Altro che fiducia. Gli stress test della Banca centrale europea rischiano di essere neutralizzati sul nascere dagli interessi nazionali. Invece di ripristinare la credibilità delle banche dell’eurozona, possono essere un’ulteriore grana. Due sono i fronti su cui gli scontri sono maggiori: la soglia minima di capitale per superare i test e il peso specifico dei bond governativi. Da operazioni cruciali per l’area euro, Asset quality review e stress test rischiano di divenire una farsa.
Il primo fronte è quello del capitale Core tier 1. Questo coefficiente altro non è che il rapporto tra il patrimonio di base di una banca (Tier 1) e gli impieghi ponderati per il rischio. E secondo le indiscrezioni di Bloomberg, il livello minimo scelto per gli stress test sarà del 6 per cento. Prendiamo le principali banche italiane. Il capitale Core tier 1, calcolato secondo l’ultimo aggiornamento di Basilea 2, chiamato in pratica Basilea 2.5, è risultato essere a una quota superiore all’8% per tutti i big italiani. I due istituti di credito più vicini all’asticella di Basilea, secondo un report di Morgan Stanley pubblicato il mese scorso, sono Banca Monte dei Paschi di Siena e la Popolare di Milano, rispettivamente con un Core tier 1 del 9,3% e dell’8,3% a fine del terzo trimestre 2013. Meglio posizionate sono il Banco Popolare, con un Core tier 1 del 10%, e le due grandi del credito italiano, UniCredit e Intesa Sanpaolo, con un coefficiente dell’11,4% e dell’11,5 per cento. La migliore, almeno sulla carta, è Ubi, forte del suo Core tier 1 al 12,2% alla conclusione del terzo trimestre 2013. Ma la faccenda si complica se si guarda la quantità di Non-performing loans (Npl, i crediti dubbi) contenuti in portafoglio dalle banche italiane. Sono circa 260 miliardi di euro e possono pesare in maniera significativa sia in fase di Asset quality review (Aqr), la due diligence della Bce, sia in fase di stress test, che saranno entrambe concluse nel prossimo novembre.
Ciò che manca alle banche italiane, ha evidenziato Morgan Stanley seguita poi da altre case d’investimento, è un’adeguata copertura dei Npl. Prendiamo il Core tier 1 e guardiamo la fetta di capitale superiore all’8 per cento. Nel caso di Mps è pari a 1,1 miliardi di euro, ovvero il 3% dei suoi crediti dubbi. Percentuale analoga per la Popolare di Milano, che ha un surplus di 100 milioni di euro. Percentuale doppia, invece, per il Banco Popolare, che può contare di un surplus pari a quello di Mps. Tuttavia, ancora troppo poco per proteggersi dalla mole di crediti dubbi presenti in pancia. Meglio non va per le tre migliori banche italiane sotto il profilo del Core tier 1. UniCredit può contare sul cuscinetto supplementare più grande quantitativamente, 13,7 miliardi di euro, che però servono a coprire solo il 16% dei Npl in pancia. Un poco meglio per Intesa Sanpaolo: surplus di 9,7 miliardi di euro che mettono in sicurezza il 17% dei crediti dubbi. E poi c’è Ubi, che ha un surplus di 2,5 miliardi di euro, ovvero il 20% dei Npl. Da questa lista è stata tenuta fuori Mediobanca, che con un Core tier 1 dell’11,2% e un eccedenza di 1,7 miliardi di euro può considerarsi al sicuro sia dall’Aqr sia dagli stress test, secondo il giudizio di Morgan Stanley.
I problemi di un livello così basso sono diversi. Un Core tier 1 al 6%, quindi un punto sopra la quota utilizzata durante gli stress test dell’Eba del 2011 – quelli in cui non furono evidenziati tutti i problemi di diverse entità finanziarie – non mette al riparo le banche dell’eurozona da eventuali shock endogeni o esogeni. Non è un caso che le prime indiscrezioni vedevano l’adozione di una soglia dell’8%, vicina a quella di Basilea. Il primo obiettivo infatti della Bce è quello di ripristinare la fiducia all’interno dell’eurozona, riattivando una volta per tutte i canali di finanziamento interbancari, specie tra il cuore e la periferia. Ma è il secondo scopo quello più importante: permettere agli investitori internazionali di avere un metro di paragone sullo stato delle banche dell’area euro. Ecco perché Mario Draghi, durante la presentazione del progetto di Asset quality review e di test della resistenza degli istituti bancari della zona euro, spiegò che sarebbe stato usato il pugno di ferro. In altre parole, se una banca è in una posizione tale da fallire gli stress test – che saranno condotti tramite proiezioni sui prossimi tre anni – non ci saranno sconti. O meglio, questo era il pensiero di tre mesi fa. Poi, l’intermediazione politica è intervenuta e gli stress test stanno diventando sempre più all’acqua di rose.
Dalla Bce non aggiungono altri commenti alle indiscrezioni pubblicate da Bloomberg. Lo fanno invece dalla Commissione europea. Parlando con Linkiesta, un funzionario della DG Ecfin spiega che «sebbene sia necessario attendere le guidelines ufficiali» una soglia del 6% pare «molto bassa e quindi poco significativa per un investitore internazionale». La credibilità degli stress test quindi potrebbe essere messa a repentaglio ancora prima dell’esito dell’esercizio di solidità, previsto per il novembre di quest’anno. Già in dicembre la banca anglo-asiatica HSBC aveva messo in guardia su questo punto. «Gli interessi politici dietro a un eccessiva durezza degli stress test della Bce possono minare l’intero progetto e vanificare una delle ultime occasioni per ristorare la fiducia verso le banche dell’eurozona», faceva notare HSBC. Parole premonitrici, guardando al balletto che c’è intorno ai test. Germania e Italia, ma anche Francia, hanno fatto – e stanno continuando – diverse pressioni per un atteggiamento meno rigido da parte della Bce. Come spiegano dalla Commissione Ue, «soprattutto sul fronte italiano, l’idea è che se gli stress test non debbano intaccare la già scarsa erogazione del credito». In caso di eccessiva inflessibilità da parte dell’Eurotower, pensano le autorità e le lobby italiane, potrebbe ampliarsi il divario fra cuore e periferia dell’eurozona, amplificando il credit crunch per le banche periferiche.
Ancora da risolvere è anche la controversia intorno ai bond governativi. Le guidelines della Bce devono ancora essere pubblicate, ma Mario Draghi ha già spiegato di volersi attenere allo schema suggerito dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bank of international settlements, o Bis). Questo significa che i titoli di Stato saranno considerati esenti da rischi (risk-free) nella fase di Asset quality review e sottoposti a stress durante la seconda fase. Tutto però è ancora in divenire e potrebbero esserci altre sorprese, capaci di neutralizzare il potenziale effetto benefico delle due operazioni. Ancora una volta, dietro al peso da dare ai titoli di Stato ci sono interessi politici. La Germania vuole più durezza, in modo da garantire una pulizia profonda e duratura ai bilanci delle banche e un ritorno della fiducia internazionale, anche a costo di una destabilizzazione finanziaria nel breve periodo. L’Italia, di contro, non desidera una tale incisività, specie considerando la quota di bond governativi italiani detenuti dalla banche domestiche, circa 400 miliardi di euro. Per ora sta vincendo l’Italia, sui vari fronti aperti. E mai come questa volta potrebbe essere una vittoria di Pirro.