Una firma di tutto riposoSe Renzi è bravo Claudio Martelli era un gigante

L'autobiografia dell’ex delfino di Craxi

Premessa: ho letto l’autobiografia Ricordati di vivere di Claudio Martelli (già deputato socialista, braccio destro di Bettino Craxi e ministro della Giustizia) prendendo appunti pubblici tramite messaggi su Twitter, e mi baso su questi per scrivere questa recensione. Parto da un dato micro/autobiografico: durante le vacanze di Natale ero indeciso se mettermi a leggere le Lettere Morali a Lucilio di Seneca oppure questa autobiografia: è vero che si tratta di lavori di respiro e di ampiezza molto diversi, ma alla fine ho deciso di leggere Martelli, e qui ne trovate la testimonianza: Martelli ha prevalso su Seneca.

Il primo elemento che spicca in questo libro è la prosa stessa, che è solida, ricca di subordinate e di costruzioni ricercate, quasi barocca. Anche il contenuto è un po’ barocco, in quanto incastra in maniera architettonicamente ingegnosa la narrazione di fatti politici con la narrazione di fatti personali.

Parto anche io dal lato personale: sono del 1974 e ho cominciato a seguire la politica negli anni Ottanta, direi quasi irretito dalle vignette di Giorgio Forattini: ho senz’altro cercato di colmare le mie lacune sui decenni precedenti leggendo libri, ma nella fattispecie non sapevo che Claudio Martelli avesse avuto un passato tra i giovani del Partito Repubblicano. Il suo ingresso nel Partito Socialista avvenne dopo quel (brevissimo) periodo in cui sembrava possibile una riunificazione delle forze della sinistra, cioè del Partito Comunista, del Partito Socialista, del Partito Social Democratico e del Partito Repubblicano. Dal punto di vista teorico, Martelli mostra di essere sempre stato affascinato dall’idea di costruire un’alternativa social-democratica al blocco moderato raccolto attorno alla Democrazia Cristiana, ma va detto – guardando la realtà effettuale – che questa idea non ha mai avuto sbocchi significativi durante la Prima Repubblica. Lo stesso Martelli giudica il Compromesso Storico, cioè l’astensione benevola in Parlamento da parte del Partito Comunista durante la seconda metà degli anni Settanta, in termini molto negativi rispetto a questa idea dell’alternanza. Non è l’unico.

A parte l’aspetto didattico/conoscitivo del libro (ho imparato cose che non conoscevo), ho anche avuto modo di notare come l’apparato concettuale utilizzato da Martelli sia davvero magniloquente rispetto ai politici della cosiddetta Seconda (o Terza) Repubblica. Essendo amante della matematica e dello proporzioni, mi viene da dire (e l’ho scritto in un tweet) che

Claudio Martelli sta a @matteorenzi come Umberto Eco sta a Dan Brown.

L’approccio riformistico di Martelli emerge poi con forza nel bel capitolo sesto, dedicato agli anni delle rivolte universitarie e studentesche, già a partire dal titolo (“Il Sessantotto di un riformista”). Dal punto di vista autobiografico Martelli si trovava un po’ a metà del guado, in quanto era ancora studente di filosofia alla Statale di Milano, ma contemporaneamente insegnava la stessa materia al liceo. La percezione del movimento studentesco e universitario sessantottino da parte di Martelli è nel complesso negativa, specialmente a motivo dell’approccio dogmatico, supponente, talora violento, e non molto meritocratico, che a suo parere caratterizza il movimento stesso, ed in particolare i suoi leader. Sotto questo profilo Martelli si mostra alquanto infastidito per l’ammontare eccessivo di simpatia nei confronti del movimento, e in seguito nei confronti dei gruppi extra-parlamentari da questo sgorgati, che a suo parere albergava all’interno del Partito Comunista.

In termini generali questo libro ha come punti cardine i due rapporti di amicizia personale e politica con Bettino Craxi e successivamente con Giovanni Falcone, chiamato da Martelli come direttore generale degli Affari Penali quando era Ministro della Giustizia, e due rapporti di sostanziale inimicizia con il Partito Comunista e con il giornale la RepubblicaNella valutazione di Martelli, il pragmatismo riformista di Craxi e Falcone risulta sempre superiore al moralismo furbetto del PCI e del giornale di Scalfari. Dentro questo quadrato strategico di amicizie e inimicizie fanno eccezione gli apprezzamenti per Enrico Berlinguer e per i miglioristi del PCI come Giorgio Napolitano. L’atteggiamento polemico si fa invece molto intenso nei capitoli sulla Mafia e su Falcone, quando Martelli racconta delle accuse a Falcone – formulate da Leoluca Orlando Cascio e da Alfredo Galasso – di non volersi occupare del cosiddetto “terzo livello”, cioè della cupola di politici che controllerebbe la Mafia stessa.

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Dal punto di vista più strettamente politico, è interessante notare come l’orgoglio di Martelli per il periodo d’oro del Partito Socialista, che va dall’elezione di Sandro Pertini come Presidente della Repubblica al lungo premierato di Craxi, via via si stemperi nel ripercorrere il periodo più grigiamente conservatore degli anni del CAF (il patto tra Craxi Andreotti e Forlani) e si trasformi in delusione e rimpianto quando è tempo di narrare le vicende di Tangentopoli e Mani Pulite: in quegli anni Martelli si allontana decisamente da Craxi, accusandolo – ora in maniera forse più esplicita di allora – di non avere preso in mano la situazione attraverso gesti decisi di riforma del partito, e in particolare del suo finanziamento. Come narrazione devo dire che i capitoli del libro sulla fine del sodalizio tra Craxi e Martelli hanno la potenza di un dramma che farebbe la felicità di parecchi psicanalisti. Ciò naturalmente non toglie che – in questi stessi capitoli – Martelli sostenga con forza la tesi secondo cui i magistrati di Mani Pulite si siano focalizzati in maniera aggressiva sul Partito Socialista, tralasciando le responsabilità penali in seno al Partito Comunista.

Dal lato delle politiche specifiche, nel corso del libro Martelli esplicita tutta la sua soddisfazione per riforme portate avanti da Craxi premier, come il referendum sulla scala mobile che spezzò la spirale tra prezzi e salari, e da lui stesso come Guardasigilli, nella fattispecie la cosiddetta Legge Martelli sull’immigrazione, cioè la prima trattazione legislativa sistematica del tema dell’immigrazione nel nostro PaeseIn un’autobiografia come questa non possono mancare le omissioni, la cui colposità o dolosità solo lo storico può valutare in maniera compiuta.

Ma il lato positivo di un’autobiografia cosiffatta sta – come dicevo sopra – nel mischiare il politico e il personale, lasciando adeguato spazio agli aneddoti saporiti. Ve ne cito solo due, per non togliervi il piacere di un libro che a me è piaciuto molto, e che dovrebbe essere letto da tutti quelli che sono interessati alla nostra storia politica recente:

  1. Il capitolo in cui Martelli racconta dei suoi incontri con Licio Gelli, finalizzati ad ottenere un cambio di rotta politica da parte del Corriere della Sera piduizzato.

  2. Il primo bacio di Martelli a Rosi Greco, sotto le note – che più anni ’80 non si può – di “Take My Breath Away”

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