Il fatto è
Son passati sessant’anni tondi tondi da che qualcuno, primo in Italia, ha acceso la tivù e si è accomodato sul divano, guardando lo schermo. Ed era piccolo, lo schermo, rispetto a quelli del cinema, cui tutti erano abituati, ma aveva il vantaggio di stare dentro al salotto o nel bar sotto cosa. Son passati sessant’anni esatti esatti e da allora lo schermo della tivù sarà stato anche piccino, ma ci ha mostrato ogni giorno cose grandi così.
L’INVENZIONE DEL VICINO E LONTANO
Camilla era una ragazza simpatica e arzilla e il fatto che facesse rima la metteva sempre di buonumore. Sin da bambina aveva il desiderio di vedere tutte le cose del mondo: quelle grandi e quelle piccole, quelle vicine e quelle lontane, quelle a colori e quelle in bianco e nero. Al mattino spalancava la finestra e guardava giù, chi passava per la strada, poi verso l’alto, se qualche aereo stesse volando tra le nuvole. Andando in giro per la città sbirciava nei portoni socchiusi, sotto le automobili in sosta e dietro gli alberi nei giardini. La sera, prima di infilarsi tra le coperte, guardava la Luna lassù, immaginando di vedere chissà cosa.
Non ti dico la sorpresa e la gioia quando, per il suo compleanno, Camilla scartò un bel pacco regalo con il fiocco blu e, dentro la scatola, trovò un cannocchiale in piena regola, con una lente da una parte, una lente dall’altra, e un tubo lungo da qua a là. Subito si sporse dal balcone e guardò in giù, chi passava per la strada, poi verso l’alto, per intercettare un aereo in volo e per scoprire, finalmente, i mari della Luna, immaginando di vedere chissà cosa.
“Non mi basta! – si lamentò dopo qualche mese – Il cannocchiale non mi basta!” E se Galileo l’avesse sentita ci sarebbe rimasto male.
Ma l’anno dopo, di nuovo al suo compleanno,non ti dico la sorpresa e la gioia quando, dentro una grossa scatola, Camilla scartò un altro pacco dono con un fiocco giallo e vi trovò un aggeggio quanto e più affascinante del cannocchiale. Era un telescopio di quelli veri, con una lente da una parte e una lente dall’altra, il mirino al punto giusto e un bel treppiede per tenere fermo il trespolo durante le osservazioni. Subito lo installò sul terrazzo e guardò verso il basso, i passanti in primissimo piano, poi fin su sulla Luna, dove vide crateri grandi e piccoli e immaginò chissà cosa.
Camilla guardava e guardava e, ogni volta che posava l’occhio sul telescopio o sul cannocchiale, scopriva qualcosa di inatteso, però ancora le mancava un nonsoché, per soddisfare la sua curiosità e probabilmente nessun pacco regalo e nessun fiocco colorato l’avrebbe potuta soddisfare.
“Non mi basta!” Tornò a lamentarsi.
“Io voglio vedere le cose – borbottava – non solamente guardarle.”
“Anzi – continuava a borbottare – meglio le vedo, meglio le posso guardare!”
Il suo pensiero non faceva una grinza, così un giorno – forse per scherzo, forse soprappensiero – afferrò una grossa scatola di cartone e se la piazzò sulla testa, infilandola dal lato aperto. Inutile dire che lì dentro, con tutto quel buio, non trovò proprio nulla da guardare. Per non soffocare e per poter guardarsi intorno, ritagliò un grosso buco sul lato davanti al suo naso: un buco più o meno rettangolare, con gli angoli arrotondati per bene. Con quella scatola sulla testa fece un sorriso e:
“Signore e signori – esclamò – buonasera!” E chissà se era sera davvero…
A scuola, con la scatola sulla testa, mostrò a tutti i compagni la sua splendida collezione di francobolli del mondo intero, che lì dentro si vedevano benissimo. Poi fu il turno di una poesia, che recitata da lì dentro era davvero tutta un’altra cosa. Colta dall’entusiasmo spiegò persino un po’ di matematica, dall’area del cerchio alla tabellina del ventiquattro e tutti la guardavano con ammirazione.
