Un trattato di “alluvionologia comparata”. Paolo Franceschetti descrive così il suo “Navigare” nel fango, un libro che mette insieme i problemi comuni alle vittime italiane di inondazioni, contiene un vademecum su come difendersi e avanza proposte perché gli aiuti funzionino meglio. L’autore conosce benissimo l’argomento: non è un giornalista né uno scrittore, ma un negoziante dell’isola d’Elba, alluvionata nel 2011.
«L’idea mi è venuta dopo i recenti disastri in Sardegna», spiega Franceschetti, che si auto-definisce “esondato”, come tutti quelli che hanno affrontato un’inondazione e l’inadeguatezza degli interventi istituzionali. In questi anni il commerciante è entrato in contatto con centinaia di cittadini che si sono trovati nella sua stessa situazione, magari qualche mese dopo e a migliaia di chilometri di distanza. Grazie al web, e in particolare a Facebook, Paolo ha scambiato e diffuso informazioni, arrivando a una conclusione: le difficoltà post-alluvione si somigliano ovunque, eppure non esiste un protocollo standard che cittadini e istituzioni possano seguire in questi casi.
Cosa succede all’inizio
Il copione descritto nel libro parte dalle due settimane successive a un’inondazione. «Dal secondo giorno iniziano dirette e talk show con ospiti un geologo, che dice che lì non si doveva costruire, un colonnello dell’aeronautica, che spiega lo scontro dell’aria umida mediterranea con la corrente fredda da nord e un sopravvissuto all’identica precedente alluvione, che ancora aspetta gli sgravi fiscali promessi. Il terzo giorno servizi sui funerali, passerella dei politici e prime promesse di stanziamenti. Per 15 giorni i pompieri svuoteranno cantine e garage, i volontari aiuteranno a liberare le case, le ruspe sposteranno cumuli di detriti».
Poi arriva “il quindicesimo giorno”, tanto importante che l’autore aveva anche pensato di farne il titolo del libro. All’inizio della terza settimana, scrive, «anche le località più note vedranno svanire giornalisti, politici, pompieri e ruspe. I primi perché l’audience è in calo, i secondi perché rischierebbero grosso a girare nei Paesi man mano che si scopre che non ci saranno sgravi fiscali e che i soldi raccolti con sms solidali e bonifici bancari serviranno a ricostruire il ponte o la strada che sono stati concausa del disastro. Pompieri e ruspe se ne andranno perché son già finiti i soldi della “prima emergenza”». È a questo punto, dice Franceschetti, che si resta soli, in attesa di informazioni e soldi necessari per ripartire. «I più fortunati vedranno i rimborsi in 400 giorni. I più sfortunati attenderanno tutta la vita».
Ostacoli comuni
I problemi delle vittime le portano a imparare cose sconosciute ai più, ma fondamentali per loro. La prima è una sigla: Opcm, Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri. Ottenerla, spiega Paolo, è indispensabile per rinviare il pagamento delle tasse e sospendere le rate dei mutui. Altre scoperte riguardano i rimborsi dei danni: possibili per auto private, aziende e prime case, non per le seconde e per il 90% dei beni persi dalle famiglie. Il meccanismo esclude versamenti anticipati e immediati: i soldi arrivano solo se si presentano le fatture di ciò che si è ricomprato dopo l’alluvione. Se non hai i mezzi per farlo, scrive Franceschetti, «nessuno ti rimborsa nulla». Un paradosso tra i tanti che si incontrano in queste storie, come quello per cui «l’azienda che beneficerà maggiormente degli aiuti pubblici è quella che gestisce l’istruttoria dei risarcimenti».
Cose che si ripetono a distanza di mesi e chilometri. Paolo se ne è accorto col passare dei mesi: un anno dopo l’alluvione dell’Elba ce ne fu una in Maremma, con gli stessi problemi successivi. «Poca chiarezza su come conteggiare i danni, tempi lunghi per le pratiche, enti locali quasi contrapposti ai cittadini». Settimana dopo settimana il negoziante ha stretto legami su Facebook e incontrato di persona cittadini impegnati in lotte uguali alla sua. «Non è mai decollato un vero e proprio super comitato – scrive – perché nessuno ha forza e denaro per coordinare il lavoro di tante persone». Servirebbe una fondazione o un’associazione, aggiunge quando gli chiediamo se ritiene possibile colmare questo vuoto.
Idee per cambiare le cose
“Navigare” nel fango è un libro di denuncia, ma anche di proposta. Chiede che cambino le norme, che si metta a punto «un quadro organico di aiuti basato su principi logici, equi e di solidarietà nazionale». Invita a vincolare gli aiuti all’impegno a usare il territorio in modo cauto. Indica strumenti necessari nel primo mese post-inondazione: piccoli prestiti a tasso zero e immediati anticipi di rimborsi a fondo perduto. Poi c’è il vademecum per le vittime, due pagine di suggerimenti per aziende e cittadini comuni. «Fotografare beni mobili e immobili; richiedere ispezioni di pompieri e vigili urbani; fare un inventario scritto di quanto perduto; chiedere sempre la fattura per ogni riparazione», e così via. Segue l’elenco delle 19 alluvioni che hanno colpito l’Italia tra 2011 e 2013, facendo oltre 60 vittime. «Capitoli della stessa tragedia nazionale», come scrive Franceschetti.