Immaginatevi la faccia di Enrico Letta. È in diretta, domenica sera, in collegamento con lo studio. Ha un auricolare nell’orecchio. Ha appena detto che con Matteo Renzi va tutto bene: «SÌ, c’è qualche difficoltà, ma il nostro rapporto è chiaro e leale». Il problema è che non gli crede nessuno. Non ha nemmeno finito di parlare, che dallo studio, con molta cortesia, ma con chirurgica fermezza, il conduttore, due giornalisti e due ospiti iniziano a bombardarlo: «Scusi Letta, la capiamo: lei può raccontarci quello che vuole, ma questa è una panzana». E, subito dopo, segue un incessante (ma pur sempre britannico) quarto grado.
Purtroppo devo dirvi due cose su questa visione che ho avuto ieri. La prima: non era Enrico Letta, il leader in collegamento con quel programma, ma Massimiliano Allegri l’allenatore del Milan. E non era Matrix, ma nemmeno Porta a Porta, non Servizio pubblico, e nemmeno Piazza pulita, il programma in questione, ma la Domenica Sportiva. Se ho provato a fare questo gioco di spiazzamento e di contaminazione tra due vicende, dunque, è perché mi sembra che programma di Paola Ferrari, ieri, ci abbia dato una vera e propria lezione di giornalismo: un esempio, non solo alle testate sportive, ma potenzialmente anche per la grande informazione e per i politici.
Perché a parte il gioco di sostituzione che ho tentato, tutto il resto è terribilmente vero: nello studio del talk show più seguito tra quelli che parlano di calcio c’era un personaggio di rango assoluto, l’equivalente di un monarca, di un presidente del consiglio, cioè l’allenatore di una delle squadre più importanti d’Italia. Ed era altrettanto drammatica la situazione: ben oltre la faida endemica fra Letta e Renzi, si era appena aperto, con una dichiarazione infuocata di Barbara Berlusconi riferita in diretta dalla Ferrari, una nuova guerra fra Adriano Galliani e l’erede dei Cavaliere.
Massimiliano Allegri e Marco Civoli, nella trasmissione La Domenica Sportiva di domenica 12 gennaio
Una situazione difficilissima da gestire, in cui alla cortese reticenza di Allegri, si sarebbe potuta opporre, la solita flemma ipocrita, la cortesia del faccio-finta-di-crederti. Invece – lo ripeto, pacatamente e serenamente, come diceva Maurizio Crozza impersonando Walter Veltroni – Allegri è stato torchiato: Fulvio Collovati, perfetto come sempre nei panni di commentatore, non aveva alcuna remora, entrava nella vicenda della panchina, spiegava perché la battuta di Barbara Berlusconi è deflagrante.
Tutti discutevano della possibile rimozione di Allegri con Allegri collegato, tutti gli cantavano un cortese de profundis, pur rispettando quello che il tecnico diceva. Allegri, come spesso fanno i politici, recitava con molta dignità al suo ruolo: «Io sono e resto l’allenatore del Milan- ripeteva – sono contento della mia squadra, non per quello che ha fatto in campionato, ma per l’ottima impresa in coppa dei campioni». E mentre diceva queste cose, non c’era nessuno che lo prendesse veramente sul serio: si discuteva già della sua dipartita, con lui collegato, costretto ad assistere senza poter nemmeno negare.
Ho pensato che in qualche modo è stata davvero una doppia lezione di giornalismo: non solo per il modo disinvolto, non aggressivo, ma terribilmente ficcante con cui lo studio si avventava sulla grande notizia, per la tenacia con cui la Ferrari guidava le danze, andando direttamente al nocciolo della questione, e rinfocolando con tempismo scientifico, in nodo rovente della panchina. Lo è stato, soprattutto, per il modo in cui Allegri, cioè il rappresentante dell’istituzione, o del potere – e in definitiva il protagonista di quel processo – considerava in qualche modo scontato che si facesse quel dibattito, che lo si facesse in quei termini, che si considerassero assolutamente irrilevanti le sue dichiarazioni formali, Mi stupiva che tutti, sia pure garbatamente, parlassero senza perifrasi o giri di parole, senza reverenza di alcun tipo del problema della sua panchina, della sua imminente cacciata.
Mi chiedo dunque, e scusatemi se faccio questa provocazione, perché non si possa parlare e affrontare in un Talk politico la disputa Renzi-Letta con la stessa leggerezza e incisività con cui si affronta quella fra Galliani e Barbara Berlusconi. Mi chiedo perché nessun leader di partito, tendenzialmente, sia disposto a confrontarsi con gli opinionisti del settore, con la stessa franchezza, la stessa umiltà con cui lo fa Massimiliano Allegri in uno dei momenti probabilmente peggiori della sua carriera.
Ma anche i giornalisti hanno qualcosa da imparare: domenica mattina, per esempio, Matteo Renzi ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera quasi esplosiva: «Guardiamo la realtà: la popolarità del governo è al minimo». E poi: «Nell’ultimo trimestre del 2013 gli Stati Uniti sono cresciuti del 4%, l’Italia è ferma», «Il governo proseguirà per tutto il 2014: ma non può andare avanti così». E ancora: «Codice di comportamento, primo articolo; vietato combinare guai come le slot machines, Imu o gli insegnanti». E in conclusione, dopo aver elencato le prime 14 cose che non vanno nel governo il segretario del Pd ha concluso: «Enrico non si fida di me».
Al confronto di questa pioggia di critiche le parole di Barbara Berlusconi su Allegri sono piccole stilettate, e un premier sfiduciato dal suo leader di partito avrebbe già rassegnato le dimissioni o dato battaglia. Ma forse, di questi tempi, nel mondo del calcio c’è più serietà che in quello della politica: la lezione della Domenica Sportiva è questa.