Aggiornamento dell’11 luglio 2014: il colosso americano degli elettrodomestici Whirlpool ha annunciato l’acquisto del 60,4% di Indesit dalla famiglia Merloni per 758 milioni di euro. L’acquisizione arriva dopo mesi di indiscrezioni e un testa a testa con i cinesi di Sichuan Changhong Electric e con i turchi di Arcelik. In dettaglio, Whirlpool acquista il 42,7% di Indesit da Fineldo, la holding del gruppo Merloni, oltre al 13,2% direttamente dalla famiglia Merloni e il 4,4 % da Claudia Peroni. La transazione dovrebbe essere chiusa entro la fine del 2014. Whirlpool di recente ha annunciato l’investimento di 280 milioni di euro nel nostro Paese nel settore degli elettrodomestici da incasso. Riproponiamo la nostra analisi sulla società:
Nello stabilimento di Cassinetta di Biandronno, sul lago di Varese, i tre delegati sindacali di Fiom, Fim e Uilm, sono rilassati attorno a un tavolino. Parlano di cautela, invitano a non parlare troppo presto di nuove assunzioni, anche per delicatezza nei confronti dei colleghi svedesi. Ricordano le fiaccolate fatte nel mese di giugno, quando la parola più ricorrente era “esubero” e fanno presente che gli operai lavorano con un contratto di solidarietà al 60 per cento degli stipendi (il 70% con i contributi dell’Inps), appena rinnovato per un anno. Prudenza, cautela, piedi di piombo. Ma certo l’aria che tira è più tranquilla, dopo i mesi di tensione per l’annunciata (e in parte già attuata) chiusura della fabbrica di Trento e le uscite forzate decise nel tempo per gli stabilimenti di Siena, Napoli e della stessa Cassinetta.
La Whirlpool, multinazionale americana dell’elettrodomestico, ha da poco annunciato la chiusura di uno stabilimento in Svezia. La delocalizzazione, come noto, non sarà verso la Polonia, dove pure la società ha un hub degli elettrodomestici a libera installazione, né verso un altro Paese a costo del lavoro bassissimo. Con una decisione che ha sorpreso molti, l’azienda ha deciso di portare la produzione dei forni a microonde di Norrkoeping proprio a Cassinetta.
L’ingresso dello stabilimento Whirlpool a Cassinetta di Biandronno, Varese
In uno stabilimento, dunque, con i tanto citati costi del lavoro italiani. Quei 24 euro all’ora, contro i 7,4 degli operai polacchi, che la principale concorrente di Whirlpool, la Electrolux, sta cercando di abbassare con dei colpi d’accetta che sanno di provocazione, e di ricerca di una rottura, più che di proposta. I salari, da quanto è trapelato da fonti sindacali, dovrebbero abbassarsi da 1.400 netti a 7-800; i premi aziendali sarebbero decurtati dell’80 per cento; le pause ridotte; le festività non pagate; i permessi sindacali ridotti della metà; gli scatti di anzianità bloccati. Ci sarebbero differenze tra i vari stabilimenti, ma la sostanza cambia poco: sono queste le condizioni poste per non chiudere i quattro stabilimenti italiani (anzi tre, dato che quello di Porcia viene dato per perso).
Perché allora, se la leva del costo del lavoro è così importante per l’Electrolux, la Whirlpool ha deciso che non è necessariamente prioritario? La risposta ha a che fare con una strategia globale che lascia spazio per la progettazione anche a livello regionale, con una divisione delle produzioni che assegna quelle di fascia medio-alta in Italia (o almeno quelli a Varese), con un metodo di produzione più efficiente che ha avuto l’avallo dei sindacati e, per una volta, anche con un ruolo delle istituzioni, almeno a livello regionale, più presente del solito. Il caso Whirlpool non ha lezioni semplici da impartire ai casi simili italiani, ma ha diversi spunti che sarebbe bene non lasciare nel dimenticatoio.
