Ora che Matteo Renzi si è preso Palazzo Chigi, è il momento di pensare al dopo. E se per ora i mercati finanziari hanno deciso di premiare l’azione spregiudicata e folle del 39enne fiorentino, non è detto che questo possa avvenire anche in futuro. Con un debito pubblico da oltre 2.000 miliardi di euro, un deficit pericolosamente prossimo al 3%, un’economia in stagnazione e l’ennesimo terremoto politico, non è facile spiegare a un investitore internazionale come mai deve fidarsi del governo Renzi.
I giochi sono fatti. Ora bisogna capire cosa succederà. Quali sono, e saranno, gli interlocutori nel mondo della finanza? Il più importante è Davide Serra, fondatore di Algebris. Giovane, ben introdotto nella City londinese e nei salotti finanziari europei e legato a Renzi da una lungo rapporto, Serra ha contribuito a introdurre il futuro presidente del Consiglio a politici europei e finanzieri di mezzo mondo. Ed è quasi sicuramente grazie a Serra se il sindaco di Firenze è ben visto anche da Nouriel Roubini, l’economista rockstar della New York University. Vicino a Renzi è anche Cosimo Pacciani, banchiere e risk manager (nonché collaboratore de Linkiesta). Sia lui sia Serra sono stati fra gli ambasciatori di Renzi nel cuore della finanza londinese, usando ora il bastone ora la carota. Non solo. Hanno agito su un duplice piano, da un lato spiegando alla City la complessità italiana e dall’altro lato formando Renzi sui complessi meccanismi dei mercati finanziari e della gestione del rischio, aiutandolo, in questi ultimi anni, a leggere il mood degli investitori. Solo il tempo dirà se questo percorso di formazione è stato utile.
Nell’inner circle di Renzi troviamo anche due altri nomi, Bill Emmott e Wolfgang Münchau. Il primo è lo storico ex direttore dell’Economist, da tempo innamorato dell’Italia. Il secondo è il principale columnist sull’eurozona del Financial Times. Con entrambi Renzi ha avuto fitti scambi di email e incontri più o meno ufficiali, sia prima delle elezioni sia dopo. Lo hanno voluto conoscere bene, soprattutto per capire quanta sostanza ci fosse sotto un’immagine così innovativa per l’Italia. Non è un caso che entrambi lo abbiano endorsato pubblicamente. Eppure, in riferimento alle ultime mosse, sia Emmott sia Münchau avevano cercato di dissuadere Renzi dal prendere il potere senza passare dalle urne. «Sarebbe un suicidio politico», avrebbe detto Emmott la notte prima a Renzi, dicono persone a lui vicine. Più cauto invece Münchau, che ha sempre scritto che il sindaco di Firenze sarebbe stato utile all’Italia per uscire dalla palude attuale. Un altro autorevole commentatore, Hugo Dixon di Breakingviews, ha allacciato rapporti con Renzi e proprio ieri ha spiegato che le opzioni sono due: o riesce davvero a cambiare il Paese o, in caso di fallimento, potrebbe essere l’uomo che chiamerà la troika in Italia. Non esistono terze vie.
Quello che è certo è che Renzi si fida di poche persone. Anzi, pochissime. Queste però sono ben introdotte e capaci di avere uno standing rilevante negli ambienti finanziari. Enrico Letta era noto e rispettato negli ambienti politici e diplomatici, mentre Renzi dovrà faticare in modo significativo per farsi conoscere. Farlo però tramite le sue conoscenze finanziarie può essere un buon inizio. «Ha già cominciato a farsi vedere attraverso incontri informali e tenuti nascosti finora per evitare le speculazioni mediatiche», spiegano persone a lui vicine. Un esempio? Gli incontri fra lui e José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea. O quelli con l’establishment tedesco, con il quale ha tessuto intrecci da oltre un anno. E i responsi sono sempre stati positivi, sintomo che la visione europeista di Renzi è in linea con quella della Germania.
La prima reazione dei mercati finanziari è stata positiva. Secondo Credit Suisse la salita di Renzi sarà positiva nel breve termine, dato che ha posto fine all’incertezza legata alla fragilità del governo di Enrico Letta. Per la banca elvetica rimangono però invariati i rischi di medio termine, dato che non è chiaro se e come Renzi riuscirà a dare una scossa al Paese a suon di riforme strutturali. Anche per UniCredit è un buon segnale la mossa di Renzi, specie nel medio periodo se si guardano i rendimenti dei Btp. Stessa opinione anche per buona parte delle banche internazionali che però lasciano intendere che questa sarà l’ultima chance data all’Italia. «Renzi ha tra le mani un capitale unico. Può cambiare davvero il Paese. Se non lo facesse, la pazienza degli investitori finirebbe», ha scritto J.P. Morgan. Parole che devono essere ricordate fin da ora.