ha smesso di amare i gatti. È cominciata l’era della dominazione dei cani che pensano in un inglese improbabile. Il loro flusso di coscienza sgrammaticato ha spodestato il lungo impero dei LOLCat. Lo hanno sentenziato fonti autorevoli come Know Your Meme, Wired, e il Time, nella classifica stilata sui dieci memi più diffusi nel corso del 2013.
La such top ten lista dei memi nel 2013
Gli altri eroi di questa bizzarra hit parade hanno poco da raccontare di nuovo rispetto ai fenomeni che li hanno preceduti. I contenuti che ricorrono per tutte le testate che hanno stilato la classifica sono i video e le fotogallery che ritraggono i balli in stile Harlem Shake,
i voli di Miley Cyrus sulla palla di piombo,
e i due scatti di Beyonce «unflattering», che la ritraggono in due pose davvero poco femminili durante l’esibizione al XLVII Super Bowl.
Le caricature che sono state sovrascritte a questi episodi della cultura pop proseguono la traccia di una tradizione che emerge dalla comunicazione audiovisiva di massa, erede della TV, e che passa negli anni scorsi attraverso il Gangnam Style, l’esultanza di Balotelli durante gli Europei 2012, i bambini invisibili di Koni 2012, la performance agghiacciante di Rebecca Black nel video di Friday.
Una storia tutta diversa invece solleva il meme Doge nell’empireo di chi si occupa di mass media. L’etichetta è una storpiatura del sostantivo dog, qualcosa che in italiano si potrebbe ottenere deformando cane in cagne o cano, o qualcosa di simile. Non si può proporre una traduzione corretta perché Doge non è un difetto di pronuncia che iscrive questo termine nel linguaggio privato di un individuo con difficoltà di articolazione o con difetti di formazione scolastica. Doge non è un capriccio linguistico ma una formazione letteraria che appartiene ad un dizionario del tutto legittimo, attivato dalla comunicazione di una comunità di nerd numerosa e istituzionalizzata. 4chan, la rete di Tumblr, BuzzFeed, sono i luoghi naturali in cui la dialettica di queste tribù prende vita e si diffonde per tutta Internet.
L’inferno del linguaggio nel frullatore
Le infinite reincarnazioni del meme di Doge raffigurano uno shiba inu circondato dalle trascrizioni del suo flusso di coscienza interiore. I frammenti linguistici che emergono sono una confabulazione di formule che esprimono delizia, euforia, o meraviglia, ma tutte incrinate da distorsioni lessicali ed ortografiche che rendono il quadro grottesco. Il teatro interiore dell’anima canina si mostra come un caos di lampi di stupore, che gravitano attorno ad una coscienza frastornata dagli stereotipi giovanili del web; dal fondo di questo frullato interiore si solleva un flusso sconnesso di tracce depositate dai cliché linguistici, inquinati dalle alterazioni glottologiche che denunciano i sintomi di una stupidità da ipertrofia di solitudine, di appassimento davanti al monitor del computer.
Il Doge è l’ultima manifestazione del fenomeno originario della memetica web. È un virus isolato in provetta, o un principio (c)attivo catturato nelle storte e nei distillatori del laboratorio sociologico. È la pulsione assoluta dell’inconscio di Internet che si mostra allo scienziato delle reti vomitandogli in faccia lo sproloquio insensato di tutto quello che le persone perbene vorrebbero non venisse mai alla luce. È il demonio evocato dall’esorcista, che si moltiplica e si reincarna ovunque senza che si possiedano i mezzi per fermarlo; è la resurrezione, la nuova notte dei LOLCat viventi. Come ogni trasfigurazione, il suo volto canino è un’elevazione degli utenti umani verso l’innocenza animale, la sua affabulazione è una disgregazione della retorica abusata dai giornalisti, dai massmediologi, dagli eserciti di adolescenti instupiditi dalle ore – dalle notti – trascorse in immersione onanistica davanti ai social media e alle bacheche elettroniche, dai battaglioni di esperti di marketing e di creativi che trasudano catene di significanti lessicali come parole d’ordine senza più riferimento ad alcun oggetto della realtà.
Come insegna Bachtin, il grottesco è il rovesciamento dei valori istituzionali, è la denuncia della loro autoreferenzialità, è l’accusa contro un sistema di potere che vuole trasformare le proprie istruzioni in leggi della natura attraverso la pesantezza della propria ripetizione. Il carnevale scioglie i ranghi e spezza i legami autorizzati tra segni e significati. Separa i simboli e li rovescia in diaboli.
