La distruzione dei nostri dati vale tre miliardi di dollari. Questo è il prezzo che Facebook ha stimato equo per l’acquisto di Snapchat poco più di un mese fa. Pochi secondi dopo l’apertura delle immagini e dei testi che un utente ha ricevuto dal suo interlocutore, i file creati e consumati nello scambio dialogico vengono cancellati dai dispositivi del mittente e del destinatario, ma anche dai server della Società. Snapchat non conserva traccia delle porcherie che gli adolescenti si scambiano attraverso la sua app. Di conseguenza il servizio è invulnerabile alla curiosità dell’NSA e della schiera di spioni sguinzagliati dalle agenzie governative e da quelle private. O quasi.
A dicembre 2013 un sito di nome SnapchatDB ha pubblicato i dati di 4,6 milioni di utenti registrati ai servizi di Snapchat. Se consultate le pagine compilate dagli hacker, potete telefonare agli utenti e verificare la correttezza dello username che hanno utilizzato per utilizzare le funzioni dell’app che rende effimera la distribuzione dei loro autoscatti e dei loro messaggi privati; ma che, naturalmente, ricorda molto bene la loro identità e il modo per raggiungerli. Come ricorda Manuel Peruzzo, anche se il dato è anonimizzato è piuttosto semplice individuare il suo proprietario attraverso la comparazione dei dati disponibili online.
Farhad Manjoo esprime la sua perplessità sul Wall Street Journal intorno alla sostenibilità di lungo corso di un valore come quello attribuito da Zuckerberg a Snapchat. L’«Internet a scomparsa» di cui l’app di Even Spiegel è paladino rinuncia alla vera forza economica delle imprese digitali su cui finora i mercati finanziari hanno investito. I dati permettono di profilare gli utenti, di prevedere i loro comportamenti, di raggiungerli con informazioni mirate, di coglierli laddove sono sensibili all’offerta di un prodotto. Quello che potrebbe essere più effimero di tutto è proprio l’entusiasmo che lo scandalo NSA ha scatenato intorno alla trattazione incauta delle informazioni sui cittadini più o meno eccellenti di tutto il mondo; prima o poi il clima tornerà normale, e agli investitori ricomincerà a piacere l’idea di sapere tutto sui destinatari delle loro imprese commerciali.
La società specializzata in dati farmaceutici MEDbase 200 ha voluto offrire un contributo immediato a sostegno della tesi di Manjoo. Il suo nome è stato catapultato sotto i riflettori dell’opinione pubblica dal Wall Street Journal nella seconda metà dello scorso dicembre con un’inchiesta generata dalla consultazione del sito aziendale. Nelle pagine online MEDbase 200 ha esposto una prova della qualità del prodotto in offerta: l’identità delle persone che sono state vittime di una violenza sessuale domestica, degli alcolisti, di coloro che soffrono di disfunzioni erettili, dei malati di AIDS.
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta anche il sito di MEDbase 200 si è convertito alle ragioni dell’«Internet a scomparsa», rimuovendo prontamente le liste dalle sue pagine. L’interlocutore che ha accettato di ascoltare le domande del Wall Street Journal risponde al nome rassicurante di Sam Tartamella; la sua tesi è che sul sito non sia mai apparsa alcuna lista compromettente, e si sia trattato solo di uno spiacevole errore. I nomi riportati infatti non sono vittime reali di abusi, ma solo soggetti su cui sono state formulate delle ipotesi da parte del team di ricerca statistica della società. Che fortuna per tutti i proprietari dei nomi in elenco essere stati liberati in così poco tempo da un passato traumatico e dai costi di anni di analisi! Per buona sorte il loro sputtanamento in formato world wide è solo l’effetto di un’illazione di Tartamella e dei suoi amici.
