Una delle poche notizie del discorso di Matteo Renzi al Senato ha riguardato l’economia, ambito nel quale le idee per ora non possono che essere molte e confuse. D’altronde, il neoministro Pier Carlo Padoan, con il quale il presidente del Consiglio non si è mai confrontato in passato, è atterrato a Roma soltanto sabato. La news riguarda lo sblocco totale dei debiti della Pubblica amministrazione utilizzando la Cassa depositi e prestiti, uno dei quattro pilastri della Renzinomics, assieme all’allargamento del fondo di garanzia per i crediti alle Pmi, alla spending review e alla riduzione del cuneo fiscale. Dice Renzi:
«Il primo elemento su cui prendiamo un impegno è lo sblocco totale – non parziale – dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti. Il secondo elemento che mettiamo immediatamente all’ordine del giorno è la costituzione e il sostegno di fondi di garanzia, anche attraverso un rinnovato utilizzo della Cassa depositi e prestiti, per risolvere l’unica reale, importante e fondamentale questione che abbiamo sul tappeto, che è quella delle piccole e medie imprese che non riescono ad accedere al credito. Il terzo punto che poniamo immediatamente alla vostra attenzione – lo faremo nelle prossime settimane – è una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, attraverso misure serie e irreversibili, legate alla revisione della spesa, che porterà nel corso dei primi mesi del primo semestre del 2014 a vedere dei risultati immediati e concreti».
Secondo stime imprecise degli addetti ai lavori il pacchetto di riforme economiche dell’esecutivo Renzi mobiliterebbe risorse pari a 50 miliardi. L’asso nella manica del rottamatore vale 139 miliardi di euro ed è il conto corrente di tesoreria della Cdp presso il ministero del Tesoro. Il suo scopo è mantenere un cuscinetto di liquidità pronta all’uso in caso di rimborso a vista degli strumenti di risparmio postale, il cui flusso nel 2012 si è assestato a 4,6 miliardi di euro. A fronte di una riserva obbligatoria che per legge non può essere inferiore a 2,5 miliardi, ma che a giugno scorso ammontava a 5,3 miliardi. L’ex titolare del dicastero di via XX Settembre, Fabrizio Saccomanni, ha calcolato che i debiti della pubblica amministrazione ancora in circolazione ammontano a 50 miliardi, dei quali 20 già coperti per il 2014. Rimangono dunque scoperti 30 miliardi.
Senza alterare significativamente gli equilibri contabili della cassa guidata da Giovanni Gorno Tempini, Renzi potrebbe attingere fino a 100 miliardi di euro, stando a quanto rivelano fonti interne al suo entourage. Fondi che andrebbero rimpiazzati con emissioni obbligazionarie di pari importo, che non aumenterebbero il debito pubblico in quanto già contabilizzate come passività. Una volta ottenuta la garanzia statale, i crediti nei confronti della Pa sono acquistabili dalla Cassa depositi e prestiti e scambiabili come una moneta, mentre le eventuali perdite che via Goito dovrebbe iscrivere a bilancio si registrerebbero soltanto alla loro scadenza.
È la proposta lanciata dalla Fondazione Astrid presieduta da Franco Bassanini, numero uno dell’ente di via Goito, e dall’economista Marcello Messori: usare la Cdp – soggetto per Eurostat fuori dal perimetro del debito pubblico – per ristrutturare i debiti delle Pa nei confronti delle banche (che a quel punto potrebbero scontarli), con la garanzia sussidiaria dello Stato. Coinvolgere la Cdp in questo ambito, va detto, non è una novità nell’entourage del rottamatore: «Invece di destinare i soldi dei depositanti in incerti progetti di politica industriale, la Cdp dovrebbe impegnarsi a fare quello che lo Stato non riesce a fare: pagare i suoi debiti alle imprese, a partire dai crediti Iva» ha scritto sul Sole 24 Ore Luigi Zingales, già ospite della Leopolda nel 2011 e, almeno in passato, ispiratore del leader Pd.
Sull’incremento del Fondo centrale di garanzia l’ipotesi elaborata nel corso delle primarie 2012 prevedeva invece l’utilizzo di parte dei fondi strutturali europei per portarne la potenza di fuoco a 10 miliardi di euro. Senza però tirare in ballo, come ha fatto Renzi nel suo discorso al Senato, la Cassa depositi e prestiti. Gli allegati dell’ultima finanziaria prevedono 1,8 miliardi di euro aggiuntivi per rimpinguare le scarse risorse del Fondo istituito presso il ministero dello Sviluppo Economico nell’arco di tre anni: 280 milioni quest’anno rispetto ai 400 già programmati, più altri 750 milioni sia nel 2015 che 2016.
Dalla spending review di Carlo Cottarelli dipende infine la riduzione dell’Irap del 10%, che vale complessivamente 4 miliardi. Secondo quanto risulta a La Stampa, l’ex dirigente del Fmi in attesa di riconferma avrebbe individuato 2,5 miliardi disponibili subito dal taglio degli sprechi nei consumi intermedi della Pa – leggi computer, cancelleria, manutenzione, etc – più 1,5 miliardi dai sussidi alle imprese di cui le grandi partecipate pubbliche come Poste o Ferrovie dello Stato sono incredibilmente beneficiarie. Riuscire entro luglio, data di inizio della presidenza italiana del semestre europeo, a trasformare i propositi in leggi è una missione quasi impossibile. Ancor di più – come amava ripetere Mario Monti – a saldi invariati. Tuttavia il meccanismo c’è, e come punto di partenza non è male, soprattutto se consente di non sforare il tetto del 3% nel rapporto tra deficit e Pil.