Ieri il governo Letta ha dato il via libera ad una prima tranche di privatizzazioni di quote non di controllo di Poste e di Enav.
Lo scopo è evidentemente quello di fare cassa per finanziare investimenti in conto capitale altrimenti impossibili considerata la zavorra del debito pubblico che sta mangiando il presente e il futuro del paese. Eppure la scelta del governo rischia di essere miope e controproducente come dimostra il caso della Grecia analizzato nell’articolo di Paolo Manasse che ripubblichiamo qui sotto. Privatizzare per ridurre il debito non è la via giusta. Ecco perché.
Nel bel mezzo della crisi europea del debito, si è tentato di pensare che i paesi ad alto debito potrebbero attenuare l’impatto recessivo del processo di consolidamento di bilancio vendendo asset pubblici e partecipazioni nelle imprese statali (Soe), e utilizzare il ricavato per riacquistare il proprio debito. Oltre a fornire risorse finanziarie per sostenere programmi di aggiustamento e di riforme e a migliorare la solvibilità dello stato, le privatizzazioni sono spesso associate a vantaggi di lungo termine, poiché attirano investimenti esteri e competenze manageriali, stimolando la concorrenza e la crescita.
Ed infatti, le privatizzazioni hanno fatto parte del programma di intervento (condizionalità) della Troika (Commissione Europea, Fondo Monetario e Bce) in Grecia sin dall’inizio della crisi. Nel marzo 2011 Grecia e Troika firmarono un accordo che prevedeva un piano di privatizzazione molto ambizioso, comprendente la vendita di servizi di pubblica utilità, di complessi per il turismo, la concessione ai privati dell’aeroporto di Atene e del porto del Pireo, la vendita di partecipazioni pubbliche nella società telefonica Ote e la parziale privatizzazione della Banca Agricola greca. In cambio, la Grecia avrebbe ottenuto un accesso ai fondi Efsf (European Financial Stability Fund) a tassi privilegiati. Il piano originale era quello di raccogliere 50 miliardi di euro entro il 2015, circa il 17 % per cento del debito di allora.
Le privatizzazioni sono progredite ad un ritmo deludente (Tabella 1): nel 2012 sono stati completati solo 2 su 35 gare di offerta, principalmente a causa dei ritardi nelle necessarie modifiche normative e regolamentari (le cosiddette government pending actions, nel gergo della Commissione). Nel 2013, sono state completate 10 gare.
Tabella 1: Privatizzazioni greche
Fonte: Leila Fernandez Stembridge, Commissione europea
Negli anni successivi, il gettito atteso dalle privatizzazioni delle imprese statali, dei beni immobiliari e delle banche, è stato drasticamente ridimensionato (Tabella 2), scendendo a soli 8,7 miliardi di euro negli accordi (Memory of Understanding, Pou) del 2013.
Tabella 2: Ricavi Previsti delle Privatizzazioni
Fonte: Leila Fernandez Stembridge, Commissione europea
In questo articolo mi concentrerò sulla seguente questione: le privatizzazioni su larga scala sono una valida opzione per migliorare la solvibilità dei paesi ad alto debito (1) ? La mia tesi è che, in pratica, la vendita di asset pubblici difficilmente permette di migliorare la solvibilità dello stato, e questo vale in particolare quando un paese è in difficoltà finanziarie. Dunque il recente fiasco greco con le privatizzazioni ha probabilmente portata generale. Per prima cosa illustrerò un semplice esempio numerico per spiegare l’effetto delle privatizzazioni sul bilancio dello stato, ed in seguito descriverò l’evidenza empirica rilevante.
Un esempio numerico
Si consideri il seguente esempio (Tabella 3). Un paese (la Grecia) ha un debito in scadenza pari a 100 euro, composto da 100 obbligazioni del valore nominale di 1 euro. I ricavi greci provengono da due fonti: uno (il turismo) genera 74 euro di sicuro, e uno (per esempio, il “porto del Pireo”) rende, in media, 20 euro. Poiché il valore del totale dei ricavi attesi (€94) è inferiore al debito in scadenza, la Grecia è insolvente, e il suo debito si vende in sconto, per 94cents per un’ obbligazione (questo è il rapporto tra il totale dei pagamenti attesi, 94 euro, il numero di obbligazioni in circolazione, 100).
