Almaviva, il call center simbolo degli aiuti sbagliati

La crisi dell’azienda in Sicilia

A Palermo è in gioco il futuro della prima azienda privata della regione siciliana, ma l’eco non vale quella dei dipendenti pubblici. Almaviva Contact, l’azienda del gruppo Almaviva che si occupa di call center, conta infatti nell’isola quasi 6mila dipendenti su un totale di circa 10 mila. Di questi più o meno 4.500 nel capoluogo. Da un lato la proprietà prosegue con l’intenzione di mantenere la presenza occupazionale, dall’altro il mercato soffre sempre di più del dumping delle altre aziende che negli anni hanno delocalizzato all’estero il processo della manodopera.

metà strada tra le intenzioni e la realtà resta la palude di un comparto che si sta sbriciolando sotto la spinta di commesse al ribasso che spesso non coprono i costi aziendali della forza lavoro e di un vuoto legislativo fatto da norme che distribuiscono incentivi senza un criterio logico. Ovvero di ritorno di gettito e di impiego sul territorio. Dopo un recente incontro con le istituzioni Almaviva, dunque, ha ribadito l’intenzione di non volere andar via da Palermo, né di tagliare il costo del lavoro; ma per poter andare avanti, ha fatto sapere,  «è necessario che venga affrontata la questione delocalizzazione da parte delle istituzioni a livello nazionale». Insomma, è chiaro che, con un calo di fatturato con perdite mensili, tra Palermo e Catania, intorno al milione al mese, senza particolari sterzate sarà difficile immaginare un 2015 di certezza per tutti i lavoratori. Fatto di per sé drammatico, ma frequente e dettato anche da logiche di mercato. Ciò che ci preme è però analizzare il comportamento delle Istituzioni in oltre tre anni di vertenze e discussioni.

A marzo del 2011 (giunta Lombardo) Almaviva chiede un incontro in Regione. Il conto economico soffre di alcune frizioni, ma i numeri sono sostenibili. C’è però un problema da sottoporre alla politica: una sede idonea. La città non sembra offrire immobili adatti a ospitare 4.500 centralinisti, tanto che Almaviva si trova a operare fondamentalmente su due sedi. Con relativo raddoppio dei costi. Trovare un ufficio unico aiuterebbe a ridurre le spese e ad affrontare il prevedibile calo di commesse visto il trend di delocalizzazione dei competitor. Lombardo avanza l’ipotesi di fornire l’ex edificio Telecom (18mila metri quadrati). La stessa Agenzia nazionale per i beni sequestrati, a distanza di tempo e a ipotesi decaduta, boccia la fattibilità giuridica del piano regionale. Tanto che bisogna arrivare al marzo 2013 perché ci sia un secondo incontro tra le parti. Meeting che non va a buon fine. Di fatto i rappresentanti della Regione non si presentano.

È solo il mese successivo che in prefettura viene formalizzata l’offerta di un secondo immobile, adiacente a quello Telecom, da circa 12mila metri quadrati. Non se ne fa comunque nulla. L’azienda si tira indietro: 4mila dei 12 mila metri quadrati sono interrati e dunque inidonei a un call center e i costi di ristrutturazione troppo elevati. Dalla primavera 2013 si arriva direttamente a gennaio scorso. Proprio mentre si discute di Electrolux e dalla nuova sede fiscale di Fiat, i dipendenti palermitani si mettono in sciopero. Il sindaco Leoluca Orlando ribadisce la disponibilità dell’Amministrazione comunale a trovare una soluzione per i lavoratori attraverso un tavolo tecnico in Prefettura e la volontà di «mettere a disposizione una sede da individuare tra i beni confiscati alla mafia». Evidentemente non è a conoscenza di oltre tre anni di trattative. Lo sciopero finisce col sortire un effetto: un nuovo tavolo.

metà febbraio, pochi giorni fa, si sblocca la questione sede. Almaviva avrebbe trovato un immobile idoneo e – previo mutuo agevolato alla finanziaria regionale Irfis – ristrutturabile. Peccato che ora con perdite mensili intorno al milione di euro, l’esigenza di razionalizzare i costi degli immobili passi in secondo piano. In una nota, Almaviva rileva che «il punto centrale non è più la sede. Attivare ingenti investimenti per ristrutturare nuovi uffici deve essere collegato a un andamento industriale quanto meno in equilibrio. Tale equilibrio non è assolutamente presente e purtroppo stiamo assistendo a una situazione che sta diventando critica in conseguenza di un brutale processo di delocalizzazione in atto nel mercato italiano».

In altre parole si aprono due strade. La prima toccherà il prossimo governo, sempre che voglia mantenere la stessa linea di quello uscente. In una recente intervista il sottosegretario uscente allo Sviluppo economico Simona Vicari si è detta disponibile ad affrontare la questione. E Renzi potrebbe aprire nel suo job act un capitolo ad hoc per i lavoratori dei call center rimasti in Italia. La seconda strada non vedrà alcun interessamento romano e quindi la possibilità per la Sicilia di perdere almeno 4.500 posti di lavoro. A quel punto i governatori Crocetta e Lombardo (il quale ora avrà altro per la testa visto la condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa) si potrebbero mettere fare due conti.

Almaviva Contact ha versato alle casse siciliane nel 2012 oltre 3,5 milioni di Irap. Cifra simile a quella dell’F24 dell’anno precedente e del successivo. Se si fosse trovata già nel 2011 una soluzione immobiliare forse non si sarebbe arrivati alla situazione attuale. Risultato? In Italia siamo in grado di dare sovvenzioni a perdere e mai aiuti finalizzati al gettito. Se Almaviva dovesse andarsene la Regione potrà dire addio all’Irap. Eppure basterebbe prendere un pallottoliere per capire quali incentivi tornano indietro, quanti fruttano all’erario e quanti sono a fondo perduto. Preferiamo invece meravigliarci quando i politici dei Paesi confinanti (Svizzera, Austria e Slovenia) lanciano iniziative di promozione territoriale. A giugno del 2013 è finito su tutti i giornali e tutte le tivù l’evento organizzato dal sindaco di Chiasso e rivolto alle aziende italiane. Offriva incentivi fiscali e sostegno nell’accesso infrastrutturale (sedi ed energia), il tutto a fronte di un determinato valore aggiunto. Esattamente ciò che Regione siciliana e Comune di Palermo avrebbero potuto fare tre anni fa con Almaviva. Non si tratta di aiuti pubblici, ma di strategia. Che non ha nulla a che fare con i tavoli modello Electrolux: la politica interviene quando non c’è più gettito da difendere.