Se avete problemi di erezione o avete superato la soglia di guardia con la dimestichezza con l’alcol, la brutta notizia è che le vostre generalità possono essere messe in circolazione a prezzi davvero competitivi: MEDbase 200 chiede solo 79 dollari ogni 1.000 nomi, meno di otto centesimi a testa. I fatti vostri sono entrati nel mercato low cost. Sarà per questa ragione che Even Spiegel e Bobby Murphy hanno deciso di disfarsene fin dalle bozze di progetto per Snapchat, e di ritagliare l’identità della loro creatura proprio sulla distruzione immediata di questa immondizia. Ma soprattutto, di gettare nello stesso tritacarte che divora e incenerisce le idiozie dei loro clienti, anche l’offerta da tre miliardi di dollari di Facebook. L’oblio che annienta le cazzate vale molto di più della loro conservazione. Mio Dio, quanta saggezza.
Il 18 dicembre il direttore esecutivo del World Privacy Forum, Pam Dixon, è stata ascoltata dalla Commissione per il commercio, le scienze e i trasporti del Senato Americano, come testimone di questo abuso. Dal suo punto di vista l’industria della vendita di dati agisce in modo quasi costante al di fuori delle leggi per alimentare i quasi 4.000 broker presenti sul mercato americano. Oltre alle informazioni relative alle condizioni di salute e alle forme di dipendenza dall’alcol, i rivenditori di dati mettono a disposizione dei loro clienti indicazioni sullo stato di insolvenza delle persone e gli indicatori delle loro difficoltà economiche. In questo modo gli individui diventano prede ideali di speculatori e truffatori che manovrano sull’angoscia esistenziale e finanziaria della gente.
La Commissione, guidata da Jay Rockfeller, sta indagando da mesi sui comportamenti immorali dei data broker. Il Report che le è stato consegnato dal Governement Accountability Office lo scorso settembre ha suscitato l’amarezza del presidente, che ha dovuto riconoscere la situazione di impotenza in cui si muovono i controllori pubblici. L’indagine sul rapporto che si instaura tra la privacy dei cittadini e i cambiamenti delle tecnologie contemporanee (e della struttura di mercato che esse rendono possibile), mette in luce che non esiste alcuno statuto federale in grado di assicurare ai consumatori il diritto di sapere quali sono i dati messi in circolazione sul loro riguardo, e di conoscere chi li sta manipolando.
Di propria iniziativa, una delle tre più grandi società americane di vendita dei dati ha inaugurato lo scorso agosto un sito in cui ogni cittadino americano può verificare quali siano i dati che lo ritraggono nella profilazione del database di Acxiom. Adam Tanner di Forbes è andato a controllare l’accuratezza delle informazioni immesse sul mercato dal colosso del marketing. Quello che emerge dalla ricognizione è una sorta di caricatura della realtà, in cui le indicazioni sullo stato di famiglia, il grado di scolarizzazione e le passioni personali degli individui sono per lo più falsi o deduzioni sbagliate compiute da individui con cultura generale scadente (come nel caso del professor Murat Kantarcioglu, cui vengono attribuite origini arabe, mentre i suoi avi sono di provenienza turca).
Tanner ammette che la sua indagine non può vantare alcun valore statistico; ma quello che balza agli occhi, al di là degli errori registrati nella banca dati, è che mentre i clienti acquistano alcune centinaia di parametri per ogni individuo, il sito ne espone solo una dozzina. Gran parte dei contenuti che definiscono il profilo marketing di ogni persona vengono trattenuti nella grande area dell’inconscio del sito.
È davvero curioso, alla fine, che la National Security Agency rivendichi il diritto di origliare il brusio formicolante di tutte le telefonate del mondo, mentre non esiste alcuna istituzione che tuteli almeno la possibilità per i cittadini di sapere (e correggere) le sciocchezze che vengono messe in circolazione sul loro conto.
Piuttosto che questo disordine, non è allora più saggia la dissipazione e la consegna all’oblio in cui Snapchat sperpera i suoi tesori di informazione, celebrando il potlach dell’Internet a scomparsa?