Il male dell’Italia potrebbe presto diventare il debito privato. Mentre il debito pubblico veleggia oltre i 2.100 miliardi di euro, oltre il 130% del Pil, quello privato non è da meno. Secondo le stime supererà quota 190% del Pil. Vale a dire poco più di 3.000 miliardi di euro. Una cifra monstre, considerata la dinamica di questa grandezza, che è in ascesa. E l’aumento dell’indebitamento privato va di pari passo con la riduzione sia della ricchezza sia del tasso di risparmio, ai minimi dal 1980. Il risultato è una spirale mortale.
Per capire quanto vale il debito privato italiano, si può guardare la definizione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che analizza l’indebitamento di imprese e famiglie. Prendiamo il 1995. Il rapporto fra debito privato e Pil era del 127,74%, un valore elevato se visto da un ottica nazionale. Ma se si fa il paragone con la Germania, le cose migliorano. Nel 1995 infatti il debito privato tedesco era pari al 151,88% del Pil. Cifre analoghe per la Francia e per il Regno Unito. A sorpresa uno dei Paesi più virtuosi era la Grecia. Il debito privato ellenico, infatti, era pari al 51,85% del Pil. Per effettuare un paragone con l’indebitamento pubblico, quello italiano era a quota 113,1% del Pil, quello tedesco al 21,1%, quello transalpino al 41,6% e quello ellenico al 104,8%, ben lontano dai picchi odierni, oltre il 170% del Prodotto interno lordo. Nell’arco di cinque anni ci fu la prima evoluzione, corrispondente a un aumento generalizzato del debito privato. Quello italiano salì fino al 136,15% del Pil, quello tedesco al 176,56%, quello francese al 168,94% e quello greco al 70,39 per cento. Il tutto a fronte di un debito pubblico aumentato in modo generalizzato, se rapportato al Pil: Germania al 38,4%, Francia al 47,4%, Grecia al 108,9 per cento. Manca l’Italia, perché fu l’esempio virtuoso d’Europa, capace di ridurre il proprio debito pubblico fino al 103,6% del Pil. I motivi di questa tendenza li ha spiegati UBS in un report di un anno fa. Al fine di sostenere la crescita economica, imprese e famiglie si sono indebitate. «Anche a livello globale l’espansione delle economie negli ultimi 25 anni, anche di più se si guardano nello specifico alcune aree, è stata trainata dall’indebitamento», ha spiegato la banca elvetica. Uno scenario che poi è stato confermato dalla Banca centrale europea in ben più di un’analisi. Non è quindi un caso che le cose siano peggiorate nei cinque anni successivi. Vítor Constâncio, vicepresidente della Bce, nello scorso maggio ha spiegato il fenomeno dell’esplosione del debito privato: Con l’introduzione dell’euro vi è stato «un deciso incremento nelle attività bancarie tra Paesi». Questo ha fatto sì che l’esposizione delle banche del cuore dell’eurozona quintuplicassero la loro esposizione verso i Paesi della periferia tra l’introduzione dell’euro e l’inizio della crisi finanziaria. Il trasferimento di liquidità fra le due aree ha quindi creato questo squilibrio nell’indebitamento privato, amplificando anche quello presente nei Paesi del cuore dell’area euro. Più consumi, più debito. Un circolo vizioso, ha spiegato Constâncio.