Un quadro di mercato pessimo
Sicuramente non c’entrano i buoni risultati aziendali. Mentre il gruppo Whirlpool a livello mondiale continua ad andare abbastanza bene (fatturato di 18 miliardi di dollari, in discesa del 2%, e utile di oltre 400 milioni di dollari), la divisione europea è grande affanno. I ricavi a livello continentale sono scesi del 9,2 per cento, arrivando a 1,245 miliardi di euro. Il risultato operativo è stato negativo per 40 milioni di euro, contro i 5 dell’anno prima e la perdita netta è stata di 38 milioni (14 nel 2011). Il patrimonio netto è sceso in un anno da 92 a 53 milioni di euro. A dir la verità l’area europa nel 2013 dei segnali di ripresa li ha dati, tanto che nel terzo trimestre 2013 i ricavi sono cresciuti di ben l’11% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Ma guardando le aspettative a venire sulla domanda, il report 2012 non lascia dubbi: crescita tra il 3 e il 5 per cento in America Latina e Asia, poco meno in Nord America e uno 0% di crescita prevista in tutta l’area di Europa, Medio Oriente e Africa. Nel documento del terzo trimestre 2013 la previsione scende al -2 per cento (si veda il documento qui sotto).
La strada del built-in
Il problema riguarda tutto il comparto degli elettrodomestici ed è a sua volta legato al crollo dell’immobiliare. Scendono i volumi complessivi, si compra solo per necessità di ricambio, cercando di acquistare i prodotti più economici. In questo quadro «oggi sono molto più avvantaggiati i Paesi che copiano le idee e che hanno costi del lavoro minori», dice Mario Ballante, segretario provinciale della Fim di Varese, che ha seguito da vicino gli accordi più recenti della Whirlpool. «Per fortuna non è sempre detto che sia così. Noi abbiamo sempre detto che non c’è solo il prezzo che fa il mercato, ma anche le idee. La Whirlpool stessa per concorrere sul prezzo produce in Polonia e in Asia. Ma l’azienda sta anche lavorando a un’idea diversa, cioè che una fetta di consumatori rilevante preferisce avere una cucina integrata, dove tutto funzioni. È il concetto di elettrodomestici a incasso, o built-in, che hanno prezzi superiori ma che possono avere un mercato anche in Italia e nell’Europa occidentale».
Già oggi lo stabilimento di Cassinetta produce per lo più elettrodomestici a incasso, soprattutto forni e frigoriferi (ma non più la linea a due sportelli, side by side), mentre la produzione degli equivalenti prodotti a libera installazione avviene per lo più nel vicino o estremo Oriente. Trento aveva una produzione simile a quella di Varese, e questa è una delle ragioni che hanno portato alla sua dismissione, dato che Cassinetta è stato eletto a hub dell’incasso. Gli stabilimenti di Siena e Napoli hanno invece vocazioni diverse, dato che vi si producono rispettivamente congelatori e lavatrici.
Per realizzare i nuovi modelli sono necessari investimenti. E «da questo punto di vista Whirlpool è sicuramente in vantaggio rispetto a concorrenti come Indesit ed Electrolux – aggiunge Ballante -, essendo presente come leader nei mercati di Nord e Sud America e facendo profitti in Estremo Oriente (si vedano le tabelle in fondo a questo articolo). Dopo 2-3 anni di perdite nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), la società ha preso la decisione di provare a fare dei forti investimenti. L’idea è che se nel giro di qualche anno la cura funziona e l’area tornerà in utile, andrà bene così. Altrimenti cominceranno i tagli veri». Gli investimenti, secondo l’azienda, sono di circa 250 milioni di euro nel periodo 2013-2016.
Il modello Toyota a Varese
Non che l’azienda abbia messo sul piatto i soldi senza chiedere niente in cambio. «La produzione di nuovi modelli si può fare solo a fronte di una forte riduzione dei costi – prosegue il segretario Fim di Varese -. Innanzitutto con un minor numero di stabilimenti, abbassando quindi i costi fissi. In secondo luogo efficientando le produzioni. Lo scorso dicembre a Cassinetta abbiamo siglato un accordo di competitività, su tre punti: contenimento dei costi superflui, una migliore organizzazione con il sistema Wps (Whirlpool Production System, ispirato al modello Toyoya, ndr) e la flessibilità». Quest’ultima significa facilità nella mobilità interna del lavoratore, sulle diverse linee, e flessibilità di orari, a seconda dei picchi o cali della domanda. Da questo punto di vista, aggiunge Ballante, «in Italia c’è un sistema che ha costi sociali enormi: si usa lo straordinario per i picchi di produttività e la cassa integrazione per i cali; in altri Paesi semplicemente non si lavora nei momenti di calo e si lavora di più nei picchi. È un ragionamento impopolare tra i lavoratori, ma che va fatto».