Certo, Bachtin aveva in mente Rabelais e Dostoevsky quando pensava alla trasfigurazione letteraria del carnevale, e anche quando si pensa alla festa popolare si rinvia ad un fenomeno che viene contenuto entro confini temporali di pochi giorni. L’inferno che si rovescia su 4chan e sulla rete di Tumblr invece è una condizione permanente di idiozia, ed è difficile ammettere che tutti gli adolescenti impegnati nella replica dei memi siano raffinati critici dei valori istituzionalizzati negli stereotipi linguistici e nelle funzioni gerarchiche della società. In un certo senso si potrebbe invece sostenere che siano i memi a generarsi attraverso di loro, come un’epidemia di virus influenzale, o come il flusso di coscienza che emerge dal frullatore lessicale del Doge.
Ryan Milner osserva che i brandelli linguistici che vengono iniettati come didascalie alle immagini dei memi appartengono ad una vera e propria «lingua franca dei media», con le proprie regole di comunicazione e le derive retoriche di formazione di generi estetici. Forse più che di una vera e propria lingua si dovrebbe parlare di un insieme di regole di trasformazione del linguaggio comune, una sorta di parassita grottesco della realtà.
Anche le forme di produzione estetica che si coagulano da questa lingua franca sono forme parassitarie dell’arte pop ufficiale: lo mostra la parodia necrofila di Paperino e Pippo proveniente da 4chan e citata da Milner.
Il rovesciamento carnevalesco si mette all’opera inoculando dosi massicce di sadismo nei personaggi destinati alle letture edificanti dei bambini, e garantendo un finale luttuoso ad una narrazione nata per essere passatempi di divertimento innocente. Senza lo script originale della Walt Disney e la sua sedimentazione nell’esperienza culturale dell’ultimo secolo, l’umorismo del meme sarebbe svuotato.
Nella sua dissertazione alla London School of Economics, Kate Miltner sostiene che la produzione spontanea dell’umorismo che invade i memi di 4chan e simili obbedisce alle leggi sociali della formazione di legami e di tribù fondate sulla condivisione di linguaggi e di valori simbolici. L’oggetto delle sue riflessioni sono i LOLCat, i predecessori dei Doge nello zoo della memetica online e il punto di origine del modus operandi di tutte le forme di espressione di questo bizzarro genere letterario. Secondo la ricostruzione di Tamara Ikenberg la loro apparizione risale al 2006, sebbene il successo di massa sia innescato dalla pubblicazione del primo I Can Has Cheezburger? l’11 gennaio 2007. La struttura del meme è ricorsiva e governata da generi predefiniti: l’immagine fotografica di un gatto accompagnata da una didascalia con caratteri tipografici enormi in formato sans serif (con i Doge si è tornati al comic sans), e con costruzioni grammaticali intenzionalmente deturpate.
I LOLCat si sono formati persino una loro teologia (negativa), con il progetto di traduzione della Bibbia in lolspeek, dove Dio è raffigurato da un gatto che volteggia nel paradiso dei soffitti sgretolati, tratto dal genere ceiling cat, mentre il demonio prorompe dalla razza dannata dei basement cat. Un dettaglio non trascurabile è che la fortuna dei ceiling cat, (repliche fotografiche di felini che si affacciano da fessure nel soffitto), è stata innescata dal prototipo «Ceiling cat is watching you masturbate». La cosmogonia delle parodie è autoreferenziale e sterile come l’intero immaginario nerd.
Catherine Knight Steele rimprovera alla lingua franca dei memi di essere attraversata da una filigrana razzista, che finisce per emarginare ancora di più le minoranze da cui vengono intercettate le storpiature e gli eccessi umoristici. La partecipazione dal basso finisce per consolidare gli standard dei gruppi dominanti, a svantaggio di chi si trova nelle periferie della società.
La parodia ha sempre rovesciato le posizioni e i ruoli dell’alto e del basso, del cielo e del corpo, del sacro e dello scarto. La natura di questa trasvalutazione si è sempre macchiata di intenzioni sediziose, contro il potere ideologico della Chiesa, quello economico della borghesia, quello culturale delle classi dominanti: la sua funzione è stata quella di portare alla luce l’inconscio violento dell’ordine e della pace sociale. Nella nostra epoca contrassegnata dall’estinzione del desiderio, dall’imperativo del godimento completo e immediato, della disponibilità della cosa prima ancora che del bisogno, secondo Massimo Recalcati l’uomo ha perso anche il suo inconscio. Quello che emerge dall’inferno dei memi di 4chan e di Tumblr è il brutto stesso dell’esistenza, senza mediazioni e senza letteratura. Senza nemmeno la macchia della colpa sediziosa, dell’intenzione ribelle. Doge è il volto innocente dell’orrore, il papa del vuoto di passioni, il frullatore del significante frammentato senza nemmeno significati da negare o rovesciare.
Da Rabelais a Doge, ognuno ha il carnevale che si merita.