Tabella 3: Un esempio di privatizzazione
Al fine di migliorare la solvibilità, il governo (o meglio, la Troika) decide di privatizzare il porto del Pireo, e di utilizzare il ricavato per riacquistare il debito. Si noti che questo esempio descrive una privatizzazione di dimensioni molto ampie, pari circa il 20% del debito totale (a prezzi pre-privatizzazione) e dunque paragonabile al piano originale di privatizzazioni della Grecia. Consideriamo il caso in cui il settore pubblico è ugualmente (in)efficiente del settore privato nella gestione dei porti (prima colonna, tabella 3). In questo caso, il Pireo sarà venduto per 20 euro (il valore attuale atteso dei redditi netti) e, con il ricavato il governo potrà riacquistare 21,28 (= 20/0,94) unità del proprio debito. Dopo la privatizzazione, il debito da rimborsare scenderà a 78,72 € (= 100-21,28)
È migliorata la solvibilità del governo? Niente affatto. Il governo ha rinunciato a 20 euro di entrate provenienti dal Pireo, e ora deve rimborsare 78,72 euro di debito, con solo le entrate del turismo (74 €). La Grecia é esattamente “insolvente” come prima, ed infatti il prezzo del suo debito sul mercato secondario è invariato (e pari a €0,94 = pagamenti attesi / debito in circolazione = 74/78,72). Le attività e le passività di bilancio si sono ridotte nella stessa misura e dunque la solvibilità è immutata.
Consideriamo ora il caso in cui il settore privato è molto più efficiente (+30 %) rispetto allo Stato nel gestire i porti, e può generare 26 euro (anziché 20 euro) dalla gestione del Pireo (seconda colonna della tabella 3). Se i mercati dei capitali sono competitivi, il Pireo ora si vende per 26 euro. Sarà redditizio per gli investitori privati di fare offerte di acquisto fino a questo prezzo. È facile dimostrare che, dopo la privatizzazione, il prezzo del debito sul mercato secondario salirà a 1 euro, cosicchè il governo potrà riacquistare esattamente 26 unità del suo debito. Così, il debito calerà a 74 unità, che il governo potrà rimborsare al valore nominale con i rimanenti proventi del turismo (il che conferma che il debito, dopo la privatizzazione, si deve vendere alla pari).
Tre lezioni dall’esempio
Questo esempio ci insegna tre lezioni:
1. In primo luogo, il governo migliora il proprio bilancio solamente se riesce ad appropriarsi dell’aumento del valore di mercato che verrà generato dal settore privato. Si noti tuttavia, che occorre una “grande” inefficienza pubblica (-30 %) per generare un “piccolo” miglioramento nella solvibilità (il prezzo del debito sale da € 0,94 a € 1);
2. In secondo luogo, perché questi benefici si materializzino, il governo deve cedere i diritti di controllo sull’asset privatizzato: se il governo vende quote di minoranza, o mantiene una “golden share”, non si avranno benefici.
3. In terzo luogo,i mercati finanziari devono essere competitivi ed avere “tasche profonde”, in modo che le imprese statali siano vendute ad un prezzo che rispecchia il valore dei dividendi futuri;
Infine, notiamo che un piano di privatizzazione “di successo” dovrebbere essere associato ad un miglioramento del prezzo del debito sul mercato secondario,il che significa che l’accesso al mercato finanziario del paese dovrebbe migliorare.
L’Evidenza empirica
1. Quanto sono grandi i guadagni di redditività, di produttività, di dividendi, di valore di mercato generati dalla privatizzazione delle imprese di proprietà statale (Soe)? C’è una vasta letteratura empirica che si riferisce principalmente agli anni ‘80 e ’90. I risultati di questa letteratura non univoci e variano a seconda dei settori,periodi e paesi considerati, poiché aspetti quali il quadro normativo e i dettagli del processo di privatizzazione sono cruciali. La Tabella 4, tratta dallo studio di Megginson e Netter, 2001 (2) mette a confronto le performance pre e post- privatizzazione di 113 imprese statali privatizzate.
