Piazza Affari, Luxury Stock Exchange

Fra alta moda e finanza

Lse: Luxury Stock Exchange. La vocazione di Piazza Affari, per il 2014, è delineata. E rafforzata, se ce ne fosse stato bisogno, dal debutto monstre di Moncler pochi giorni prima di Natale. Una strenna per gli azionsti, certo, ma anche un segnale netto per il futuro prossimo. L’acronimo Lse accompagna la borsa di Milano da ormai 6 anni, dal primo ottobre 2007, quando la società all’epoca guidata da Massimo Capuano convolò a (giuste?) nozze con il London Stock Exchange, che gestisce il mercato finanziario più importante d’Europa. Ma, legame con la City a parte, l’inclinazione del listino azionario milanese è sempre più nel nome e nei fatti: lusso, moda, Made in Italy, settori ben radicati nel tessuto industriale del Paese e – particolare che non guasta – se non proprio anticiclici quantomeno più resistenti alla crisi. Il biennio 2012-13 ha visto approdare in Borsa, tra le poche IPO (offerta pubblica iniziale) di maggior rilevanza, quasi solo gruppi riconducibili al comparto. Salvatore Ferragamo, Moleskine, Brunello Cucinelli, appunto Moncler (francese d’origine ma rilanciata da guida nostrana). E nel nuovo anno, «con una decina di società in pista per un’eventuale quotazione, almeno la metà sono del settore lusso», fa sapere Luca Peyrano, numero uno del mercato primario di Borsa Italiana.

Un biennio in crescita. Questa è l’impressione guardando Piazza Affari dopo anni di ritracciamento. Borsa Italiana era diventata periferia. Ora qualcosa è mutato. «Il collocamento di Moncler è stato il quinto per grandezza a livello europeo nel 2013 – spiega a Linkiesta Peyrano – e il maggiore nel settore lusso e moda. Non certo un caso isolato. Milano sta tornando ad avere un ruolo centrale nel settore: dal 2010 ad oggi, il 60% circa delle IPO del luxury sono avvenute sul nostro listino. Non sono più quindi le solite imprese presenti sui mercati italiani». Anzi, il lusso sta prendendo sempre più piede e può essere da traino per altri soggetti. Peyrano spiega che «per il 2014 si stima che le 50 più grandi società ancora non quotate possano raccogliere tra i 9 e gli 11 miliardi di euro. Il settore attira tantissimo gli investitori: la sola Moncler ha totalizzato una raccolta potenziale di quasi 20 miliardi (su una capitalizzazione di 400 miliardi circa per tutta Piazza Affari, ndr), visto che la domanda ha superato di 31 volte l’offerta, quindi la voglia di mettere soldi nel luxury è enorme». Un affare per tutti.

Insomma, se in America il marchio della casa è rappresentato dalla Silicon Valley e dall’hi-tech spinto, e a Wall Street ci finiscono i social network come Linkedin, Facebook, Twitter – il paragone è industriale, non certo per dimensioni –, sui nostri listini lo specchio (una volta tanto non troppo deformato) dell’industria del Paese rimanda una immagine nitida. In un indice fatto per oltre la metà da controllate di Stato (attuali o ex: Eni, Enel, Finmeccanica, Telecom e via dicendo), e banche o soggetti finanziari (Intesa Sanpolo, Unicredit, Mps, le popolari) lo spazio per l’industria propriamente detta (e privata) è sempre meno rilevante: moda e made in Italy sono forse l’unico comparto che può far recuperare posizioni – quantomeno azionarie – alla manifattura tricolore?

«La moda è sempre più fiore all’occhiello del nostro Paese, e lo sarà sempre di più. Ma non è l’unico – continua Peyrano – perché noto altre tendenze interessanti. Sta cambiando il modello di fare business, in pratica. Il numero uno del primario di Borsa Italiana non ha dubbi: «Se le nuove tecnologie sono infatti più appannaggio dei mercati del Nord Europa e della City londinese, in Italia acquisisce sempre più importanza il settore dell’automation technology: macchinari, sistemi di controllo e gestione di macchine e processi produttivi, sistemi elettronici». Dai colossi di una volta, grandi e pachidermiche entità industriali, si è passato a qualcosa di diverso. «Spesso sono società di piccole/medie dimensioni, non giganti, ma sono vere leader nelle rispettive, piccole nicchie di mercato. Ne contiamo oltre 200. E per raccogliere capitali, oltre alle vie classiche del private equity e dei prestiti obbligazionari, hanno l’AIM, cui tentiamo molto, come terreno fertile. Specie per società che guardano non tanto alla fase di mercato (se i prezzi salgono o scendono) quanto alla volatilità dello stesso: e lo scenario per il 2014 è certamente più prevedibile rispetto a quello degli ultimi anni», conclude Peyrano.

Questo è uno scenario tracciabile tenendo fermo il quadro di partenza, ossia il bilancio 2013. Allargando lo sguardo oltre Piazza Affari, si nota la conferma di Wall Street come meta prediletta dei nuovi sbarchi in Borsa (135 miliardi di dollari per i mercati nordamericani, su 320 complessivi di IPO globali nell’ultimo anno solare, dati Bloomberg). Al secondo posto sale la zona Asia/Pacifico (87 miliardi di dollari), staccando l’Europa (56 miliardi) e l’America Latina (che comprende i Caraibi: 37 miliardi). E se il Vecchio continente, in questo contesto, appare sempre più vecchio, moda e lusso sono sempre più la nuova linfa del mercato italiano. Ultimo esempio? Dal 23 dicembre, a fare il salto nel listino principale FTSE MIB è stata Yoox, società di e-commerce specializzata in moda e design: ha preso il posto di DiaSorin (prodotti farmaceutici) e Parmalat. Da London stock exchange a Luxury stock exchange, appunto.

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