Pare un galeone dei mari del Sud, al tempo dei pirati e dei corsari, ma il veliero Amerigo Vespucci ha visto la luce meno di cent’anni fa, il 22 febbraio del 1931, nei cantieri di Castellammare di Stabia. Da allora, qualsiasi mare varchi, è lei la nave più bella di tutte e barche e pescherecci, transatlantici e golette, delfini e gabbiani, tutti si fermano ad ammirarla estasiati. Giovane come lei è anche l’equipaggio dei cadetti della Marina, intenti a issare vele, annodare cime e, quando si è di turno, lavare il ponte.
UN VELIERO NEL DESTINO
Il giovane Odisseo, il simpatico Ferdinando, l’allegro Cristoforo e il piccolo Amerigo si trovarono lungo la spiaggia e si sedettero nella sabbia e tra le conchiglie, per guardare il mare e raccontarsi del loro futuro.
«Conquisterò una città, arrivando a cavallo – esclamò Odisseo, cui piaceva vedersi come il condottiero di non so quale popolo – o dentro un cavallo, poco importa…»
I tre fecero sì con la testa, forse abituati alle sue fanfaronate, quindi poco inclini a farsi acchiappare ed ammaliare.
«Le mie gesta saranno narrate in un libro – continuò – e il mio nome ne sarà il titolo, scritto a caratteri grandi in copertina!»
Di nuovo tre sì con la testa e chissà se qualcuno lo avrebbe scritto davvero, quel libro, e se almeno uno dei tre lo avrebbe poi letto…
«Io farò il giro del mondo – borbottò Ferdinando che, nonostante l’età, già aveva una voce da vecchio brontolone – o almeno ci proverò.» E questa affermazione fece sussultare i presenti, che il mondo chissà da dove partiva e chissà dove arrivava… Farne tutto il giro era un’idea strampalata, fantascientifica, ma affascinante più che mai.
«Darò il mio nome alle nubi lassù – continuò lui – e a uno Stretto, quaggiù, dalle parti della Terra del Fuoco.» Così dicendo accese un falò sulla spiaggia e chiese ad Amerigo di andare a prendere le salsicce per la grigliata.
«Allora io scoprirò una nuova terra – si inserì Cristoforo – navigando verso Occidente con tre caravelle e una ciurma baldanzosa.»
«E lo farò ben prima del tuo giro del mondo – aggiunse, rivolgendosi a Ferdinando – altrimenti va a finire che la scopri tu e io ci rimarrei male.»
«E quella terra sarà un continente intero – continuò – Nord, Centro e Sud, dal Polo lassù a quello laggiù, con una costa di qua e una costa di là.»
«E una nazione di quel continente – concluse – porterà il mio nome.»
Fortuna volle che le salsicce si abbrustolirono in fretta, altrimenti Cristoforo chissà per quanto ancora l’avrebbe tirata lunga, io di qua, io di là, io dappertutto. Almeno Odisseo si era accontentato di un libro e del suo cavallo di legno, che poi un cavallo a dondolo lo abbiamo avuto tutti, o no?!
Inghiottendo l’ultimo boccone, Amerigo guardò Cristoforo dritto dritto nelle pupille e:
«Poi magari va a finire che al tuo bel continente danno il nome mio, che comincia con la lettera A e in ordine alfabetico viene per primo…»
Non ti dico la reazione di tutti: Ferdinando e Odisseo sogghignarono sotto i baffi, leccandoseli, mentre il boccone al povero Cristoforo andò a dir poco di traverso, facendolo tossire e rantolare. La sfida, ormai, era lanciata.
«Mio zio ha le scarpe con i lacci d’oro!» Esclamò Ferdinando.
«Mia nonna è amica del sindaco di Barletta!» Replicò Odisseo.
«Io ho preso otto più in aritmetica, senza nemmeno l’aiuto di Pitagora!» si vantò Cristoforo.
«Il mio cane sa abbaiare in dodici lingue diverse.»
«La mia casa ha tre finestre con vista sul mare!»
«La mia fidanzata è bella così!» Sorrise Odisseo e questo fece un po’ traballare le convinzioni dei tre amici, nessuno dei quali aveva una fidanzata tutta sua e rischiava di non riuscire a continuare in quella strana competizione.