Tabella 4: Studi empirici sulle privatizzazioni
Qualunque sia la misura di efficienza considerata, i miglioramenti seguiti alle privatizzazioni appaiono almeno un ordine di grandezza al di sotto di quanto necessario per migliorare la solvibilità (30% nell’esempio). Si noti che, da un punto di vista metodologico, questa letteratura è poco convincente: non confronta i cambiamenti pre / post privatizzazione delle aziende di Stato rispetto a quelli intervenuti in un “gruppo di imprese controllo”, composto da Soe che non sono state privatizzate. Dunque i miglioramenti di performance osservati potrebbero essersi verificati anche nelle imprese rimaste in mano pubblica, rendendo l’inferenza sugli effetti della privatizzazione fuorviante . Goldstein (2003) (3) esamina l’evidenza dell’esperienza privatizzazione italiana degli anni 1990 mettendo a confronto i cambiamenti pre / post privatizzazione di imprese privatizzate con quelli relativi ad un gruppo di controllo di imprese dello stesso settore. Lo studio non trova alcun effetto statisticamente significativo delle privatizzazioni.
2. La seconda questione è quella del trasferimento dei diritti di controllo. Bortolotti e Faccio, 2004 (3), considerano un campione di 118 aziende di Stato privatizzate nel corso degli anni ‘90 in Europa. L’evidenza suggerisce che il trasferimento dei diritti di controllo dopo la privatizzazione è stata lungi dall’essere completa: in ben il 65 % dei casi analizzati, il governo ha mantenuto almeno il 10 % delle azioni delle imprese privatizzate, e/o si è riservato diritti di controllo tramite le “golden shares” (vedere la tabella qui sotto). Questo fatto evidenzia come la politica sia riluttante ad allentare la propria presa sulle aziende di Stato, e fornisce una possibile spiegazione lo scarso impatto delle privatizzazioni sulle performance delle ex-imprese pubbliche. L’esperienza delle privatizzazione in Italia durante gli anni ‘90 è un esempio calzante: basti dire che il partito la Fondazione Monte dei Paschi di Siena (Mps), cioè la politica locale, in violazione di legge, possiede oggi almeno il 30% delle azioni MPS , 20 anni dopo la sua “privatizzazione”.
Tabella 5: Diritti di controllo
Fonte: Bortolotti e Faccio, 2004
3. Sembra improbabile che un paese che ha perso l’accesso ai mercati internazionali del debito possa proficuamente vendere attività sul mercato al loro “prezzo di equilibrio” (il valore attuale dei flussi di reddito che genera), anche se questo non si può escludere in linea di principio.
4. Infine, almeno nel recente episodio greco non sembra che il piano di privatizzazioni abbia portato ad alcun aumento delle quotazioni del debito greco né aver coinciso con un qualsivoglia miglioramento delle condizioni di accesso del paese ai mercati finanziari.
Conclusioni
Le privatizzazioni dovrebbero essere giudicate per i loro meriti: per ridurre il ruolo dello Stato nell’economia, se ed in quanto questo è associato alla corruzione, al finanziamento illecito clientele politiche, alla distorsione della concorrenza, a barriere all’ingresso e inefficienza. Come strumento di “emergenza ” volto a migliorare la solvibilità in tempi di crisi, tuttavia, è improbabile che possano essere efficaci. Un paese in crisi ha poche alternative rispetto a un mix di rigore fiscale, ristrutturazione del debito e il deprezzamento reale, eventualmente da realizzare attraverso tagli a stipendi e salari. L’implicazione è che la politica della Troika di condizionare l’assistenza finanziaria alle privatizzazioni è sbagliata e controproducente.
Note
(1) Questo articolo è basato sulla mia presentazione al Madariaga – College of Europe Foundation a Bruxelles il 2013/12/12, “Is Large-Scale Privatization a Viable Way to Cut Debt in the Eurozone?”
(2) William L Megginson, Jeffry M Netter, 2001 Da stato al mercato: Un sondaggio di studi empirici in materia di privatizzazioni, Journal of Economic Literature Volume 39, n. 2, pp 321-389
(3) Andrea Goldstein, Privatization in Italy 1993 – 2002: Goals, Institutions, Outcomes, and Outstanding Issues, April 2003 CESifo Working Paper Series No. 912
(4) Bortolotti, B. e M.Faccio 2004, “Reluctant Privatizations “, EGCI Working Paper n, 40