Il rientro dei capitali è solo per pesci piccoli

Rimpatrio all’italiana

Alla fine il decreto che stabilisce il rientro di capitali, sotto forma di voluntary disclosure ovvero autodenuncia, è arrivato in consiglio dei ministri. Non sarà né uno scudo per fare cassa né una semplice regolarizzazione a fronte di agevolazioni in termini penali ed economiche. Ma una via di mezza. Una scelta all’italiana. Il testo del decreto rende di fatto assolutamente non conveniente dal punto di vista penale autodenunciarsi (a differenza di quanto avviene in Germania) a meno che si sia semplicemente omesso di dichiarare un patrimonio estero nel quadro RW previsto dalla dichiarazione dei redditi.

Ieri il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha dichiarato che non è in vista alcun condono tombale ma solo una emersione di capitali secondo le regole previste dall’Ocse. Così sarà, infatti. In sostanza chi sceglierà questa opzione pagherà di fatto un 12% del capitale o reddito non dichiarato . Senza avere certezza di che cosa succederà dopo o che conseguenze penali ci saranno. Resta infatti da capire quali logiche politiche staranno dietro a una tale scelta. Tenere in piedi la segnalazione delle singole pratiche di rimpatrio alle procure competenti significa rinunciare a far rientrare i capitali ingenti dei grandi evasori. E indirettamente significa fare in modo che chi aderirà al rimpatrio si trovi obbligato a dare a magistrati o guardia di finanza le chiavi della propria azienda.

Infatti, l’Agenzia dopo aver chiuso l’accordo sulle multe da pagare, segnalerà la pratica agli inquirenti che avranno a qual punto a disposizione tutte le informazioni necessarie per cercare tutti gli altri illeciti di fatto non scudati. La domanda, a questo punto, è: «chi aderirà alla voluntary disclosure?». La risposta maliziosa è tutti quei piccoli evasori ed elusori che in Svizzera detengono cifre ben inferiori al milione di euro. Le banche elvetiche obbligheranno questi correntisti ad autodenunciarsi per non avere grane o lo faranno personalmente. I grossi capitali potranno invece agevolmente scappare a Panama o in altri paradisi fiscali, con l’aiuto delle stesse banche. In sostanza il cuore della trattativa tra Italia e Svizzera verterebbe nel non smontare del tutto il segreto bancario, ma nel sacrificare qualcosa. Ovvero i piccoli correntisti, che si troveranno senza alternative: se non autodenunciarsi per limitare i danni.

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Decreto-legge recante disposizioni urgenti per incrementare il contrasto all’evasione fiscale e l’efficienza dell’amministrazione finanziaria

Dopo che il Corriere della Sera a partire dallo scorso novembre ha sdoganato (con ripetute prime pagine) il rientro di capitali dalla Svizzera, la politica si è sentita in dovere di spingere il piede sull’acceleratore. Le banche elvetiche che hanno accolto per anni le valigie (di denaro) degli italiani poco fedeli al Fisco, ora mandano lettere ai propri correntisti per spingerli ad autodenunciarsi e per evitare di finire esse stesse inguaiate dalle nuove norme Ocse e Fatca legate al riciclaggio. Dalle stesse lettere si evince quanto la cosa sia urgente.

La realtà è un po’ diversa. A una più attenta lettura si capisce che l’ultimo accordo multilaterale Ocse firmato a Parigi e relativo alla collaborazione amministrativa e allo scambio di informazioni pur essendo entrato immediatamente in vigore diventerà operativo solo dopo la ratifica parlamentare. E solo a seguito dell’approvazione popolare. Dunque servirà molto tempo. Eppure i clienti italiani, francesi e tedeschi coccolati fino a poco tempo fa dalle banche che avevano venduto loro società panamensi e trust a Tortola, ora diventano scomodi. Il timore che anche l’Europa faccia come gli Usa (si metta a incriminare board o funzionari delle banche svizzere) rende questi stessi clienti simili ai monatti. Infatti, turchi, brasiliani e russi hanno un trattamento diverso. A quanto risulta a Linkiesta non ricevono lettere sulla tax compliance e probabilmente possono ancora portare valigie piene di denaro. In ogni caso, per gli eventi della storia, istituti elvetici e fisco italiano ora sono alleati.

E al governo di Roma tutto ciò come abbiamo visto farà comodo. Servono soldi e bisogna farli ritornare varando la voluntary disclosure. Ne abbiamo già scritto, raccontando della Commissione Greco e del tentativo di dare un quadro normativo che tuteli penalmente alcune fattispecie di evasori o di contribuenti infedeli. Al termine dell’articolo ci auguravamo che la politica se ne stesse lontano per fare in modo che non finisse tutto come nel classico mercato delle vacche . Tanto al chilo, un bel mischione in cui non si distinguono gli evasori incalliti, da quelli che hanno sbagliato a compilare il quadro RW, ovvero la parte della dichiarazione dei redditi dove si riportano i beni detenuti all’estero. Ora, purtroppo, il rischio è ricredersi. Con la speranza di essere smentiti più avanti.

L’attuale scelta rappresenta un colpo al cerchio e uno alla botte. Il governo ha scelto di incassare una cifra bassa dal rimpatrio di capitali senza fare uno scudo smaccato e al tempo stesso di regolare la propria posizione nei confronti dell’Europa, risolvendo anche l’annosa questione dell’auto-riciclaggio. Facendolo però entrare in vigore solo dopo agosto per non azzerare del tutto gli effetti contabili della voluntary disclosure.