Quando Camilla diventò grandicella, cominciò a girare il mondo non solo con la fantasia, ma sempre con la sua preziosa scatola in valigia, e meno male che aveva trovato un modo per piegarla e non farle occupare troppo spazio. E quando succedeva qualcosa di bello da raccontare, ecco che rimontava la scatola in quattro e quattr’otto, se la infilava sulla testa, quindi descriveva le pedalate dei ciclisti al Giro d’Italia, faceva spazio accanto a sé a qualche personaggio importante da intervistare, ogni sera alla stessa ora leggeva il riepilogo delle notizie di giornata.
Va da sé che Camilla venne invitata a tutti gli eventi mondani più ambiti, al mare in estate e sulle piste da sci in inverno; andava al cinema il lunedì sera e allo stadio la domenica pomeriggio e un giorno – probabilmente il giorno più bello della sua vita – le fu proposto di andare nientemeno che sulla Luna, per far vedere di lassù tutto ciò che guardando da quaggiù si poteva solamente intuire.
Da lì salutò tutti con un cenno della mano e, grazie alla sua scatola e alla sua voglia di sapere, oggi anche la Luna non è più così lontana e pare quasi qui, in salotto, accanto a noi.
Accendi la tivù, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e qualcosa da vedere lo troverai senz’altro. Ma ai tempi in cui la parola zapping non esisteva, i programmi erano trasmessi solo in alcune ore della giornata. Al pomeriggio, per esempio, niente; a notte fonda men che meno; al mattino il nulla… Però non è che accendendo il televisore apparisse lo schermo nero: l’unica immagine che si vedeva era uno strano disegno grafico, sempre fermo, sempre uguale. Era il monoscopio, che serviva ai tecnici per verificare la qualità dell’immagine. Per questo conteneva varie tonalità di grigio e linee grosse e sottili. E con l’avvento della tivù a colori il monoscopio diventò variopinto pure lui, sempre per gli stessi motivi tecnici. Oggi che il monoscopio fa parte dell’archeologia, devo dire che ha mantenuto il suo fascino, con l’aggiunta di quel velo di mistero che accompagna ogni cosa enigmatica, come quell’immagine lì.
Come accade a scuola, anche nella televisione di quei tempi l’intervallo era uno dei momenti preferiti. Pare strano, vero? Però era proprio così. L’arpeggio delle note della sonata in la maggiore di Pietro Domenico Paradisi accompagnava, tra un programma e l’altro, una breve carrellata di immagini in bianco e nero di varie località d’Italia, con la scritta in sovrimpressione che dicesse dove. Un ripasso di geografia, quindi, anche se l’intervallo più intervallo di tutti mostrava semplicemente un pacifico gregge di pecore al pascolo e una volta sì e una no ci si addormentava in poltrona.
Purtroppo non tutto ciò che è stato prodotto, filmato e trasmesso, soprattutto all’inizio dell’era televisiva, è stato poi conservato e di alcuni programmi oggi non c’è più traccia. Però, per fortuna, sono comunque tantissimi i documenti salvati, spesso digitalizzati, che adesso possiamo rivedere quando ci va. La RAI ha creato la sezione teche dove chi è curioso del passato, chi ne ha un po’ di nostalgia, chi deve realizzare una ricerca o semplicemente chi ha tempo da perdere può infilarsi, lasciandosi condurre dalla magia delle immagini un po’ sfocate di quel mondo in bianco e nero.
Ti consiglio un libro
Gianni Rodari – Gip nel televisore – Einaudi Ragazzi
Cosa succederebbe se, anziché starsene comodi comodi sul divano, un giorno entrassimo anche noi nel televisore, scavalcando il monitor come se fosse una finestra? Al giovane Gianpiero – Gip per gli amici – è capitato davvero, almeno nella fantasia e nelle parole di Gianni Rodari, che ce lo racconta mentre si avventura tra i dentifrici delle pubblicità, le scene di un film western e una trasmissione scientifica piena di monitor anche lei. E guai a chi cambia canale, almeno fino alla fine del libro!
