Una pletora di seicento persone che guarda a Renzi con apprensione. Sono gli amministratori delle controllate pubbliche, che dopo lo showdown del sindaco di Firenze cominciano a tremare. Eni, Enel, Terna, Finmeccanica, Poste Italiane, Fintecna e via discorrendo dovranno rinnovare i vertici, e c’è già chi come Paolo Scaroni è mediaticamente attivissimo per non perdere la poltrona. Oltre al dossier partecipate, i temi finanziari sui quali il rottamatore dovrà dimostrare discontinuità sono le Fondazioni bancarie e il groviglio armonioso del Monte dei Paschi.
Una partita, quest’ultima, complicata dai tanti supporter all’interno della compagine azionaria di Rocca Salimbeni, a partire dal grande elettore Bruno Valentini, sindaco di Siena, fino ad Antonella Mansi. L’attuale presidente di Mps è stata numero uno di Banca Federico Del Vecchio, istituto privato della borghesia fiorentina controllato da Banca Etruria, feudo della massoneria aretina (in cerca di partnership) nel cui consiglio d’amministrazione siede il padre di Maria Elena Boschi, scelta come tramite del 39enne fiorentino con Giorgio Napolitano.
La prova dell’amicizia di Antonella Mansi con Marco Carrai, deus ex machina del segretario Pd, sta nell’Associazione Eunomia, di cui la vicepresidente è membro del comitato scientifico. L’ente, finanziato dagli enti locali fiorentini, «vuole sostenere la diffusione della cultura nel settore delle Istituzioni e delle politiche, aiutare il rinnovamento della vita politica locale e nazionale e promuovere il corretto funzionamento delle Istituzioni in attuazione dei principi fondamentali della Costituzione Italiana e dei valori dell’Unione Europea». Nel direttivo di Eunomia, presieduto da Enzo Cheli, c’è il fedelissimo Dario Nardella, vicesindaco di Firenze, e Marco Carrai, nel ruolo di direttore delle relazioni esterne.
Le uniche parole di Renzi che si ricordano su Mps risalgono a fine ottobre 2012, quando – rispondendo alla battuta sulle Cayman del rivale alle primarie Pierluigi Bersani in merito alla famosa cena con la finanza milanese – specificò al Secolo XIX: «Ho semplicemente degli esempi di meccanismi della politica che… diciamo che non hanno funzionato: dal Monte dei Paschi e Banca 121 ad Antonveneta. E poi ricordo la vicenda dei “capitani coraggiosi”che acquisirono Telecom: un’operazione molto discutibile fatta ai tempi in cui D’Alema era al governo e Bersani ministro». Alla fine dell’anno scorso, quando Alessandro Profumo è stato sfiduciato dalla Fondazione, Renzi non ha proferito verbo, ma qualcuno nell’establishment del primo cittadino di Firenze facevano notare come la posizione personale fosse perfettamente in linea con il tweet di Davide Serra, patron del fondo Algebris:
e di Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica (e uno dei circa 80 soci de Linkiesta):
In tema di Fondazioni bancarie e partecipate, un indizio benaugurante è il recente coinvolgimento del bocconiano Roberto Perotti a coordinatore del gruppo di lavoro sulla spesa pubblica della segreteria renziana. Perotti sostiene l’uscita degli enti scaturiti dalla riforma bancaria del ’90 dal capitale degli istituti di credito. Memorabile l’attacco del luglio 2012 pubblicato sulSole 24 Oree cofirmato con l’economista Luigi Zingales: «Le fondazioni sono tanto più pericolose perché sono pervase di buone intenzioni e ammantate di una patina di rispettabilità. Nell’immaginario collettivo esse finanziano progetti meritori nel campo della cultura e del volontariato, e beneficiano la società civile. Ma il prezzo da pagare è altissimo, una rete fittissima di clientelismo a monte e a valle delle fondazioni, per ingraziarsi il potere politico, acquisire consenso, e distribuire prebende».