Sul fronte della Fiom la musica è diversa. «Alla domanda se l’operazione della Whirlpool è una buona notizia, rispondo di no – dice Stefania Filetti, segretario provinciale della Fiom di Varese -. Da un punto di vista miope e localistico dico sì, ma prosegue il piano di Whirlpool di accorpare le produzioni: è un bene per la Whirlpool ma è un male dal punto di vista sociale, dato che fa il paio alla chiusura di Trento».
Una linea di produzione dei forni nello stabilimento Whirlpool di Cassinetta di Biandronno, Varese
Sul Wps, che ricorda il Wcm, o World class manufacturing, attuato da Marchionne alla Fiat, la risposta è però meno dura: «Il lean manufacturing è una cosa positiva se si fa con il coinvolgimento vero dei lavoratori e il rispetto vero del contratto nazionale di lavoro. Qua siamo all’interno delle regole. La Whirlpool ha accettato le critiche e gli stop motivati da verifiche sull’ergonomia e sullo stress. Le ore di flessibilità concordate sono per esempio 64 all’anno, nulla di paragonabile con quanto fatto da Marchionne alla Fiat».
I tagli
Ci sono stati anche i tagli, e non sono stati lievi. A Trento sta avviandosi alla chiusura una fabbrica con 468 operai, escluso l’indotto. La tensione è ancora alta e a settembre ci sono stati un incendio e un allarme bomba. La stessa Rsu di Cassinetta, tuttavia, sottolinea come le uscite siano in parte avvenute con pensionamenti e in parte attraverso mobilità con incentivi. Inoltre c’è una possibile reindustrializzazione del sito di Trento.
La Rsu della Whirlpool di Cassinetta: da sinistra Tiziano Franceschetti, Fim, Chiara Cola, Uilm, e Matteo Berardi, Fiom
A Siena nel 2012 sono usciti 70 dipendenti in esubero, a Napoli lo stesso anno è stato fatto un piano per gestire 180 eccedenze. Nella stessa Varese due anni fa è stato siglato un accordo che ha previsto 495 esuberi. Di questi circa la metà è già uscita, l’altra parte sarà probabilmente riassorbita dopo la chiusura di Trento. A questo punto la domanda che tutti si pongono a Varese è se la chiusura dello stabilimento in Svezia, e quindi dei suoi 360 dipendenti, significherà delle assunzioni a Cassinetta e nelle aziende dell’indotto. «Potrebbero assumere, sicuramente se ne parlerà nella seconda parte dell’anno – aggiunge Ballante -. In quel caso i nuovi posti riguarderebbero la progettazione, il commerciale e la logistica». Sul fronte aziendale su questo punto si preferisce invece non anticipare nulla.
Niente Polonia: le ragioni del management
Quali sono le motivazioni della delocalizzazione anomala in Italia, viste dall’azienda? Per scoprirlo bisogna lasciare Cassinetta di Biandronno e fare il giro del piccolo (e da poco reso e meno inquinato e più vivibile) lago di Varese, fino a raggiungere il comune di Comerio. Qui l’ingegner (o “cumenda”) Giovanni Borghi aveva una casa di villeggiatura e portò la Ignis spostandola dal quartiere Isola di Milano nel ’43 per sfuggire ai bombardamenti.
Il lago di Varese visto da Villa Tatti, a Comerio (Va)
La storica azienda di elettrodomestici italiana (il cui marchio è ancora presente, soprattutto nei congelatori) è stata incorporata da Philips già nel ’72 e successivamente da Whirlpool, pur mantenendo la sua anima. Il bar all’ingresso ha ancora il bancone del 1968, la scala che porta agli uffici della dirigenza è la stessa che saliva Giovanni Borghi e anche alcuni elementi di arredo negli uffici sono ricordi delle epoche precedenti. Attualmente amministratore delegato della Whirlpool Emea, che ha a Comerio la sua sede, è Davide Castiglioni, cognome varesino e una carriera fatta tutta all’interno dell’azienda, dove entrò nel 1993. Alle spalle della scrivania, una gigantografia di piazza del Campo a Siena, dove è stato prima di tornare a Varese per guidare la Whirlpool. È lui che si è preso la responsabilità di tagliare lo stabilimento svedese, anche se per sei mesi le trattative andranno avanti.
