Così Renzi ha vinto la battaglia dei pizzini con l’M5s

Lo scambio con il vicepresidente Di Maio

Ho visto che Michele Serra ha scritto un corsivo preoccupato sullo scambio di pizzini tra il presidente del consiglio Matteo Renzi e il grillino Luigi Di Maio. Serra, osservando che Renzi dovrebbe togliere il saluto a Di Maio per la violenta e fraudolenta violazione della privacy di cui si è macchiato pubblicando il carteggio. Scrive Serra:

«Io, se fossi Renzi, a Di Maio toglierei il saluto vita natural durante: perché niente è più scorretto e vigliacco che rubare opinioni private per renderle pubbliche. La parola privata e quella pubblica — anche sintatticamente — obbediscono a regole diverse e vengono pronunciate per scopi diversi».

Io penso esattamente l’opposto: Renzi dovrebbe offrire una consumazione a Di Maio per come ha abboccato alla “trappola” facendosi sconfiggere sul suo terreno, su come ha subito – crollando – la pressione mediatica del pizzino in streaming.

Giudicate voi stessi: nel primo pizzino pubblicato da Di Maio si Facebook, Renzi ci fa un figurone. Scrive infatti il neo premier al vicepresidente della Camera:

«Scusa l’ingenuità, caro Luigi. Ma voi fate sempre cosi? Io – scrive il premier – mi ero fatto l’idea che su alcuni temi potessimo davvero confrontarci, ma è così oggi per esigenze di comunicazione o è sempre così ed è impossibile confrontarsi? Giusto per capire. Sul serio – conclude Renzi – senza alcuna polemica».

Ecco la replica Di Maio, con grafia vagamente peppapigghesca:

«Ciao, 1) guida al regolamento: i banchi del governo devono essere liberi da deputati quando qualcuno parla in aula. Il governo è tenuto ad ascoltare i deputati. La Boldrini doveva richiamare la Polverini. Non lo ha fatto. 2) Forse non è chiaro che in un anno abbiamo visto di tutto. Abbiamo visto la tua maggioranza votare in 10 mesi: 2,5 miliardi di euro di condono alle slot machine. 7,5 miliardi di euro alle banche. 50 miliardi fi euro per gli F35. Che ti aspettavi – conclude Di Maio – gli applausi?».

Al che Renzi replica:

«Capisco. Se vedi occasioni reali di dialogo. Nell’interesse dei cittadini (a me della parte mediatica interessa il giusto, ognuno fa la sua parte). Fammi sapere. So che parli con Giachetti – insiste Renzi con perfida e calcolata malizia – Se ti va bene utilizziamo lui come contatto. Se ci sono cose fattibili insieme, alla luce del sole, nell’interesse degli italiani, io ci sono. Buon lavoro».

A questo punto Di Maio si vede costretto ad un messaggio glaciale e quasi imbarazzato. Scrive il deputato pentastellato:

«Io parlo con Giachetti perché lavoriamo insieme ogni giorno. Come tanti nostri colleghi che lavorano in Commissione. Il Parlamento serve a questo. Però ora basta con questi biglietti berlusconiani. Ci vediamo alla prova dei voti, in aula, davanti al Paese intero».

Ed è a questo punto che pubblica tutto il carteggio su Facebook, come quei testimoni di giustizia che nei film americani si mettono il cerotto sulla pancia per fissare un registratore, che li discolpi in caso di incriminazione, quando parlano con il boss. Quando Renzi scrive “Usiamo Giachetti come contatto”, ci giurerei, è perfettamente consapevole che quel carteggio è già mediatico, e fa il gioco esattamente opposto, come quello dell’agente infiltrato nel campo nemico che prova a bruciare un doppio gioco.

Il pizzino in streaming è l’ennesima falsificazione della realtà, contrabbandata come realtà, nel tempo dei reality. È un trucco mediatico-televisivo, in cui Renzi (che pure ha fatto un discorso per certi versi molto fragile) si è rivelato più scaltro e postmoderno del suo contestatore Di Maio che era, evidentemente, terrorizzato dall’idea che se quel carteggio fosse diventato pubblico. Il vicepresidente della Camera, di certo, sapeva che se quel carteggio fosse saltato fuori non per sua volontà, i suoi sostenitori più talebani lo avrebbero impalato.

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