«Non facciamo gli errori del passato». È durante il dibattito in direzione nazionale che l’ex segretario Dario Franceschini riapre la ferita più dolorosa. La bocciatura di Romano Prodi al Quirinale, affossato dai famosi 101 parlamentari democratici. Perché in fondo è questa la paura del segretario Matteo Renzi. Oggi il suo pacchetto di riforme viene approvato a larga maggioranza – 0 contrari, 34 astenuti e ben 111 favorevoli – ma durante il passaggio alle Camere chi potrà metterlo al riparo da un’altra imboscata? Peraltro anche il voto sulla nuova legge elettorale avverrà con scrutinio segreto. Ecco allora che durante il suo intervento Franceschini lancia un appello all’unità («Chi ha votato qui poi non cambi idea»). Concetto che Renzi riprende, aggiungendo persino una velata minaccia. La legge elettorale approvata dalla Direzione non sarà oggetto di troppe revisioni. «Chi immaginasse di intervenire in Parlamento per modificare qualcosa di fondamentale, sappia che manda all’aria tutto, comprese le riforme del Titolo V e del Senato».
Intanto tornano a volare gli stracci tra gli esponenti del Pd. Dopo l’accordo tra Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, la tensione è alle stelle. Gianni Cuperlo è categorico: quella di Renzi è una riforma «non convincente. Non garantisce una rappresentanza adeguata, né il diritto dei cittadini a scegliere i propri candidati». Pacato, ma deciso, il presidente dell’assemblea teme un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale. «Ci ritroveremo nella stessa situazione del Porcellum». Ma è sulla strategia di Renzi che Cuperlo strappa. «Si dice che tutto è deciso con il voto delle primarie dell’8 dicembre? Chi non vota questa proposta va contro i tre milioni di elettori? Allora è inutile convocare la direzione. Funziona così un partito? Credo di no, spero di no».
Tra i renziani qualcuno chiede le sue dimissioni. Più tardi è il segretario a rispondere, visibilmente contrariato. «Gianni, te lo dico in amicizia. Questo tuo riferimento alle primarie e alle preferenze lo avrei voluto sentire la scorsa volta, quando tu altri siete stati candidati nel listino». Botta e risposta, non sempre elegantissimi. Cuperlo se ne va stizzito dall’aula, il partito piomba di nuovo nelle tensioni. Nel frattempo la proposta di Renzi passa, annovera persino l’endorsement dell’ex presidente del Senato Franco Marini, da sempre contrario alle primarie.
I tempi sono stretti. Renzi vuole presentare un disegno di legge costituzionale entro febbraio – dentro ci sono i due progetti di riforma del titolo V e abolizione del Senato – per poi chiudere la prima lettura a Palazzo Madama entro il 25 maggio. Sarà presentata alla Camera, invece, la proposta di legge elettorale, che nei piani del segretario dovrà essere approvata entro febbraio. Ma da qui ai prossimi mesi la situazione rischia di deflagrare. «Se l’accordo con Berlusconi resta sulle liste bloccate il gruppo rischia di spaccarsi» profetizza sibillino il deputato bersaniano Alfredo D’Attorre a Piazzapulita. «Su questa cosa delle liste bloccate, detto tra noi, sono d’accordo soltanto i renziani a cerchio stretto, che pensano di essere tutti tutelati». Con loro, ovviamente, è d’accordo il Cavaliere. L’ingombrante controparte del patto costituzionale. Ecco l’altro grande rischio per Renzi. A breve Berlusconi sarà interdetto e dovrà scontare la pena dopo la condanna in Cassazione per frode fiscale sul caso Mediaset. Non solo. Per lui è in arrivo una nuova indagine sul Ruby Ter con la possibilità, così almeno temono in Forza Italia, che i magistrati provino persino ad arrestare l’ex premier. Ecco il clima di tensioni in cui si svilupperà il percorso parlamentare delle riforme.
Le ripercussioni sulla tenuta del Partito democratico rischiano di evidenziarsi alle Camere. I gruppi parlamentari non sono la Direzione. Al momento di votare in Aula, parecchi deputati e senatori potrebbero decidere di testa loro. Chissà, magari qualcuno sogna di consumare una vendetta per quanto successo a Prodi durante l’elezione del capo dello Stato: tutti compatti durante la riunione e poi in ordine sparso al momento dello scrutinio. L’ex portavoce di Prodi Sandra Zampa interviene durante la direzione. E parla di «apertura di credito», pur ricordando di essere vicina alla posizione di Pippo Civati. Dopo il duro intervento di Cuperlo, i giovani turchi e l’area dalemiana decidono di astenersi. Del resto non tutti hanno apprezzato la relazione del segretario, che di fatto limita al massimo il confronto interno. «Ma il Pd – racconta un senatore – non può mica diventare Forza Italia».