In relazione alle norme Ue e quindi sulla mancata dichiarazione nel quadro RW l’Italia sta ha di fatto fino ad oggi aggirato le normative. Lo scorso luglio il nostro Parlamento ha approvato, tramite il Dl 167, sanzioni soft per chi non rispetta gli obblighi dichiarativi sulle attività detenute all’estero. Lo ha fatto su suggerimento della Commissione europea (caso Eu Pilot 1711/11/Taxu) che tiene a rendere il più possibile aperti i confini e mobili i servizi. Il Dl dice: basta sanzioni che vanno dal 10% al 50% del valore totale delle attività più confisca. Così sulla carta, dallo scorso settembre, è previsto un pagamento proporzionale dal 3 al 15% se si tratta di asset detenuti nella Ue e dal 6 al 30% se si parla di Paesi black list. In realtà per questi ultimi Paesi anche se si tratta di patrimoni giacenti e non redditi evasi l’Agenzia delle Entrate mantiene la presunzione di evasione, quindi raddoppia le sanzioni tributarie (D Lgs 471/97) e pure quelle relative al quadro RW. Inoltre dal 2009 applica gli stessi calcoli per ciascuno dei procuratori del conto estero. Se un marito lascia la procura alla moglie e ai due figli, le sanzioni totali si moltiplicano per quattro anche se il patrimonio è sempre lo stesso. Comunque anche con queste penalizzazioni fino al dicembre scorso veniva applicato il cumulo giuridico con uno sconto finale (sanzione più alta relativa all’anno con capitale più elevato maggiorata del 90% e poi scontata di 2/3). Dunque, in soldoni, fino a dicembre 2012 regolarizzare i patrimoni esteri non veniva a costare più del 7%. Stando invece alle norme Ue dovrebbe costare da un minimo dell’1,9% a un massimo del 4, nel caos di paradisi fiscali. Insomma, il vero costo della voluntary disclosure. Qualcuno tra il governo e l’Agenzia a qual punto si è messo a fare due calcoli. Troppo poco. Addirittura meno del vecchio scudo.

Così lo scorso dicembre sono state distribuite ai funzionari dell’Agenzia istruzioni mai rese pubbliche secondo cui si elimina di fatto il meccanismo del cumulo e si dice in sostanza che la sanzione non può mai essere inferiore ai minimi edittali di ogni annualità non dichiarata. Sempre a dicembre il software di calcolo ha subito uno stop di alcuni giorni e quando è ripartito aveva già incorporate le nuove sanzioni. Risultato: a gennaio una regolarizzazione e pratica portata avanti dall’Ucifi, ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, diretto da Antonio Martino, costa almeno il 17%. Se poi un contribuente pensa ad autodenunciarsi per regolarizzare una casa in Francia intestata a moglie e due figli si trova a pagare il 20%. Se il conto in Svizzera è stato ereditato 20 anni fa e intestato a madre e due fratelli la percentuale arriva al 60%. Ecco che le norme Ue sono palesemente bypassate. Ma ciò che più conta è che con tali premesse nessuno farà più la voluntary disclosure. Conviene andare al contenzioso. Costerebbe di meno.

Questo alla faccia di tutto il battage mediatico che da tempo sta sostenendo l’imminente voluntary disclosure. Bene diffidare da quei professionisti e consulenti che promettono ai clienti che si autodenunciano sconti elevatissimi in cambio del 3 o del 5% di commissione. Meglio valutare semmai il professionista che fa la solita parcella e sottolinea per bene i rischi. In primis quello del versante penale che al momento non è ancora stato definito ed è imprescindibile per la riuscita del rimpatrio dei capitali.

Tutto ciò ha causato un picco negativo nel gettito dell’Agenzia relativamente alle questioni del quadro RW. Così l’Ucifi che ha il compito di seguire la voluntary disclosure (si parla di stime vicine alle 10mila pratiche per una media di 500mila euro/un milione ciascuna) lo scorso settembre ha pensato bene di ripristinare una norma (praticamente mai applicata) del 1997. Si tratta dell’articolo 7 comma 4 del Dlgs 472/97 che prevede in casi «eccezionali» di ridurre le sanzioni fino al 50%. In questo modo si arriva al 10-12% che è tanto se si tratta di una mera dimenticanza, poco se c’è evasione. Comunque più dell’ultimo scudo, meno dello schema Rubik e una percentuale che quasi tutti i contribuenti furbetti o infedeli accetterebbero. Insomma problema risolto? Tutto pronto? Non proprio. L’Ucifi agisce trasversalmente lungo l’Italia, ma alla fine gli atti di contestazione devono passare attraverso le direzioni provinciali. Che sono un centinaio. E quindi, dopo che il contribuente attraverso il suo consulente è andato all’Ucifi a chiudere l’accordo, rischia di trovarsi di fronte il direttore provinciale che non condivide l’eccezionalità e quindi può far partire una verifica a tutto campo. Senza difese.

Viene da chiedersi come si possa fare un rimpatrio di capitali senza norme certe? Impossibile. Peggio se non si definisce il quadro normativo penale. Voci di corridoio raccontano di situazioni in cui si prometteva l’estinzione del reato pagando multe che vanno da 258 a 2580 euro al giorno. Ma l’azione penale è solo del magistrato che risponde al codice e certo non all’Agenzia delle Entrate.

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