La Commissione Ue ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia in quanto ritiene che nella pratica non applichi correttamente la direttiva Ue sul ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, in vigore dal 16 marzo 2013. Le imprese non vengono pagate a 30-60 giorni come previsto dalle regole Ue ma con ritardi che arrivano sino a 210 giorni.
La Commissione ha ricevuto molte denunce che hanno messo in luce «il fatto che in Italia le autorità pubbliche impiegano in media 170 giorni per effettuare pagamenti per servizi o merci fornite e 210 giorni per i lavori pubblici». Roma ha ora due mesi di tempo per rispondere ai rilievi della Commissione europea. La procedura è stata decisa su proposta del responsabile dell’Industria, Antonio Tajani.
Riproponiamo la nostra analisi del 14 febbraio 2014:
I ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione tornano ad affliggere le imprese italiane. Non che il problema fosse stato superato, ma qualcosa era stato fatto nel corso del 2013 per alleviare il fenomeno, e vi erano stati precisi impegni politici volti ad assicurare la normalizzazione in tempi ragionevoli. Cosa che in realtà non è avvenuta, tanto da spingere la Commissione europea ad aprire una procedura d’infrazione contro il nostro Paese, mentre per le imprese la situazione si fa sempre più grave. Secondo uno studio di Confcooperative, un’azienda su tre in Italia fallisce per i ritardati pagamenti della Pa, che rappresentano spesso il colpo mortale per realtà già fiaccate dalla lunga crisi.
In ballo c’è il 7% del Pil
Per inquadrare al meglio la questione occorre partire dalle grandezze in gioco. Anche se qui sorge il primo problema, in quanto in realtà non esiste un censimento dei debiti accumulati dalle diverse ramificazioni della Pa verso le aziende. I bilanci pubblici spesso risultano parecchio arzigogolati, tanto che persino i tecnici dei ministeri economici non sono riusciti a sbrogliare la matassa. Non resta quindi che affidarsi alle stime. Bankitalia parla di 91 miliardi di euro a fine 2011, ma la Cgia di Mestre contesta la mancata inclusione nei calcoli dei crediti vantati dalle aziende con meno di 20 addetti e, complice l’aggiornamento a fine 2012, alza l’asticella a circa 120-130 miliardi di euro, una somma mostruosa, pari a circa il 7% della ricchezza prodotta ogni anno in Italia.
Se davvero si decidesse di chiudere i conti con il passato, sarebbe una bella spinta per far ripartire l’economia. Basti pensare che la ripresa del Pil nel quarto trimestre 2013 (+0,1% dopo nove trimestri consecutivi in ribasso, secondo di dati appena diffusi dall’Istat) è attribuita dallo stesso ministro uscente dell’Economia Fabrizio Saccomanni al pagamento di un pacchetto di arretrati da parte della Pa.
Ancora 100 miliardi di scoperto
Un primo intervento normativo per sbloccare gli arretrati è arrivato la scorsa primavera, quando è stato messo a punto un piano per pagare 40 miliardi di euro.
Una misura messa in campo nonostante la consapevolezza che avrebbe portato a un ulteriore aggravamento del debito complessivo a carico dello Stato. Ma era il momento giusto per farlo, si disse allora, perché le turbolenze sui mercati risultavano in calo. Nei fatti, i provvedimenti attuativi hanno sbloccato il pagamento di 27 miliardi di debiti e quelli giunti a destinazione – secondo un censimento condotto dal ministero dell’Economia a fine gennaio – sono stati 21,6 miliardi. In media si tratta di 3,6 miliardi al mese tra luglio e dicembre, per unvalore pari a 1,6 punti percentuali di Pil.Dunque sono state regolarizzate all’incirca un sesto delle situazioni debitorie, mentre restano da pagare ancora 100 miliardi di euro.
In arrivo pesanti multe dall’Europa
A fronte del persistere di questi problemi, il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, ha comunicato l’avvio della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per aver sforato sistematicamente il limite dei 30 giorni per i pagamenti (60 giorni in casi particolari) fissato da una Direttiva del 2011. Il nostro Governo ha cinque settimane di tempo per dimostrare di non avere violato la normativa europea, altrimenti partirà la successiva lettera di messa in mora. Considerate le difficoltà di invertire a breve la rotta, dobbiamo prepararci a pesanti sanzioni da Bruxelles, che lo stesso Tajani ha stimato fino a un massimo di 3-4 miliardi di euro. Per trovare un termine di raffronto, all’incirca quanto l’Imu prima casa, tema che ha diviso l’esecutivo per mesi, con un’evidente difficoltà nel trovare le risorse per la sua abolizione nel solo 2013.
Anche perché, pur in mancanza di dati più aggiornati, la sensazione diffusa tra le imprese è che le prime settimane del nuovo anno abbiano visto un’accentuazione dei ritardi, dovuti in primo luogo ai nuovi tagli operati sugli enti locali e alle difficoltà di inversione del ciclo economico.
L’edilizia in ginocchio
Il mattone è il settore più importante dell’economia italiana, con un apporto che si aggira intorno al 18% del Pil, ed è anche quello in maggiore difficoltà sul fronte dei crediti verso la Pa. L’associazione di settore Ance ha di recente stimato in 10 miliardi di euro i debiti di lunga data, con l’82% delle imprese di costruzione che continua a registrare ritardi. Mediamente occorre attendere 146 giorni per passare all’incasso, spiegano dall’associazione, quindi abbondantemente oltre i limiti indicati a livello comunitario. Le stime di Confartigianato vanno anche oltre, attestandosi a quota 171 giorni.
L’adeguamento al dettato comunitario si ferma all’avviso pubblico, mentre nel rapporto diretto con il fornitore si moltiplicano i tentativi di aggiramento dei tempi, dalla richiesta di dilazione inserita apertamente nel contratto al consiglio di scaglionare le fatture, fino alla rinuncia alla commessa, una volta che l’amministrazione ha capito di non riuscire a stare nei tempi. Spesso l’impresa non ha mezzi per difendersi, dati i costi elevati del contenzioso, anche se relativo solo al pagamento degli interessi.
C’è la sensazione diffusa dell’urgenza, anche se al momento nessuno sa dove andare a cercare le risorse necessarie quanto meno per ridurre l’impatto del problema. Per quest’anno è prevista una nuova tranche di pagamenti arretrati per 20 miliardi, ma al momento non sono ancora state distribuite le somme tra Stato, Regioni ed enti locali.
Mentre all’orizzonte si profila l’avvio del Fiscal compact con l’obbligo per l’Italia di ridurre il proprio debito al 60% del Pil (oggi il rapporto è intorno al 133%) nell’arco di 20 anni. Questo significa che dalla Finanziaria 2015, che sarà discussa in autunno, occorrerà garantire un avanzo di 50 miliardi annui da destinare al taglio del debito. Una cura da cavallo che difficilmente potremmo sopportare.