Non solo Silicon Valley, il settore high-tech sta prendendo piede anche in Europa. Secondo le analisi di un recente paper –High Technology Employment in the European Union, presentato settimana scorsa a Bruxelles – l’occupazione high-tech (calcolata includendo sia i lavoratori del settore che gli impieghi di carattere scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico in tutti gli altri settori) è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2011, più del doppio rispetto alla crescita totale dell’occupazione. Grazie a questa forte crescita, il settore high-tech è arrivato a rappresentare il 10% dell’occupazione totale nell’Unione Europea. Anche in Italia è cresciuto esponenzialmente, registrando un +28,5% dal 2000, la maggior parte del quale è concentrato nelle regioni del nord (in particolare Lombardia e Emilia Romagna) e nel Lazio.
Visti questi dati, non sorprende quindi che nel corso di tutta la decade la disoccupazione nel settore, pur seguendo il trend occupazionale generale, non salga mai sopra il 4%. Ciò riflette, da un lato, gli elevati livelli di istruzione e le alte qualifiche dei lavoratori del settore; dall’altro, denota l’alta domanda per lavoratori con tali qualifiche.
(Stem= Science, Technology, Engineering and Mathematics)
Se ancora avevate dubbi, i dati sui salari (1) vi convinceranno che è bene buttarsi nell’high-tech (anche se purtroppo non è facile improvvisarsi). In tutti i 21 paesi europei considerati il salario medio negli impieghi high-tech (anno 2010) è più elevato del salario di un lavoratore medio; in Italia questo wage premium attribuibile unicamente al tipo di occupazione (impieghi STEM – Science Technology Engineering and Mathematics)è di quasi il 20% . Non solo, dal 2005 al 2010 la crescita dei salari dei lavoratori high tech è stata più alta della crescita media dei salari totali in 20 dei 26 paesi europei considerati. In Italia, i salari di questo settore sono cresciuti del 4,4%, il doppio degli impieghi non high-tech.
Al di là delle condizioni favorevoli di cui godono i lavoratori nel settore high-tech, lo studio suggerisce che ci sono anche ottimi motivi per implementare politiche che incoraggino lo sviluppo del settore: gli effetti secondari dell’high-tech sull’economia sono infatti tutt’altro che trascurabili. Le analisi stimano che, a livello locale, la creazione di un impiego high-tech crea un effetto moltiplicatore, ed è associata alla creazione di più di 4 posti di lavoro in altri segmenti non high-tech, nella stessa zona (il risultato è statisticamente significativo all’ 1%). In breve, la forza lavoro high-tech genera una somma considerevole di reddito, aiutando a sostenere le economie locali.
Queste conclusioni sembrano essere controcorrente rispetto alle recenti discussioni – scatenatesi al seguito della dichiarazione di Eric Schmidt, Ad di Google (azienda, fra l’altro, sponsor del paper citato) che ha dichiarato l’esistenza di una “corsa fra uomo e computer” – che lanciano l’allarme sulla possibile sostituzione, in seguito agli sviluppi del settore tecnologico, del lavoro umano a favore di processi automatizzati (ad esempio, secondo un recente paper di Carl Benedikt Frey and Michael Osborne, dell’Università di Oxford, negli Stati Uniti circa il 47% dell’occupazione totale sarebbe a “rischio automazione”).
Insomma, può darsi che qualche posto di lavoro sia spiazzato dall’avvento delle tecnologie informatiche, ma ci sono molte opportunità di lavoro legate alla crescita del settore. Per gli ingegneri e i creativi che inventeranno nuove applicazioni. Ma anche per i barbieri che dovranno tagliargli i capelli.
(1) Le analisi sui salari sono effettuate utilizzando i dati sugli stipendi dei lavoratori con impieghi di carattere scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico poiché non esistono dati a livello di settore.