Il centro Bruegel stronca la Troika: “Grecia distrutta”

Un documento che potrebbe aiutare Renzi

Previsioni irrealistiche, indecisione politica europea, sottovalutazione dell’impatto devastante dell’austerity troppo massiccia soprattutto nel caso della Grecia. Non è proprio una bocciatura, ma quantomeno una pesante critica all’operato della Troika (il trio di Commissione Europeo, Bce e Fmi che ha dettato i programmi di “risanamento” di Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro) quella contenuta in un rapporto preparato dal think-tank economico di Bruxelles Bruegel, nominato da uno studio Usa il secondo miglior centro studi di economia internazionale al mondo. Un documento (intitolato «La Troika e l’assistenza finanziaria nell’eurozona: successi e fallimenti» e firmato dal direttore dell’istituto, Guntram Wolff, e da André Sapir, un noto economista belga) che potrebbe in qualche modo fare gioco anche al nuovo governo di Matteo Renzi, sostenendolo nella richiesta di non esagerare con le richieste di austerity all’Italia, anche se, fortunatamente (almeno per ora) il Belpaese è lontano dall’aver bisogno di un programma di aiuti.

Certo è che, è in sostanza il messaggio, solo per l’Irlanda si può parlare grosso modo di un successo (mentre per Cipro è ancora troppo presto per fare valutazioni). Soprattutto per la Grecia è un disastro, dovuto a un devastante mix di indecisione e miopia politica europea ed errori grossolani da parte della Troikaa cominciare dal micidiale consolidamento di bilancio a ritmi forsennati con oltretutto la scarsa considerazione – prossima all’indifferenza – dei terribili effetti sociali sulla popolazione. Già lo stesso Fondo monetario aveva avanzato critiche a se stesso e all’Ue, ammettendo che erano stati sottostimati gli effetti negativi sull’economia ellenica, l’unica ancora a non voler sentir parlare di errori è rimasta in sostanza la Commissione Europea, mentre anche il Parlamento europeo ha pubblicato giorni fa un durissimo rapporto sulla Troika.

Proteste in Grecia contro le misure della Troika, nel settembre 2012

«I programmi – si legge nel rapporto di Bruegel- erano basati su previsioni troppo ottimistiche sull’aggiustamento e la ripresa in Grecia e Portogallo». Del resto «in tutti e quattro i Paesi la disoccupazione è cresciuta in modo molto più significativo del previsto». Inoltre, «sebbene gli obiettivi di bilancio siano stati ampiamente rispettati, il rapporto debito-pil è lievitato molto più delle previsioni a causa di una forte contrazione del Pil» nei quattro Paesi. Contrazione dovuta a quattro fattori, dice Bruegel: «l’effetto più ampio del previsto del moltiplicatori fiscali (vale a dire proprio l’impatto negativo dell’austerity sulla crescita, ndr); un ambiente circostante peggiore del previsto (il riferimento è alla crisi che ha colpito tutta l’eurozona, ndr); una sottovalutazione delle sfide iniziali e della debolezza dei sistemi amministrativi e della ownership (il “fare proprio” il programma, ndr) da parte della politica».

Bastano questi quattro punti per parlare di un giudizio in verità devastante sull’operato della Troika. Soprattutto nel caso della Grecia, i dati che si ritrovano nel rapporto parlano chiaro. Così è stato imposto al Paese un’impressionante riduzione del deficit (dal 15% del pil del 2009 al 4% del 2014), mentre il debito pubblico è schizzato dal 129,7% del 2009 al 175,7% del Pil. Il tutto per via soprattutto di un tracollo del Pil del 25% dall’inizio della crisi. Ebbene, se già l’Fmi lo accennava, anche lo studio di Bruegel riconosce che i famosi “moltiplicatori fiscali” hanno colpito molto più duramente del previsto: certo, premette lo studio del think-tank di Bruxelles, «riducendo lo sforzo iniziale dell’aggiustamento di bilancio, il pacchetto di finanziamento Ue-Fmi avrebbe dovuto essere ampliato» (visto che sarebbe stato necessario più tempo, come oggi appare ovvio). E tuttavia «un aggiustamento di bilancio meno rapido avrebbe aiutato a preservare alcune capacità produttive che, nel corso dell’aggiustamento, sono state distrutte».

Traduciamo: se è vero che la Grecia aveva urgente bisogno di riforme economiche e di rimettere a posto i conti, è anche vero che l’austerity a dosi da cavallo ha «distrutto» interi comparti dell’economia ellenica, con effetti devastanti sul Pil e sull’occupazione che ormai sfiora il 30 per cento. Bruegel denuncia «l’indecisione politica europea» come un «fattore fortemente aggravante dei risultati del programma» – e questo non è colpa della Grecia. Certo è che fin dall’inizio «vi erano serie preoccupazioni sulla sostenibilità del debito (greco, ndr) e la fragilità del programma». Una situazione che «ha spinto il Fmi e l’Ue a scommettere sulla materializzazione di ottimistiche previsioni di proventi dal gettito fiscale e dalle privatizzazione. Invece di formulare un robusto programma capaci di resistere alle avversità economica, politiche e finanziaria, hanno fatto esattamente l’opposto».

Impiegata della tv pubblica greca dopo l’annuncio della chiusura, nel giugno 2013

Risultato: a parte la devastazione dell’economia greca, comunque sarà necessario un nuovo pacchetto per la Grecia, il ritorno ai mercati è ancora una chimera. In bocca ad economisti del calibro di Sapir e Wolff queste parole pesano come pietra. A questo si aggiunge un altro fattore: nelle 8.000 e passa pagine complessive dei programmi per i quattro paesi, la parola «povertà» è praticamente assente. «Le questioni di bilancio – recita il documento – ricevono la massima attenzione nei documenti dei programmi», mentre «le questioni relative alla povertà sono scarsamente considerate nei documenti dei programmi e hanno ricevuto solo pochissima più attenzione nell’ultimo anno». Soprattutto «sono stati fatti scarsi progressi nella riduzione dei fondamenti problemi della disoccupazione soprattutto dei giovani».

Forse, con l’imminenza delle elezioni europee, la Commissione potrà accettare che a volte anche le medicine indispensabili vanno somministrate a dosi più diluite. E questo potrebbe fare il gioco anche di Matteo Renzi nel chiedere più tempo per l’Italia. Purché non pensi di far ripartire la finanza allegra degli anni Ottanta. Questo non lo permetterebbe né l’Ue, né il Fmi, né la Bce, né i grandi partner dell’Italia. Né, soprattutto, i mercati. 

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