«Nel mio nuovo mondo avrò tutte le fidanzate che voglio…» Provò a controbattere Cristoforo, ma subito Amerigo lo rimise zitto.
«Sarà, ma il tuo mondo avrà comunque il nome mio…»
Uno così, l’altro colà, io di qui, tu di là, la serata trascorse con una sfida dietro l’altra e, quando la Luna era ormai alta nel cielo, alla fine fu difficile stabilire il vincitore, tanto che la soluzione che si andava delineando fu di un salomonico pareggio, quando…
«La nave più bella del mondo – si alzò in piedi, d’un tratto, Amerigo – porterà il mio nome e anche il cognome! Sarà un veliero elegante e maestoso e chiunque lo incrocerà ne porterà il ricordo nel cuore.»
Nel silenzio sbalordito e sbigottito, che si creò tutto intorno, salutò gli amici prima che uno di loro provasse a replicare e se ne andò a casa, vincitore morale e ammiraglio ad honorem.
Vuole la tradizione, che un marinaio che si rispetti abbia una fidanzata in ogni porto. E i porti, in giro per il mondo, sono tanti davvero… Come faranno a ricordarsi il nome di ciascuna, non lo so, ma so che alla partenza di ogni bastimento capita di vedere scene al limite del commovente. E se la nave, anziché un bastimento qualsiasi, è la bellissima, elegantissima, fascinosissima Amerigo Vespucci, ecco che lungo la banchina non ci sono le nonne a salutare i nipotini, né le mamme a dare un bacio ai loro figlioli. Le ragazze dei cadetti sono lì, una accanto all’altra, belle quanto la Vespucci, altroché. Però un cadetto è un cadetto e deve seguire gli ordini e il protocollo, così l’unica è sbucare con la testa dall’oblò, sperando di essere capitato nella cabina giusta. E da lì acchiappare l’ultimo bacio fino al prossimo approdo, da ricordare durante le lunghe giornate tra le onde e i delfini.
Sarebbe bello trascorrere una giornata intera a bordo del veliero Amerigo Vespucci, con i cadetti della Marina a farci da compagni di viaggio… Però non è male nemmeno farsi un giretto di pochi minuti, con la musica in sottofondo e sbirciare qua e là attraverso le immagini girate a bordo. Vele, cime, nodi, ancore, tutto messo lì, che vien paura a toccarlo. E non so se invidio davvero quelli che salgono e scendono dagli alberi lassù, a trenta metri d’altezza, soprattutto se c’è un vento un po’ troppo forte e se le onde ti fanno dondolare di qua e di là. Per il resto, una crociera me la farei volentieri, altroché!
Che ne diresti, anziché essere tu sulla nave Vespucci, fosse lei nel salotto di casa? O in camera tua? Dici che ci sarebbe abbastanza spazio? Per un modellino certamente sì, magari non troppo ino e con tutti i dettagli al posto giusto: le proporzioni esatte, il numero delle vele, l’albero maestro e il timone… C’è chi la sua passione per le navi l’ha messa online [http://www.navievelieri.it/benvenuti.html] e, chissà, potrebbe essere anche contagiosa. Ricordati, però, quando avrai una nave in casa, di lasciar perdere il mare e le onde, altrimenti rischieresti di allagare l’appartamento e nessuna scialuppa né ciambella ti salverebbe dalla rabbia di mamma e papà.
Marcello Venturi – L’ultimo veliero – Sellerio
E se, all’improvviso, all’orizzonte comparisse un veliero? Un veliero di quelli veri, di quelli di una volta, con l’albero maestro e le vele rettangolari e quadrate… Una cosa simile accadde a Bernardo Maestrelli, vecchio marinaio ormai in pensione, da tutti conosciuto come il capitano, che lo guarda avvicinarsi alla riva, sulle onde del suo mare. Gli tornano a mente le avventure del passato, le terre lontane, le tempeste e le bonacce e nella sua mente – e tra le pagine del libro – è un nuovo viaggio che parte, verso la libertà.