Sono quattro, spiega, i motivi che hanno portato la società a fare un piano industriale che prevede di lasciare una parte consistente del lavoro in Italia. «Il primo è la scala: Cassinetta è un sito di grandi dimensioni, dove alla fine delle operazioni di ristrutturazione saranno prodotti due milioni di pezzi. Il secondo motivo è che ci sono anche 500 ingegneri (su 2.500 dipendenti totali, ndr) di 27 nazionalità, che svolgono attività anche su scala globale e hanno competenze per ottenere innovazione di prodotto e di processo». C’è poi la questione del «posizionamento fondamentale rispetto all’Europa centrale. Gli elettrodomestici a incasso sono un prodotto complesso, con molti codici. Se la produzione fosse lontana, molti più prodotti dovrebbero stare nei magazzini». L’ultimo “driver” è forse il più importante: «abbiamo fatto un grande sforzo con il “lean manufacturing”, che ci ha permesso di eliminare gli sprechi e di essere più efficienti, nonostante il costo del lavoro». Su questo punto, Castiglioni precisa che la manodopera pesa per il 15-20% sui costi di produzione, a seconda dello stabilimento (nel bilancio Emea è in totale il 18%, ndr). Il costo della trasformazione pesa complessivamente per il 25% e una delle componenti principali, l’energia, «non è penalizzante in Italia rispetto ad altri Paesi», a dispetto degli allarmi delle associazioni di categoria. Uno dei motivi è che nel sito di Cassinetta è stato installato un grande impianto di cogenerazione, che ha anche ridotto l’impatto ambientale.
Il protocollo con la Regione
In questo quadro mancano ancora le istituzioni. Che forse non hanno avuto un ruolo determinante nelle scelte della multinazionale americana, ma il loro ruolo lo hanno giocato. Almeno a livello locale. «Abbiamo aperto un dialogo con il governo e soprattutto con la Regione Lombardia – dice Castiglioni -. Nell’ottobre 2013 è stato siglato un protocollo d’Intesa con la Regione che comprende delle linee guida per supportare la competitività, sui fronti della ricerca e sviluppo, della formazione, delle infrastrutture e soprattutto della semplificazione amministrativa».
A spiegare l’accordo è Fausto De Angelis, legale d’impresa per la Whirlpool. Si tratta, ci dice, di percorso sperimentale all’interno dell’iter di una legge regionale che sta per essere approvata. Si chiamerà “Libertà e competitività per le imprese lombarde”. Il percorso sperimentale ha già coinvolto altre aziende lombarde.
La firma del protocollo tra Davide Castiglioni e Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia
L’accordo per ora pare non sia dettagliato su punti chiave, come il taglio dell’Irap o il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo. Su quest’ultimo punto lo scoglio è che il tema è già regolato da una legge nazionale, giudicata però troppo poco selettiva. Di sicuro c’è che la Regione guidata da Roberto Maroni finanzierà, assieme alla Provincia di Varese, la formazione dei lavoratori che torneranno in azienda dopo un periodo di mobilità. Saranno anche finanziate le reti d’impresa, per esempio tra la Whirlpool e alcune delle 50 aziende dell’indotto (che hanno circa 3.000 dipendenti). Questo dovrebbe anche facilitare le partnership con le università. Il capitolo infrastrutture prevede nuovi collegamenti, soprattutto su rotaia, da sviluppare con Rfi. È poi previsto lo sviluppo di un programma di welfare aziendale. Infine c’è il punto che ai manager della Whirlpool pare il più importante: una semplificazione normativa che, spiega De Angelis, «non vuol dire solo ridurre i tempi la concessione di un’autorizzazione, ma è innanzitutto un modo che l’amministrazione ha di dialogare con l’impresa. Si va oltre il bando e si ha un rapporto diretto tra amministrazione e impresa, parlando lo stesso linguaggio».