Sulle partecipate pubbliche, Perotti si è scagliato di recente contro i bonus del top management, snocciolando i numeri di un report pubblicato su Lavoce.info: i compensi dei membri dei cda delle 29 partecipate del Tesoro «ammontavano nel 2012 a 13,5 milioni. Di questi, 1,8 milioni componevano la parte variabile. Guarda caso, dei diciotto amministratori che avevano diritto per contratto ai premi di risultato, non uno ha percepito meno del massimo possibile». Proprio Perotti è dato come nuovo commissario alla spending review. Tra il dire e il fare, tuttavia, c’è di mezzo la palude politica italiana: «Se Cottarelli riuscirà a risparmiare 40mila euro è già tanto», ironizza una fonte del ministero dell’Economia con Linkiesta, spiegando a proposito di Lucrezia Reichlin, economista in lizza proprio come successore di Saccomanni, che rischia di fare la medesima fine dell’ex direttore generale di via Nazionale.
Tra i top manager che hanno preso il bonus quest’anno, oltre a Scaroni, c’è il bersaniano Fulvio Conti, a capo dell’Enel. L’unico tra i boiardi che sembra correre verso la riconferma, nonostante la compagnia – a come tutte le utilities a dire il vero – non abbia messo a segno delle performance significative in questi anni. Fronte Terna, il presidente Luigi Roth, ex democristiano in quota Comunione e Liberazione potrebbe invece prendere il posto di Franco Bassanini alla presidenza della Cassa depositi e prestiti, nonostante il Nuovo centrodestra di Alfano abbia chiesto la sua riconferma. Il tremontian/larussiano Flavio Cattaneo, amministratore delegato della società di dispacciamento dell’energia, sarebbe invece rimasto senza sponde politiche. Verso il pensionamento il finiano Massimo Sarmi, ad di Poste Italiane che ha visto sfumare per un soffio il passaggio alla poltrona di presidente di Telecom Italia. Più complicata la questione Finmeccanica, dove per il momento rimarrebbe il tandem Pansa-De Gennaro. Secondo quanto risulta a Repubblica, la Cdp sarebbe pronta a investire in Ansaldo Breda, società attiva nei trasporti, dopo Ansaldo Energia scorporandola dai debiti, conferiti nella bad company “Inmove Italia”.
Eni in Borsa dal 2005 a oggi, rispetto ai competitor Shell e Total
Al netto del totonomine, guardando ai numeri e ai conseguenti dividendi per il Tesoro, non tutti i manager di Stato hanno messo a segno la stessa performance. Eni ha mantenuto la remunerazione degli azionisti più o meno costante, Terna l’ha aumentata mentre Enel è passata da 64 a 16 centesimi per azione nel giro di pochi anni. Scaroni è stato nominato amministratore delegato dell’Eni nel giugno 2005. Da allora il titolo ha perso il 20% rispetto al 10% della francese Total e alla sostanziale parità di Royal Dutsch Shell. Fulvio Conti è sulla tolda di comando da maggio 2005, quando la società quotava 7,5 euro. L’acquisizione dell’iberica Endesa al prezzo folle di 44 euro per azione e l’impatto della crisi sovana in Spagna e Italia sui consumi di famiglie e imprese hanno affossato il titolo, che ha perso la metà del suo valore: più della tedesca E.On e della francese Edf.
Enel in Borsa dal 2005 a oggi, rispetto ai competitor E.On e Edf
Il deputato renziano Angelo Rughetti ha suggerito sull’Huffington Post di valutare i manager incaricando un’agenzia indipendente di «valutare il patrimonio netto delle aziende al 31 dicembre 2013 e confrontarlo con il valore che avevano ad inizio mandato» e identificare conflitti d’interesse, per poi affidare la valutazione ad una commissione «composta da 2 rappresentanti del governo, 2 rappresentanti delle commissioni Bilancio di camera e senato e 3 rappresentanti dei consumatori». Utilizzando il protocollo Rughetti, risulta che il patrimonio netto di Eni allo scorso dicembre è salito a 61,2 miliardi rispetto ai 39,2 miliardi di fine 2005 (ultimo rinnovo), quello di Enel è passato dai 19 miliardi del 2005 ai 53,1 miliardi di fine 2012. Il patrimonio netto di Terna sale da 1,9 miliardi nel 2006 a 2,7 miliardi al 31 dicembre 2012. Un metodo fallace, che di fatto promuoverebbe lo status quo.