Rischia il decreto che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti. Ma rischiano anche il Milleproroghe e il Salva-Roma. In realtà sono addirittura cinque i provvedimenti che potrebbero decadere senza essere convertiti dal Parlamento. È il primo effetto della crisi di governo, il più preoccupante. Nel pomeriggio la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha provato a scongiurare il pericolo. Ma il calendario è impietoso. Il decreto che riduce i fondi pubblici alla politica è stato approvato dal Senato pochi giorni fa, approdato alla Camera dei deputati scadrà il prossimo 28 febbraio. Due giorni prima decadranno il Salva-Roma e il Milleproroghe. Situazione analoga a Palazzo Madama, dove Svuotacarceri e Destinazione Italia scadono ancora prima, il 21 febbraio. Al termine della prossima settimana.
«Adesso c’è il rischio che alcuni di questi provvedimenti non ce la facciano» raccontano preoccupati al governo. Il motivo è evidente: l’esecutivo uscente non può accelerare i tempi di approvazione chiedendo la fiducia in Aula. Quello entrante rischia di non fare in tempo: deve prima ottenere il voto del Parlamento (ammesso che qualcuno voglia assumersi la responsabilità di decreti presentati dal governo dimissionario). E così l’ostruzionismo delle opposizioni potrebbe avere la meglio.
Movimento Cinque Stelle e Lega Nord sono pronti a dare battaglia. Il confronto più acceso è sul Milleproroghe. «Un provvedimento incostituzionale – racconta il capogruppo a Cinque Stelle Federico D’Incà – Arrivato in Aula senza neppure il tempo di essere esaminato a fondo». Solo due giorni fa il governo aveva dato parere contrario ai sessanta emendamenti presentati dai grillini in commissione Affari Costituzionali. Per tutta risposta gli esponenti M5S hanno abbandonato i lavori. «Vogliamo solo avere la possibilità di migliorare il decreto – continua D’Incà – Vuole un esempio? Nel testo c’è ancora la proroga del commissario per il terremoto in Irpinia».
Pronta a mettersi di traverso anche la Lega Nord. Il Carroccio denuncia la scelta del governo di finanziare la social card – disponibile anche per gli stranieri – attingendo finanziamenti dal fondo per gli esodati. «Su questo non siamo disposti a transigere» spiega il delegato d’Aula Massimilano Fedriga. Intanto i provvedimenti del governo in attesa di conversione rischiano davvero. Sul Milleproroghe ci sono ancora 242 emendamenti da votare. Regolamento alla mano, i deputati del Movimento Cinque Stelle potrebbero rallentare i tempi di approvazione fino alla decadenza.
A Montecitorio si cerca di correre ai ripari. In serata la conferenza dei capigruppo ha provato a trovare un compromesso. Il governo ha accettato di riaprire l’esame del Milleproroghe: nel fine settimana i partiti presenteranno poche, ma significative, proposte di modifica. Per mediare c’è tempo fino a lunedì pomeriggio. L’aula è convocata alle 17, se entro quell’ora non sarà trovata un’intesa sugli emendamenti da accogliere rischia di saltare tutto. «Se non saranno accolte le nostre modifiche – ammette il grillino D’Incà – c’è la forte possibilità che faremo ostruzionismo». A decadere potrebbe essere il Milleproroghe (che una volta cambiato dovrà necessariamente tornare al Senato). Ma anche l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. «Chi rallenta i lavori se ne assumerà la responsabilità», minacciano in maggioranza. «Non si rendono conto – attacca il capogruppo del Movimento Cinque stelle – che il maggior ostruzionismo lo sta facendo proprio il Partito democratico. Sono loro i responsabili dell’attuale situazione politica».
Ecco l’altro punto di scontro. In capigruppo le opposizioni hanno domandato di poter “parlamentarizzare” la crisi. Alla presidente Laura Boldrini è stato chiesto di poter aprire un dibattito in Aula sulla fine del governo e le dimissioni del presidente del Consiglio Enrico Letta. «Non accettiamo che certe scelte vengano assunte da quella che ormai è la terza Camera del Parlamento: la sede del Nazareno», spiegano i grillini. Richiesta a cui si sono uniti anche Forza Italia e Lega Nord. Difficile che possa essere esaudita. Durante la riunione la presidente Boldrini si è limitata a leggere ai capigruppo una lettera del presidente del Consiglio uscente. Un messaggio di saluto, in cui Letta ha confermato le sue dimissioni irrevocabili. «Per il Parlamento – ammette D’Incà – è stato uno degli atti più umilianti».