Pare che i transatlantici hanno diritto di precedenza su qualsiasi altra nave che, incrociandoli, deve farsi da parte e concedere il passo. A meno che l’altra nave non sia la Amerigo Vespucci, nel qual caso fermi tutti e mano alle macchine fotografiche!
Accadde nel lontano 1962, che la gigantesca portaerei USS Independence notò nel proprio radar un puntino verde, a indicare una nave sulla propria rotta, da qualche parte nel Mediterraneo. Via radio lanciò un messaggio per chiedere chi stesse transitando, laggiù, da dove venisse e dove stesse andando. La risposta fu rapida e concisa: «Nave scuola Amerigo Vespucci, della Marina Militare Italiana.» Alla ricezione di queste poche parole, dalla portaerei si affrettarono a spegnere i motori, interrompere la navigazione, lampeggiare, suonare le trombe e inviare un nuovo messaggio di saluto difficile da equivocare: «Siete la nave più bella del mondo!»
L’ultimo veliero a doppiare Capo Horn, a poche onde dal Polo Sud, nel 1949, fu il tedesco Pamir, splendida nave a quattro alberi. Dopo di lei solo navi a motore.
La punta più a Sud del continente americano è sempre stato un luogo mitico per i marinai, con correnti e venti talmente impetuosi da impedirne la navigazione per mesi e mesi. Sarà anche stato il paradiso delle balene, ma molti naviganti preferivano tagliare un po’ più a Nord, attraversando lo stretto di Magellano, nella Terra del Fuoco; altri sceglievano addirittura di fare tutto il giro dell’Antartide, assecondando le correnti. Ne consegue che accanto alla Vespucci, anche il Pamir rientra tra le navi mitiche della storia. Non la possiamo ammirare o visitare, però, come accade per la nave italiana, se si ha la fortuna di incrociarla su qualche mare, perché un giorno infausto, al largo delle isole Azzorre, la nave ebbe un incidente e affondò nel settembre del Cinquantasette.
L’Italia è sempre stato un paese molto adatto per la costruzione di belle navi, un po’ perché c’è il mare quasi dappertutto e cantieri navali sparsi qua e là, un po’ perché siamo sempre stati un popolo fantasioso e amante delle belle cose. Il fatto di togliere le vele e aggiungere il motore non cambiò per nulla questa tradizione, tanto che a metà del secolo scorso i cantieri di Genova sfornarono il transatlantico più bello mai costruito: l’Andrea Doria, così battezzato in onore del celebre ammiraglio di quattro secoli prima.
Snella e affusolata, elegante e veloce, l’Andrea Doria era una supernave, sulla quale i ricchi facevano a gara per imbarcarsi, dall’Europa all’America e viceversa. Ebbe vita breve, però, questa regina dei mari, perché nell’estate del Cinquantasei, a pochi spruzzi dalle coste newyorkesi, una nave svedese che vagava nella nebbia la speronò su un fianco, causando uno dei maggiori disastri marini della storia. Questa disgrazia, tuttavia, contribuì a rafforzare il mito del transatlantico tanto bello, ma così bello… che adesso non c’è più.
C’è una grande nave che transita nelle scene di un film molto famoso. Il regista è Federico Fellini, il film è Amarcord e la nave è il transatlantico Rex, orgoglio della navigazione italiana. La scena è ambientata negli anni Trenta, lungo le spiagge di Rimini e la folla accorre a vedere la nave, laggiù all’orizzonte.
E cos’aveva il Rex di così importante, tanto da fare il divo del cinema? Accadde che nel mese di agosto del 1933, dall’undici al sedici, il comandante Francesco Tarabotto al timone conquistò il Nastro Azzurro, che è stato uno dei trofei più ambiti dai navigatori. Lo conquistava chi copriva la rotta Europa America in meno tempo e al Rex l’impresa riuscì. Poco meno di seimila chilometri di onde, percorsi in quattro giorni, tredici ore e cinquantotto minuti, alla bella velocità di quasi trenta nodi, che quanto sia non lo so, ma immagino ti permetta di sfrecciare sulle onde, con il vento tra i capelli. Fossi un regista del cinema, probabilmente anch’io mi inventerei una scena qualsiasi dove infilare il Rex.