Non furono molti, all’inizio di gennaio del 1954, a vedere in diretta l’inizio delle trasmissioni, con il primo, storico annuncio. Certo, fino ad allora non c’era la tivù – o era in fase sperimentale – e ben pochi avevano in casa un televisore. Però qualche bar sì, che se lo era procurato in tempo e, nel silenzio della sala, si poterono sentire queste parole: “La Rai, Radiotelevisione italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive.” E poi: “Le maggiori trasmissioni dell’odierno programma sono: ore undici, telecronaca dell’inaugurazione degli studi di Milano e dei trasmettitori di Torino e di Roma…”
La voce che usciva dagli altoparlanti e il volto che appariva sullo schermo erano della signora Fulvia Colombo, che fu quindi la prima persona in assoluto ad apparire in Tivù. Insieme ad alcune giovani colleghe formò il gruppo delle signorine buonasera, che altro non erano se non le annunciatrici dei programmi, che cominciavano sempre il discorso dicendo, appunto, buonasera.
Quando ancora non c’era la tivù, al cinema, prima del film, veniva proiettato sul grande schermo il cinegiornale, che teneva aggiornati gli spettatori sulle ultime notizie. Idea logica, con l’avvento del piccolo schermo, fu di riproporre la stessa cosa, togliendo cine e scrivendo tele. Nacque così il telegiornale, trasmissione televisiva più che mai, che fu scelto già nel 1952 come programma sperimentale. La prima notizia mai data riguardava la regata storica di Venezia.
Da allora molte cose sono cambiate, tanti giornalisti e inviati sono passati, ma il telegiornale è sempre lì, esiste ancora e la sua sigla, ancorché modernizzata ogni tanto, è sempre la stessa, con le trombe che annunciano le novità, un po’ come facevano gli araldi nel lontano medioevo.
Quanti di noi cambiano canale quando passa la pubblicità? Beh, sappi che c’è stato un periodo in cui non solo non si cambiava canale – anche perché c’era un canale soltanto – ma la si aspettava con trepidazione. Erano i tempi in cui la pubblicità si chiamava réclame, dal Cinquantasette in poi. Pensa che esisteva un programma vero e proprio, composto solo da pubblicità, trasmesso ogni sera, dopo il telegiornale, dopo di che i più piccoli andavano a dormire.
Si chiamava Carosello, durava meno di mezz’ora e funzionava così: ogni sketch durava due minuti e non doveva assolutamente parlare del prodotto, cui erano invece dedicati i venti secondi finali. Nacque al Carosello il simpatico Calimero, per esempio, come dalla pubblicità uscirono Carmencita e Caballero, i miei preferiti quando ero bambino. Non solo, per Carosello lavorarono attori di prim’ordine, del teatro e del cinema, e i registi di maggior grido. Anzi, essere esclusi dal Carosello era quasi una macchia negativa per la carriera.
Tra i personaggi della tivù che hanno fatto la storia del nostro Paese, uno dei più amati fu senz’altro Mike Bongiorno, mitico presentatore italo-americano, babbo di tutti i quiz. Non dirmi che non hai mai sentito parlare di Lascia o raddoppia? Siamo a metà degli anni Cinquanta, fu il primo telequiz e la gente si assiepava dentro ai bar, per vedere i supercampioni e il loro conduttore. Non è ben chiaro se la televisione ebbe un grande successo grazie a lui o se invece fu lui ad avere un grande successo grazie alla tivù… Il giovedì era la sua sera e nessuno voleva perdersi un istante della trasmissione, anche quando il programma cambiò: quel che importava era avere Mike dentro il video. Grazie a lui diventarono celebri persino i concorrenti, per non parlare delle sue assistenti, che in quegli anni si chiamavano vallette e gli porgevano sempre la busta uno, la due e la tre, per la domandona finale. E la cosa bella è che ogni programma di Mike Bongiorno, prima della sigla, veniva annunciato da una signorina buonasera.