Nel 2005 il debito privato italiano ha raggiunto quota 159,99% del Pil, a fronte di un debito pubblico del 97,7 per cento. È andato leggermente meglio alla Germania: debito privato al 171,63% del Pil, con un debito pubblico del 40,8 per cento. Una lieve contrazione, secondo l’analisi di Goldman Sachs, imputabile alle riforme strutturali adottate da Berlino a cavallo del 2000. Di contro, la Francia ha visto un innalzamento significativo del proprio debito privato, fino al 183,95% del Pil. Molto, se paragonato al debito pubblico, al 53,3% del Pil nel 2005. E ancora una volta è rilevante segnalare la performance della Grecia: indebitamento privato al 100,51% del Pil, indebitamento pubblico al 110,6% per cento. Poi, è arrivata la grande crisi. E gli effetti negativi si sono sentiti. Nel 2010 il debito privato italiano è schizzato al 188,78% del Pil, mentre quello pubblico è arrivato al 109 per cento. Famiglie e imprese sempre più indebitate, ma anche sempre più strozzate dal credit crunch e dal fisco: questo è stato lo scenario dell’Italia. Da Paese virtuoso a maglia nera dell’eurozona? Sul fronte del debito pubblico si, su quello privato no. A fare peggio di Roma ci ha pensato Parigi, il cui debito privato a fine 2010 fu del 220,67% del Pil, con un debito pubblico del 67,4 per cento. Ecco una delle ragioni, ha spiegato Deutsche Bank, per il quale la Francia si può considerare «il grande malato d’Europa».
Infine, gli ultimi anni. Per i quattro Paesi analizzati la situazione è stata particolare. L’espansione del debito privato è andata di pari passo con quella dell’indebitamento pubblico in Francia e Grecia, mentre la Germania è riuscita a ridurre la prima voce, portandola sotto quota 160% del Pil. L’Italia è in una posizione differente. Il debito privato si è ridotto solo nel 2012, quando è calato fino al 186,80% del Pil. Incontrollata, invece, la crescita del debito pubblico, che nello scorso novembre ha toccato i 2.104 miliardi di euro, oltre il 130% del Pil. E secondo un rapporto di J.P. Morgan dello scorso dicembre, il debito privato dell’Italia ha ripreso la sua parabola ascendente ed è atteso che superi quota 190% del Pil a fine 2013. Bisognerà attendere ancora qualche settimana se i calcoli di J.P. Morgan sono corretti.
C’è poco da stare allegri, quindi. L’aumento del debito privato italiano era nell’aria. I motivi sono diversi. Il primo è la recessione, che negli ultimi ha fatto compagnia all’Italia e che si sta trasformando in una stagnazione. Imprese e famiglie sono state costrette a rivedere i singoli capitoli di spesa, ma hanno anche fatto i conti con un aumento delle uscite, che hanno continuato ad alimentare il circolo vizioso del ricorso ai finanziamenti. Poi, c’è il credit crunch. La restrizione del credito bancario ha costretto imprese e famiglie a raschiare il fondo del barile, anche utilizzando altri canali per l’erogazione di liquidità, come le società di prestiti al consumo. Ciò che preoccupa di più, invece, è che siano stati toccati i tesoretti presenti. Considerato che, soprattutto nel caso dell’Italia, il primo ammortizzatore sociale è la famiglia, è semplice comprendere in che modo sia stata erosa la ricchezza presente. Secondo l’analisi di Goldman Sachs, il tasso di risparmio delle famiglie italiane è ai minimi dal 1980 e la situazione continua a peggiorare. Il tasso, cioè la quota di reddito disponibile che gli italiani riescono a mettere da parte, è sceso quota 10 per cento. Era sopra il 20% nel 1980. E, a causa di un «massivo deterioramento dei risparmi dal 2008 a oggi», la ricchezza delle famiglie è scesa fino a quota 7.800 miliardi di euro. Altra cifra che riporta agli anni Ottanta. Infine, la deflazione. La riduzione del livello generale dei prezzi, sintomo della debolezza della domanda interna, rischia di costringere le imprese a rivedere ben più di un piano industriale, amplificando la debolezza economica del Paese.
Nel solo periodo fra 1999 e 2007 il debito privato italiano è aumentato del 71,2 per cento. E il trend continua a essere in ascesa. Più debito, meno risparmi, a cui si devono aggiungere meno capacità di spesa e meno domanda. Se è vero che l’emergenza finanziaria è terminata, quella debitoria no.